Partito di Alternativa Comunista

Come non si costruisce un partito

Come non si costruisce un partito

A proposito della nuova organizzazione di Ferrando

 

di Francesco Fioravanti

 

Domenica 18 aprile il Movimento per il Partito Comunista dei Lavoratori di Marco Ferrando ha sancito ufficialmente la scissione dal Prc con un’assemblea nazionale che si è tenuta a Roma. Nonostante l’ampio spazio che i media hanno generosamente concesso al leader della neonata organizzazione politica, la partecipazione all’evento è stata tutt’altro che imponente. Ma non è nostra intenzione polemizzare in questa sede sulle cifre delle presenze in sala, né affermare che il fallimento di una singola iniziativa – seppur di notevole importanza come in questo caso – debba per forza di cose significare che un progetto politico è ineluttabilmente destinato alla sconfitta: non ci interessa prestare il fianco a sterili e inutili polemiche. Sono altri gli indizi che ci fanno credere che il Partito Comunista dei Lavoratori di Ferrando e Grisolia sia una creatura incapace di spiccare il volo. È per questo che non pensiamo sia inutile soffermarci nuovamente su questioni che abbiamo già approfonditamente analizzato in articoli apparsi negli scorsi numeri di questo periodico e sul nostro sito web, non fosse altro che per ribadire ulteriormente principi che riteniamo debbano essere fatti propri da tutti coloro che guardano con interesse a ciò che accade nel variegato panorama delle forze politiche che si assestano (o che sembrerebbero farlo) alla sinistra del Prc e della “politica istituzionale”.

 

Opportunismi di ieri e di oggi

 

Caratteristica principale della (dis)organizzazione politica del duo Ferrando/Grisolia è quella di avere al suo interno una pluralità di anime incapaci di ritrovarsi in un programma comune, ma pronte a fondersi in unico corpo quando la leggendaria figura del leader si manifesta nei salotti televisivi e sulle pagine dei giornali. Si riproducono in piccolo le stesse logiche che si possono trovare in un partito riformista come il Prc: la base, mantenuta volontariamente in una condizione di arretratezza politica dai vertici del partito, è unificata solamente dalle capacità dialettiche di alcuni dei suoi dirigenti e dall’influenza che su di essa hanno alcune opposizioni elementari (bene/male, destra/sinistra, onesti/corrotti) artatamente costruite per evitare che emerga un dibattito profondo in grado di investire scelte fondamentali e mettere in discussione alcuni assunti che muovono l’agire del partito stesso.

La dimostrazione del fatto che Ferrando e Grisolia agiscono su basi e con metodi che nulla hanno a che vedere con molti dei punti fermi raggiunti dal movimento comunista nelle sue elaborazioni teoriche l’abbiamo avuta nell’ultimo congresso dell’Amr Progetto Comunista, quando la nostra componente, composta prevalentemente da giovani dirigenti, è stata letteralmente investita da un fuoco di accuse (“settarismo”, “burocratismo”, “opportunismo” ecc.), funzionali a nascondere questioni di vitale importanza e a evitare un dibattito che, al contrario, avrebbe potuto solo giovare all’organizzazione. Come ci si deve porre – chiedevamo – di fronte a singoli e gruppi che agiscono in aperta contrapposizione rispetto alle decisione prese collettivamente? Quali devono essere i rapporti con le strutture locali del partito? Non pochi erano stati, infatti, i casi in cui gli attuali dirigenti del Pcl avevano avallato scelte sciagurate e opportuniste da parte di dirigenti locali della vecchia Amr.

 

Centralismo democratico versus liderismo

 

Spostando la discussione dal terreno politico – che era quello sul quale noi volevamo confrontarci – a quello delle accuse e delle illazioni, sul quale dirigenti navigati e riconosciuti come figure di spicco possono certamente far valere il loro peso e la loro presunta credibilità, si è voluto evitare un confronto franco e sereno che avrebbe potuto portare ad una crescita complessiva dell’intera organizzazione e si è alimentata ulteriormente quella spirale “leaderismo/arretratezza della base” che è oggi il tratto distintivo del gruppo di Ferrando. Indicativo è il fatto che il tutto – si badi bene, in un congresso: che notoriamente ha il compito principale di stabilire la linea politica di un’organizzazione – avveniva attraverso la costituzione di un blocco (monolitico nella difesa dei propri interessi, molto meno nella proposta politica) fra la componente ferrandiana e quella di destra dell’allora Amr Progetto Comunista; che oggi, coerentemente con le sue posizioni, scarica Ferrando e si rifiuta di aderire al Pcl, ma che già in quell’appuntamento esprimeva la volontà di voler rimanere nel Prc e teorizzava la necessità di una collocazione sindacale a sostegno della maggioranza di Epifani in Cgil.

Da qui la nostra scelta di rompere con una setta opportunista – possiamo senza errore definirla cosi: cos’altro è se non una setta una struttura nella quale per il rifiuto di una parte è impossibilitato il dialogo? – e di costruire un’organizzazione politica – Pc-Rol – che sia in grado di agire compattamente all’esterno, ma che dia allo stesso tempo a tutti la possibilità di apportare il proprio contributo alla dialettica interna.

Crediamo che il mondo del lavoro, di fronte alla crisi che attraversa e agli attacchi che subisce, non abbia bisogno di partiti che vivono della luce riflessa di un capo, tanto più se quel capo si dimostra pronto a tutto pur di salvare il suo ruolo. Un partito dei lavoratori è tale se si dota degli strumenti in grado di condurlo al fine che si è prefisso e agisce quotidianamente negli interessi della classe che intende rappresentare. Ecco perché il 18 giugno, nonostante le apparenze, non è nato nessun nuovo partito comunista, ma solo l’ennesima imprudente caricatura di esso.

 

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