Ex-Ilva, la primavera pugliese dipende solo
dall'unità delle classi oppresse
di Salvatore de Lorenzo
Con
l'acquisto di Ilva, Arcelor-Mittal (AM), la multinazionale che
possiede una ventina di acciaierie sparse in quattro continenti,
consolida ulteriormente la sua posizione di maggior produttore
mondiale di acciaio al mondo. Nelle sue fabbriche sono attualmente
impiegati oltre 200.000 operai.
Dalle
pagine di questo giornale abbiamo già analizzato nei dettagli
la natura truffaldina dell'accordo di cessione di Ilva ad AM.
Quell'accordo, che non contiene nessuna imposizione alla nuova
proprietà per quel che riguarda il rispetto delle norme di
sicurezza e dell'ambiente, svela la totale subalternità sia
del «governo del cambiamento», rappresentato dal ministro
del lavoro Di Maio, che dei sindacati filo-padronali Cgil-Cisl-Uil e
della stessa Usb, ai desiderata del grande capitale. L'accordo
consente ai nuovi padroni di AM un'ampia sforbiciata ai salari, con
il licenziamento di 3.000 operai in tutta Italia, di cui 2.500 solo a
Taranto; contemporaneamente esso costituisce una vera e propria
condanna a morte per gli abitanti del quartiere Tamburi, non
essendovi alcun obbligo, per i nuovi proprietari, di una
riconversione dello stabilimento in linea con le norme ambientali. Al
contrario «ai proprietari dell'azienda
viene garantita l'immunità penale per qualunque evento di
malattia o di morte che colpirà i lavoratori e i cittadini del
territorio», come si legge in un
comunicato molto critico della Cub, uno dei pochi sindacati ad aver
tentato, seppur in modo contraddittorio, come vedremo avanti, di
impedire quell'accordo.
L'antico intreccio tra padroni, politica e sindacati
Nel
2013 il precedente proprietario di Ilva, Emilio Riva, fu posto agli
arresti domiciliari per il reato di disastro ambientale. Un articolo
molto interessante del Fatto Quotidiano(1) rivelò,
tra l'altro, la gestione criminale del personale, voluta dai Riva,
per liberarsi di operai scomodi attraverso il mobbing, confinando
cioè i disobbedienti in una palazzina «lager». Con
questa gestione militarizzata della fabbrica, l'utile netto di Ilva
passò da 112 a 1842 miliardi di lire nel 1995.
La
vicenda processuale coinvolse, tra gli altri, l'ex governatore
pugliese Vendola, leader di Sel, accusato di concussione aggravata in
concorso per presunte pressioni sull'Arpa (l'Agenzia regionale per
l’ambiente) in favore dell’Ilva. Dinanzi alla corte di assise di
Taranto, il 27 febbraio di quest'anno, Vendola ha respinto ogni
accusa. Peccato che a rivelare il coacervo di relazioni torbide tra
Vendola e i padroni della fabbrica vi sia un'intercettazione
telefonica tra l'ex governatore pugliese e Archinà,
ex-amministratore delegato di Ilva, durante la quale, tra una
risatina e l'altra sui macabri avvenimenti dei morti per tumore a
Taranto, sui quali Archinà aveva baldanzosamente rifiutato di
dare spiegazioni a un giornalista, Vendola rincuorava Archinà,
gli ribadiva il suo sostegno e gli diceva di non preoccuparsi perché
«i vostri principali alleati sono quelli della Fiom». Una
brodaglia di relazioni affaristiche, dunque, tra il governo di
«sinistra radicale» della regione Puglia, la Fiom e i
proprietari di Ilva che è esemplare delle ragioni che hanno
consentito l'ascesa al potere di una formazione reazionaria come il
M5s, che, a Taranto, alle ultime elezioni, ha raggiunto il 48% dei
consensi. Assieme a Vendola è indagato anche il suo delfino,
Fratoianni, attuale leader di Si.
Un'ulteriore
indagine(2), aperta dalla magistratura tarantina nell'ottobre del
2017, riguarda «i
5 milioni di metri
quadrati di rifiuti
sversati, secondo il pm, dall’acciaieria nella gravina
di Leucaspide, nel
territorio di Statte,
in provincia di Taranto.
Dal 1995 a oggi l’Ilva
ha accumulato nell’area montagne di scarti, contenenti anche
berillio, pcb e arsenico. Si sono create così vere e proprie
discariche a cielo
aperto, alte fino a 30
metri, composte da
rifiuti pericolosi e
non pericolosi di
origine industriale».
Il disastro ambientale
Durante
la gestione straordinaria, dal 2013 al 2018, la situazione, tuttavia,
non è migliorata affatto, perché né modifiche al
sistema di produzione dell'acciaio, né misure significative
per contenere o rimuovere le polveri dei parchi minerari, sono state
mai realizzate. La risultante di tutte queste negligenze è che
oggi Taranto è una delle città italiane caratterizzate
dal maggior numero di malati di tumore, come si deduce da indagini
epidemiologiche. E il nesso tra malattie tumorali e Ilva è
inequivocabile: Il numero di operai che si ammalano di cancro
all'Ilva è superiore del 400% alla media nazionale(3). I dati
sanitari costituiscono un autentico bollettino di guerra. Ogni
anno(4) ci
sono quasi 1500 nuovi casi di tumore, con un aumento del 28% rispetto
al 1990. E' questo il quadro presentato dall'Istat sulla base delle
analisi epidemiologiche della Lilt (Lega italiana per la lotta ai
tumori) di Lecce. E il problema sanitario non è solo quello
dei «tumori - aggiunge la Lilt – che le evidenze scientifiche
ampiamente correlano all’inquinamento – ma anche delle patologie
coronariche, respiratorie, ormono-endocrine, metaboliche, della
riproduzione e altro ancora. Il peggio è che nonostante si
conoscano, oggi più di ieri, i fattori di rischio, la nocività
e la cancerogenicità di molecole e di prodotti dei processi
industriali, si paventano ancora modelli di sviluppo non sostenibili
e di accertato svantaggio complessivo».
La
cessione di Ilva ad AM, voluta dal «governo del cambiamento»,
dopo aver illuso e tradito i cittadini di Taranto cui era stata
garantita la chiusura e/o la riconversione ambientale dello
stabilimento, non ha cambiato di una sola virgola le politiche
ambientali dei nuovi padroni. In assoluta continuità
con la vecchia gestione Ilva, l'attuale gestione di AM continua a
produrre acciaio senza essere obbligata a muovere un solo passo né
in direzione della chiusura dei parchi minerari, né in
direzione della riduzione delle fonti inquinanti, tutelata dal
contratto di acquisto che la esonera da ogni impegno in tal senso. E
difatti, nello scorso mese di marzo, la registrazione
dell'inquinamento atmosferico causato dalle emissioni nocive di
sostanze altamente tossiche, assieme alle condizioni del vento, che
trasportava le polveri dai parchi minerari alla città, ha
fatto scattare l'allarme delle agenzie regionali ambientali e la
chiusura delle scuole del quartiere Tamburi. Questo ennesimo episodio
ha rimesso in moto i comitati cittadini, con una serie di proteste
all'interno del municipio e una ripresa generale delle mobilitazioni
che ha condotto diverse associazioni, comitati e forze sociali ad
organizzare una manifestazione di protesta sotto Ilva per il prossimo
4 maggio.
Dalla padella alla brace
I
comitati ambientalisti, che sono nati durante la fase di gestione
straordinaria, hanno lottato in questi anni per la chiusura dello
stabilimento. Una posizione assolutamente comprensibile se si guarda
ai danni prodotti all'ambiente, all'incremento esponenziale delle
malattie tumorali, e alle tante vittime sacrificate sull'altare dei
profitti dei Riva prima e di AM oggi. Comprensibile ma errata,
poiché pone gli operai (che, come ricorderemo ai radical-chic
delle organizzazioni di «sinistra», nella società
capitalistica sono costretti a vendere la loro forza lavoro per
vivere), di fronte alla scelta o di dover sacrificare il posto di
lavoro per non ammalarsi o di salvare il posto di lavoro rischiando
di ammalarsi. Un ricatto ovviamente inaccettabile.
La
parola d'ordine della chiusura è errata perché quella
non è l'unica strada percorribile. Esiste difatti un'ampia
letteratura scientifica da cui si evince come sia possibile produrre
acciaio senza distruggere l'ambiente e il clima, tesi avvalorata
dall'esistenza di diverse fabbriche, in Europa e in altri continenti,
nelle quali la produzione di acciaio non produce alcun disastro
ambientale(5). Se questo cambiamento nel modo di produzione
dell'acciaio, a Taranto, non è avvenuto, è solo perché
le multinazionali che si sono impossessate dello stabilimento non
avevano e non hanno alcuna intenzione di reinvestire alcuna quota dei
loro strabilianti profitti in nuovi mezzi e tecniche di produzione
compatibili con l'ambiente: così fu per i Riva, così è
per AM. I capitalisti sono totalmente indifferenti ai problemi delle
masse e insensibili alle loro richieste di tutela del clima e della
salute, poiché tali richieste costituiscono una minaccia per i
loro profitti.
Solo
sottraendo la produzione dei beni materiali alle logiche del profitto
e ponendo i mezzi di produzione sotto il controllo dei lavoratori e
dei cittadini sarà possibile produrre i beni materiali,
necessari ai fabbisogni della popolazione mondiale, senza inquinare
il pianeta e senza produrre i disastri climatici che registriamo
quotidianamente in tutti i continenti. Il problema ambientale non è
cioè separabile dal problema del controllo, da parte delle
grandi masse, dei mezzi di produzione dei beni materiali e quindi
della trasformazione socialista della società mondiale. Solo
il socialismo potrà cioè salvare il pianeta dai
disastri ambientali e climatici e solo in una società siffatta
sarà possibile produrre i materiali necessari per la
costruzione delle infrastrutture, delle abitazioni e dei mezzi di
trasporto, come l'acciaio, senza danneggiare l'ambiente.
La
sfida dunque non è quella di ritornare a una società
rurale basata sulla pastorizia e sulla pesca, come diversi comitati
ambientalisti piccolo-borghesi e settori anarchici bucolici invocano
per Taranto; la vera sfida è quella di sottrarre i mezzi di
produzione alle multinazionali dell'acciaio e porli sotto il
controllo degli operai e dei cittadini. Ed è in fondo questa
la vera ragione per cui i comitati ambientalisti non sono stati in
grado di incidere sul cambiamento del modello produttivo di Ilva:
tutte le loro proteste hanno messo in discussione il modello di
sviluppo economico e industriale di Taranto, come se fosse possibile
separare lo sviluppo di una singola città da quello di tutto
il resto del Paese. Come se fosse possibile risolvere gli interessi
dei settori oppressi della città di Taranto senza ridiscutere
un modello di sviluppo che opprime e devasta i subalterni di tutto il
mondo. Come se il problema fosse l'acciaio e non la sua produzione
attraverso tecniche e fonti di energia obsolete.
Assumendo
la posizione della chiusura della fabbrica, posizione peraltro
assunta anche da alcuni sindacati di base come Cub, i comitati
cittadini si sono progressivamente alienati le simpatie di gran parte
degli operai metalmeccanici di Ilva, con i quali non hanno mai
cercato realmente di confrontarsi.
Se
è un dato di fatto abbastanza scontato che, per la gran parte
degli operai, il lavoro in Ilva non rappresenti il massimo delle loro
aspirazioni, dato che in quella maledetta fabbrica si continua a
morire per la mancata applicazione di regole minime per la tutela
della sicurezza sul lavoro o per la tutela della salute, è
però altrettanto vero che è solo attraverso quel lavoro
che essi possono percepire quel salario che è necessario per
il sostentamento delle proprie famiglie.
La
difesa del posto di lavoro è dunque la condizione elementare
di sopravvivenza per il proletariato. Ecco perché ogni
movimento o comitato di lotta non può prescindere dalle
ragioni di sussistenza della classe operaia, né pensare che si
possano proporre soluzioni dei problemi che inevitabilmente
coinvolgono quella classe senza che quelle soluzioni siano state
discusse e concordate con la stessa classe. Aldilà delle
possibili specifiche soluzioni ai problemi di Taranto, qualunque
proposta deve essere cioè discussa e concordata con gli operai
della fabbrica. Ed è sostanzialmente questa la ragione per cui
si è creata una evidente scollatura, per non dire frattura,
tra i movimenti cittadini e la classe operaia.
Nazionalizzazione
Ma
se si analizzano le dinamiche sindacali degli ultimi anni, la
posizione degli operai dell'Ilva diviene persino più chiara;
nel corso di questi anni una grossa frazione di essi ha abbandonato
la Fiom per passare in Usb, un sindacato che, sino alla firma della
cessione di Ilva ad AM, sembrava essere su posizioni molto più
combattive e radicali di quelle dei sindacati confederali.
I
suoi dirigenti più rappresentativi, Rizzo e Bellavita, hanno
inizialmente illuso gli operai, garantendo loro che si sarebbero
battuti per la nazionalizzazione di Ilva. Una parola d'ordine
sostanzialmente corretta, a patto che la produzione venga posta sotto
il controllo della classe operaia stessa, l'unica che ha interesse,
assieme ai cittadini tarantini, a una riconversione dello
stabilimento rispettosa dell'ambiente.
Il
voltafaccia di Usb, con annessi i commenti favorevoli di Bellavita
dopo la cessione di Ilva ad AM, è una pugnalata alle spalle
per tanti operai che hanno creduto in quel sindacato. Seppur in
negativo, questo episodio costituisce però una lezione
fondamentale per il movimento operaio poiché dimostra, come
abbiamo sempre sostenuto, che le avanguardie più combattive
del movimento operaio devono sempre esercitare una pressione critica
sulle burocrazie sindacali invece che cedere ai loro abboccamenti, e
devono sempre tener presente che ogni rappresentante sindacale è
credibile solo se esso si confronta costantemente con la base che lo
ha delegato e ne rappresenta fedelmente le istanze, invece che cedere
agli ordini imposti dai dirigenti sindacali. Sconfessare
pubblicamente i delegati sindacali che prendono decisioni diverse
dalle basi che essi rappresentano è un dovere fondamentale
della classe operaia e delle sue avanguardie.
Ascesa e crollo dei 5 stelle
Durante la fase di commissariamento di Ilva, il M5s è stata l'unica forza politica che è riuscita ad illudere, contemporaneamente, sia i cittadini che gli operai tarantini. Se ciò è stato possibile non è solo per l'arretramento dei ceti subalterni tarantini, causato dall'assenza di una direzione rivoluzionaria in Ilva e nei comitati cittadini, ma anche per l'abilità machiavellica dei 5 stelle. Durante la campagna elettorale del 2018, la strategia comunicativa dei populisti grillini è consistita nell'illudere sia i cittadini che gli operai, agitando, nei giorni pari, la parola d'ordine, cara ai cittadini, della chiusura dello stabilimento e, nei giorni dispari, la parola d'ordine, cara agli operai, della nazionalizzazione dello stabilimento. Con l'accordo di cessione dello stabilimento ad AM, l'illusione da parte dei tarantini che tale forza politica potesse segnare una svolta positiva per Taranto è definitivamente tramontata e molto difficilmente il M5s potrà continuare a giocare un ruolo, persino minimo, di direzione dei comitati cittadini, inferociti per la svendita, da parte del M5s, della loro salute sull'altare dei profitti di AM.
O socialismo o barbarie
Durante
la fase di transizione che va dal 2013 al 2018, i principali comitati
cittadini che si battono per la salvaguardia dell'ambiente a Taranto,
come abbiamo visto, hanno fatto pochi sforzi per cercare di costruire
un'unità di azione con la classe operaia tarantina. Se la
soluzione, come è evidente, passa per la costruzione di un
comitato di cittadini e di operai che prenda sotto il suo controllo
la produzione dell'acciaio a Taranto e avvii un processo di
riconversione dello stabilimento, ne consegue immediatamente che
questo processo non può essere delegato a nessuno dei partiti
borghesi, M5s incluso, che hanno governato questo paese. Appare cioè
abbastanza chiaro che l'unica soluzione ai problemi di Taranto passa
per l'autogoverno della città e della fabbrica da parte dei
cittadini e degli operai tarantini. Dopo essersi illusi che il M5s
potesse rappresentare le istanze dei movimenti cittadini e aver
commesso l'errore madornale di sostenere il M5s alle ultime elezioni,
il principale comitato cittadino, quello dei «Liberi e
pensanti», ha di recente fatto autocritica(6). Questa
autocritica è positiva ma non è sufficiente, perché
è l'orizzonte della proposta avanzata dai «Liberi e
pensanti», confinata nell'alveo delle compatibilità
capitalistiche, che ha condotto e condurrà i cittadini e gli
operai a nuove sconfitte.
Il
potenziale rivoluzionario della città di Taranto è
unico in Italia e se esso è rimasto sempre inespresso è
per la mancanza di una direzione rivoluzionaria in grado di far
comunicare operai e cittadini e di spiegare che quelle sconfitte sono
la conseguenza di una divisione alimentata ad arte da tutti i partiti
borghesi (dalla sinistra radicale al Pd, dai 5 stelle al
centrodestra) e dei loro servi fedeli nei sindacati confederali e in
Usb.
Salvare
l'ambiente è ancora possibile ma questo richiede una risposta
radicale dei cittadini e degli operai, a partire dall'occupazione
della fabbrica e del municipio tarantino, per un autogoverno di
Taranto basato sui consigli degli operai e dei cittadini.
Invitiamo
infine tutte le avanguardie combattive dei movimenti cittadini ed
operai tarantini a cercare inoltre l'unità delle lotte con
tutta la classe operaia italiana ed internazionale aderendo al Fronte
di Lotta No Austerity, l'organizzazione che unisce tutti gli
attivisti sindacali e di movimento che si battono contro il
capitalismo, indipendentemente dalla loro sigla sindacale di
appartenenza.
O insurrezione o barbarie!
Note
1 www.ilfattoquotidiano.it/2014/04/30/emilio-riva-morto-i-guai-giudiziari-dalla-palazzina-laf-al-disastro-ambientale/969227/
2 www.ilfattoquotidiano.it/2017/10/26/ilva-21-indagati-per-disastro-ambientale-5-milioni-di-metri-cubi-di-rifiuti-in-gravina-sotto-inchiesta-la-famiglia-riva/3938183/
3 www.lecodellitorale.it/2018/07/30/taranto-tumori-ona-prende-posizione/
4 www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/home/870705/morti-per-tumori-a-taranto-1500-all-anno.html
5 www.scienzainrete.it/contenuto/articolo/ambiente-o-produzione-di-acciaio-possibile-uscirne
6 www.repubblica.it/spettacoli/musica/2019/04/12/news/uno_maggio_taranto_libero_e_pensante-223845379/