Partito di Alternativa Comunista

Metalmeccanici: per qualche dollaro in più

Metalmeccanici: per qualche dollaro in più…

 

 

 

di Massimiliano Dancelli*

 

 

 

Dopo oltre un anno si è chiusa la trattativa per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici. Finalmente, verrebbe da dire, ma in realtà le cose non sono andate proprio bene per i lavoratori e le lavoratrici del più importante settore manifatturiero italiano.

 

Più salario? Solo un’illusione

Partiamo da quello che balza più all’occhio di questo rinnovo contrattuale: l’aumento salariale di 112 euro lordi al 5° livello. Può sembrare una piccola conquista, dopo anni in cui anche per altre categorie non si vedevano che pochi euro di aumento e comunque sempre di più dell’euro e cinquanta in più ottenuto nel 2018 tramite il calcolo dell’indice Ipca (indice inflazionario europeo) del precedente contratto. In realtà questi 112 euro (la piattaforma di Cgil, Cisl e Uil ne chiedeva 144 tra l’altro) verranno versati in quattro anni e non in tre, allungando quindi la scadenza contrattuale; a giugno di ogni anno verrà versata una rata e la prima sarà di soli 25 euro. Questo vuol dire che, anche se la cifra supera l’inflazione calcolata, non recupera praticamente nulla di quanto i lavoratori hanno perso dal 2016, mentre i padroni tra aiuti statali, mancati aumenti salariali e licenziamenti incontrollati hanno sostanzialmente visto crescere i loro guadagni nonostante la crisi.

 

Un contratto da respingere

Per il resto, sostanzialmente questo contratto riprende quasi totalmente l’impianto del vecchio contratto firmato nel 2016 che noi criticammo aspramente a suo tempo (1). Vengono confermati tutti i bonus del Flexible benefit (buoni spesa detassati per le aziende), il welfare aziendale (processo di smantellamento di quello pubblico) e l’aumento delle ore di straordinario e flessibilità. Di fatto i sindacati firmatari dell’accordo Fim-Fiom e Uilm hanno deciso di proseguire sulla strada già tracciata dal vecchio contratto e di recepire a pieno il recente «patto per la fabbrica», ovvero lo scellerato quadro normativo, frutto della collaborazione tra confederali e Confindustria, che pone i paletti entro i quali vanno firmati tutti gli accordi, dai contratti collettivi alla gestione dei licenziamenti.

Tra le novità, l’introduzione di permessi retribuiti per le donne vittime di violenza, con la creazione di una commissione bilaterale di vigilanza per le discriminazioni di genere sul luogo di lavoro e il nuovo sistema dei livelli d’inquadramento che sostituisce quello in vigore dal 1973. I nuovi livelli, anche se non cambia nulla sui minimi salariali, non sono più legati alla mansione svolta e all’esperienza ma a presunte capacità del singolo (autonomia, conoscenza della lingua, adattabilità, responsabilità…), cosa che potrebbe mettere in difficoltà soprattutto i neo assunti che faranno più fatica a passare al livello successivo (anche se in realtà sappiamo benissimo che già oggi viene premiato generalmente chi si «comporta bene»…), ma adesso si va ancora più verso un piano più soggettivo anche nel caso di ricorsi al giudice del lavoro.

Per quanto riguarda la parte sulla violenza di genere, anche se può sembrare un passo avanti, già sappiamo, per esperienze pregresse in altri campi (vedi pandemia Covid), che nessuno vigilerà realmente, senza dimenticare che spesso le donne vittime di violenza sono nei fatti impossibilitate a denunciare il fatto. Per queste ragioni riteniamo questo contratto pessimo e pertanto invitiamo i lavoratori e le lavoratrici metalmeccaniche a respingere questo accordo a partire dal voto contrario nelle assemblee dei prossimi giorni.

 

Serve ricostruire i rapporti di forza

I funzionari di Fim, Fiom e Uilm andranno dai lavoratori a presentare questo accordo come una gran vittoria, porteranno alta la bandiera dell’aumento salariale, ma, per quanto descritto sopra, abbiamo già capito che si tratta dell’ennesimo inganno ai danni dei lavoratori. Di fatto non si poteva pretendere di più da una trattativa condotta dopo sole quattro ore di sciopero. Il problema vero, infatti, risiede proprio qui, nella mancata volontà dei dirigenti sindacali di chiamare i lavoratori alla lotta. Lavoratori che, a differenza di quello che continuano a raccontarci, hanno dimostrato di essere pronti alla mobilitazione come abbiamo potuto constatare con gli scioperi di marzo scorso contro il rischio contagio, ma anche nell’elevata partecipazione alle stesse quattro ore indette per il contratto (2). I dirigenti confederali, Fiom in testa, hanno scelto un’altra strada, quella della concertazione ad ogni costo e questo, unito al processo di deindustrializzazione in corso nel nostro Paese, con le aziende che delocalizzano dove i salari sono più bassi, ha portato a una sempre maggiore perdita di salario e diritti per i lavoratori e le lavoratrici. I padroni riescono cosi a piegare i rapporti di forza a loro favore utilizzando il ricatto del posto di lavoro, con la minaccia costante di chiudere la fabbrica qui e di portarla altrove. È necessario per i lavoratori cambiare con la lotta i rapporti di forza per non rischiare di arretrare di parecchi anni sul piano dei diritti, del salario e delle condizioni di vita dentro e fuori dalla fabbrica.

 

Unirsi nella lotta

Per invertire questo processo di preoccupante arretramento in corso, è necessario scavalcare le direzioni opportuniste, che fanno il gioco dei padroni a volte anche «solo» per garantirsi il distacco sindacale e non tornare a faticare in catena di montaggio. Infatti, anche quando chiamano alla lotta, dopo che gli operai e le operaie hanno passato lunghe e sfiancanti giornate nei presidi davanti ai cancelli della fabbrica che ha minacciato la chiusura, poi finiscono per svendere la lotta e ai lavoratori concedono solo qualche mese di ammortizzatori sociali con conseguente perdita immediata di salario e perdita definitiva del posto di lavoro subito dopo. È il caso recente della Voss di Osnago (LC), multinazionale metalmeccanica in fase di dismissione per delocalizzazione, in cui i lavoratori e soprattutto le lavoratrici hanno animato un presidio permanente di oltre quaranta giorni nella parte più rigida dell’inverno. La vertenza si è chiusa con un accordo sottoscritto da Fim-Cisl e Fiom-Cgil dove viene prolungata la cassintegrazione ai lavoratori in attesa che un nuovo padrone venga a ricollocare i medesimi in una nuova attività.

Si è parlato di «vittoria dei lavoratori» ma in realtà è il solito inganno perpetrato ai loro danni da chi per anni ha rinunciato ad ogni forma di lotta su scala nazionale, l’unico modo di sovvertire gli attuali rapporti tra le due classi in scontro. Le fabbriche che chiudono vanno nazionalizzate senza indennizzo e poste sotto il controllo dei lavoratori, questa è l’unica soluzione per risolvere questo tipo di vertenze. Per ottenere questo, però, serve unire tutti i lavoratori coinvolti nelle tante crisi aziendali aperte (Whirpool, Bekaert. Alitalia, Ex Ilva tra le tante), in un’unica grande mobilitazione nazionale ed anche internazionale. Serve unire i lavoratori in un fronte unico di lotta che consenta loro di organizzarsi e non cadere nelle trappole di chi dice di curare i loro interessi ma poi in realtà si occupa di quelli della controparte.

Solo così si potranno creare le basi per la costruzione di un vero sciopero generale (3), punto di partenza necessario per poter creare le condizioni ideali per cambiare dalle fondamenta questa società: solo così i lavoratori potranno riprendersi quanto è stato loro tolto in questi anni sul piano dei diritti, del salario, della sicurezza e della dignità sul luogo di lavoro. Così anche i metalmeccanici, e non solo, potranno sperare di ottenere un contratto nazionale degno di questo nome: questo è quello che vogliamo! La concertazione non è la strada giusta! Basta fare sacrifici e rinunce solo «per qualche dollaro in più…»

 

*lavoratore metalmeccanico Fiom

Note:

 

 

 

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