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Trump e Israele: giù le mani da Gerusalemme!

Trump e Israele:

giù le mani da Gerusalemme!


 

dichiarazione della Lega Internazionale dei Lavoratori – Quarta Internazionale

 

palestina_foto

 

 

Donald Trump ha recentemente rivelato la vera posizione dell’imperialismo nordamericano, riconoscendo Gerusalemme come capitale dello Stato sionista e annunciando il trasferimento in quella città dell’ambasciata degli Stati Uniti in Israele. Per far fronte a una situazione instabile della politica interna degli Usa, Trump il 6 dicembre ha preso una posizione che può provocare l’esplosione di una nuova ondata di mobilitazioni in Palestina, in tutto il Medio Oriente e nel mondo intero. Infatti, questa presa di posizione significa riconoscere a Israele il totale controllo della Palestina e sancire la definitiva sottomissione dei palestinesi a un regime di apartheid coloniale e razzista. Significa persino abbandonare qualsiasi possibilità di accordo sui tanto sbandierati “due Stati”, cioè abbandonare persino la linea ufficiale dell’imperialismo, dell’Onu, del Vaticano.

Questa decisione, d’altro canto, si pone in continuità con il tristemente celebre “processo di pace”, sostenuto dalla direzione dell’Olp a partire dagli Accordi del 1993. Con questo gesto, Trump mantiene le sue promesse della campagna elettorale al primo ministro di Israele, Netanyahu, che ha immediatamente salutato questa decisione come la prova del fatto che la sua politica basata sulla pulizia etnica, sulla colonizzazione e sul genocidio di Gaza gode del sostegno del principale imperialismo.

I palestinesi non hanno dubbi sul suo status: Gerusalemme è la capitale storica della Palestina. Hanno reagito subito alla decisione di Trump, dando il via alle “Giornate della Collera”, che già erano state annunciate. In questo momento sono in corso proteste per le strade della Palestina occupata e delle capitali dei vicini Paesi arabi, come Amman (Giordania) e Beirut (Libano). Anche nei campi profughi della regione i palestinesi si sono ribellati contro questa provocazione.

A Gerusalemme e nel resto della Palestina occupata l’appello a mobilitarsi ha un gran riscontro e anche i palestinesi della diaspora sono inferociti. Nella Striscia di Gaza a centinaia partecipano alle “Giornate della collera”. Alcuni gruppi di resistenza pretendono dall’Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina) la messa in discussione del suo riconoscimento dello Stato di Israele, il che significherebbe rimettere in campo l’unica rivendicazione corretta, abbandonata dall’Olp: quella di uno Stato palestinese unico, laico, libero e democratico in tutto il territorio storico usurpato dal sionismo. In altre parole, la fine dello Stato di Israele.

Nata nel 1964, l’Olp riconosce lo Stato di Israele nel 1988. Nel settembre 1993, Yasser Arafat e Yizah Rabin si stringono le mani di fronte alla Casa Bianca, firmando i tragici accordi di Oslo, basati sulla proposta di due Stati (Israele nel 78% del territorio storico della Palestina, e per i palestinesi il restante 22%). Lì si crea l’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) per amministrare l’occupazione. A essa viene delegata l’amministrazione della cosiddetta area A (solo il 18% della Cisgiordania), senza tuttavia nessuna autonomia, in cooperazione con Israele e in una condizione di totale dipendenza economica. Il resto sarebbe restato sotto il controllo parziale o - la maggior parte – totale di Israele. Da allora fino ad oggi la colonizzazione si è estesa, e il processo continua anche oggi.

I cinque milioni di profughi, i migliaia che vivono la diaspora, il milione e mezzo di palestinesi che rimangono dove oggi c’è lo Stato di Israele sottomessi a più di sessanta leggi razziste, non sono contemplati nella cosiddetta “soluzione dei due Stati”. Si tratta di una resa al progetto coloniale da parte dell’Olp e a un apartheid istituzionalizzato.

Un giorno prima della sua dichiarazione, Trump ha cercato di preparare il terreno insieme  con la collaborazionista Anp. Si è riunito col suo presidente, Mahmoud Abbas, e lì ha annunciato la sua decisione. Abbas ha affermato che si sarebbe trattato della fine del “processo di pace” e ha chiesto all’Onu di intervenire contro questa decisione. Però la posizione “a favore della pace”, a favore dei due Stati, formalmente espressa dall’Onu e dai Paesi europei non sarà – come mai è stata – un ostacolo per la prosecuzione della politica di Netanyahu, ora sostenuta ufficialmente da Trump.

Solo un’insurrezione come avvenuto nelle precedenti Intifada e l’appoggio internazionale di massa alla causa palestinese possono far retrocedere Trump e Israele. I dirigenti tradizionali palestinesi affermano che la decisione di Trump pregiudica la tristemente celebre proposta dei due Stati; al contempo, il rappresentante della Anp non ha perso tempo nell’affermare che “si farà di tutto per impedire una possibile Intifada”.

Gerusalemme è stata punto nevralgico per l’addomesticamento della resistenza, e questo Abbas lo sa. Anche i governi arabi borghesi, alleati con l’imperialismo e nemici della causa palestinese, vorrebbero controllare la rivolta, la quale, considerata la centralità della questione, potrebbe provocare una nuova ascesa delle lotte nella regione. Non è nelle mani di questi dirigenti la liberazione della Palestina, quanto piuttosto dei lavoratori arabi e palestinesi, insieme con l’avanguardia della gioventù: sono loro che devono costruire un’alternativa rivoluzionaria, senza nessuna fiducia nelle vecchie direzioni. I palestinesi questo lo sanno.

La città di Gerusalemme negli ultimi tempi è stata al centro di molte proteste contro l’aggressiva espansione coloniale e la “giudaizzazione” forzata da parte di Israele. L’esplicito avallo da parte dell’imperialismo può essere la goccia che fa traboccare il vaso di un’Intifada che a partire dal 2011 cresce sempre più nella Palestina occupata: tutto questo nel mezzo di un processo rivoluzionario che riguarda tutto il mondo arabo. Hamas si è pronunciato a favore dell’Intifada.

Questa lotta dei palestinesi deve ricevere la solidarietà dei lavoratori e delle masse popolari di tutto il mondo. Se l’imperialismo procede con questa politica in Palestina sarà considerato un attacco a tutte le lotte dei popoli oppressi dall’imperialismo.

Trump deve ricevere una risposta nelle strade per questo attacco ai diritti dei palestinesi. In tutto il Medio Oriente la causa palestinese è vista come l’elemento centrale della lotta contro l’imperialismo. In tutto il mondo è necessario respingere con fermezza questa decisione di Trump di sostenere attivamente la pulizia etnica dei palestinesi da parte dello Stato sionista.

E’ necessario scontrarsi con l’imperialismo come ai tempi della guerra in Vietnam e dell’invasione dell’Iraq. Noi ci uniamo in questo momento alle “Giornate della Collera” cui hanno fatto appello i palestinesi.

 

Appoggio incondizionato alla resistenza palestinese, in ogni sua forma! Per una nuova Intifada!

 

Per il rafforzamento della solidarietà internazionale, pieno appoggio al BDS (Campagna di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni) ai danni di Israele.

 

Per una Palestina laica, libera, democratica e antirazzista! Per la fine dello Stato razzista di Israele!

 

(traduzione dallo spagnolo di Fabiana Stefanoni)

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