Accuse di furto del sito web, brogli nelle plenarie di base e aggressioni fisiche: tutto è stato reso pubblico nella preparazione della Conferenza Nazionale di questo partito. Alla fine, si sono svolte due conferenze separate, ciascuna con un blocco significativo del partito e accuse di una parte contro l’altra.
In una delle conferenze, Plínio de Arruda Sampaio, precandidato alla presidenza ha affermato che “Martiniano e suoi seguaci non sono comparsi”, sicché “Plínio è stato votato all’unanimità”. Ha anche detto che i seguaci di Martiniano hanno commesso dei brogli nelle plenarie di base. L’altro blocco, che si definisce “maggioranza dei delegati eletti”, accusa i seguaci di Plínio di aver vinto attraverso cavilli burocratici: il direttivo nazionale, cioè, avrebbe impugnato l’elezione dei delegati di Acre e Roraima che appoggiavano la candidatura di Martiniano per trasformare la minoranza (i seguaci di Plínio) in maggioranza. Il presidente, nonché maggiore figura pubblica del Psol, Heloísa Helena, è una di quelli che mettono fortemente in discussione l’indicazione di Plínio.
Fra i due blocchi si è addivenuti a un “accordo tattico” per concorrere alle elezioni, ma senza concordare sulla candidatura unitaria alla presidenza. Il blocco Mes-Mtl-Heloísa non ricorrerà alla giustizia, però non farà campagna per Plínio. Lo scontro è stato differito a dopo le elezioni, a partire dai rapporti di forza che si consolideranno sulla base dei parlamentari che saranno eletti ad ottobre. Una parte dei militanti del Psol può stare più tranquilla, perché “alla fine, Plínio è stato indicato”. Però: che partito è questo in cui il candidato affronterà buona parte della campagna spiegando perché l’altra metà del partito (compreso il suo presidente) è contro di lui? Che partito è questo, se la semplice elezione di un candidato fa ipotizzare una spaccatura a metà?
Alcuni credono che la crisi si spieghi con lo scontro fra Martiniano e Plínio. Ma questa è solo la forma esteriore in cui la crisi si manifesta. Non si può comprendere uno scontro tanto violento per l’elezione di un candidato che, come tutti sanno, non avrà un grande risultato. Non ci sarà per caso una spiegazione più profonda nella concezione con cui il Psol è stato creato e costruito?
Noi non crediamo che la crisi si spieghi con la lotta di una parte buona contro una cattiva. Ciò non significa che non vi siano errori grossolani e inammissibili; ma è la concezione elettoralista di partito, su cui la maggioranza delle due parti concorda, che è sbagliata e origina questa crisi. Tali eventi non possono essere motivo di compiacimento per nessuno. Questo tipo di crisi ha conseguenze nefaste per tutta la sinistra. Non si stanno discutendo programmi differenti, ma si discute di chi ha rubato il sito web, di chi ha fatto brogli e dove. Ciò rafforza lo scetticismo, il sentimento anti-partito nell’avanguardia.
Perciò è necessario chiarire l’origine di questa crisi, affinché non crescano semplicemente la disillusione e la mancanza di prospettive. Qui noi vogliamo dare un’opinione, necessariamente limitata, provenendo da chi ha seguito la crisi dall’esterno.
Quando il Psol fu creato, si disse che il suo funzionamento, basato sul fatto che “tutti fanno ciò che vogliono”, era l’espressione di un partito “democratico”. La verità è che si tratta di un partito elettoralista, che ruota intorno ai parlamentari, che – essi sì – possono fare ciò che vogliono, indipendentemente dalla volontà della militanza del Psol.
L’esempio più evidente, e che ha costituito la miccia di questa crisi, è stata la rinuncia di Heloísa Helena a correre per la presidenza del Paese. La sua candidatura era appoggiata dalla stragrande maggioranza dei militanti, ma ella ha privilegiato la sua elezione al senato di Alagoas, a costo di far scoppiare una crisi del partito. Ma se lo ha potuto fare è perché il Psol è un partito elettoralista in cui i parlamentari e le figure pubbliche fanno ciò che vogliono.
Con la rinuncia di Heloísa si è aperta la disputa su chi avrebbe dovuto essere il candidato alla presidenza. La discussione è degenerata in uno scontro fratricida perché, per i parlamentari del partito, ciò significa la lotta per il controllo dell’apparato nazionale del Psol. Inoltre l’indicazione di un candidato alla presidenza può agevolare o rendere più difficile la rielezione di uno o un altro parlamentare se dello stesso Stato.
Ciò che spiega questa crisi violenta è il peso decisivo dei parlamentari in un partito elettoralista.
Le accuse di brogli nelle plenarie sono generalizzate. Non ci addentriamo in questa disputa, non ne abbiamo l’intenzione. Ma nessuno dei due blocchi mette in discussione la metodologia in base alla quale si sono svolte queste plenarie. Il Psol funziona esattamente come il Pt [il partito di Lula, al governo, ndt], con le decisioni che vengono prese dai simpatizzanti. I militanti del Psol, quelli che partecipano ai movimenti sociali, che costruiscono il partito nella base, non sono quelli che decidono. Sono i simpatizzanti a decidere, pur non avendo nessun impegno con la militanza.
Questa è una delle caratteristiche dei partiti elettoralisti, difesa come espressione di “partito aperto”, “largo”. In realtà ciò privilegia chi possiede un apparato (i parlamentari, per lo più), per portare in autobus i simpatizzanti a votare in plenarie truccate. I momenti più vivi del percorso che ha portato alla Conferenza sono stati le plenarie in cui si è svolto il dibattito dei candidati, che in generale hanno riunito i militanti del Psol. Però i militanti lì riuniti non votano, perché a decidere sono i simpatizzanti, portati da chi possiede un apparato.
Questa metodologia, oltre ad essere assolutamente antidemocratica, rende più facile organizzare brogli, sia nelle plenarie di base che nei ricorsi contro il loro svolgimento, per cambiare i rapporti di forza. Non è stata “la base” a decidere la Conferenza, bensì una lotta violenta delle cupole parlamentari del partito.
Esiste una morale borghese, approfondita dal neoliberismo, che può essere riassunta nell’espressione “tutto è lecito” pur di conseguire un obiettivo. Questa morale è patrimonio di partiti elettoralisti come il Pt, in cui si fa ogni tipo di manovra per diventare deputati o accedere a cariche di governo. Menzogne, calunnie, brogli, aggressioni fisiche, tutto è consentito per ottenere un incarico e i suoi vantaggi materiali.
Non è vero che il movimento operaio non ha morale. L’accusa rivoltaci dalla borghesia, in base a cui per la sinistra “il fine giustifica i mezzi”, è solo un’ autogiustificazione della sua stessa morale in cui invece tutto è lecito.
Nel movimento operaio una morale distinta sorge dalla stessa lotta. In uno sciopero, ad esempio, è naturale la solidarietà di classe, la fratellanza fra coloro che si mobilitano. Chiunque abbia partecipato a uno sciopero ha senz’altro vissuto questa esperienza. Per il movimento operaio non tutto è lecito: lo è ciò che rafforza il movimento. Le calunnie, i brogli, indeboliscono il movimento e non sono giustificabili. La fratellanza, la solidarietà, il dibattito rispettoso delle idee, rafforzano invece il movimento.
È per questo che l’attuale crisi del Psol è demoralizzante e si ripercuote su tutta l’opposizione di sinistra. Non si è discusso di programmi e strategie, ma di chi ha rubato e a chi. Il “tutto è lecito” che esisteva nel Pt si è generalizzato nel Psol.
Esiste una congiuntura politica che aiuta a spiegare la crisi del Psol. Il peso del governo Lula fra i lavoratori e i giovani limita di molto lo spazio elettorale per un’opposizione di sinistra. Ciò spiega perché Heloìsa Helena non abbia voluto accettare la candidatura alla presidenza. Spiega anche perché almeno una parte degli attuali parlamentari di questo partito senta la rielezione a rischio. Per questo si agisce con tanta virulenza per la disputa dell’apparato del Psol.
Questa stessa congiuntura, tuttavia, se analizzata da un altro punto di vista, fuori dall’elettoralismo, può permettere importanti avanzamenti nell’analisi. Esistono mobilitazioni salariali significative in corso nel Paese. Il Congresso della Classe Lavoratrice che si terrà a giugno punta a un’unificazione che può essere la principale conquista del movimento contro il governo Lula. E anche in termini elettorali è possibile fare una campagna importante con un programma classista e socialista, che abbia una prospettiva differente per i lavoratori.
Il Pstu difende un’altra concezione di partito, con un funzionamento organico basato sul centralismo democratico. Sia la borghesia che i partiti elettorali definiscono questa forma di funzionamento leninista “antidemocratica”, poiché esige che tutti applichino la stessa politica una volta che sia stata votata.
In realtà, questo è il funzionamento più democratico. Sono i militanti a decidere nei congressi e nelle conferenze di partito quale politica sarà applicata da tutti. Dopo un ampio e democratico dibattito, si vota la politica e tutti la applicano. Non esiste alcun privilegio per le figure pubbliche e i dirigenti del partito.
Nelle elezioni del 2006, il Pstu tenne una conferenza elettorale per discutere la tattica da applicare. Tre posizioni vennero discusse (fronte di sinistra, candidatura autonoma o voto nullo) in un libero, ampio e democratico dibattito. Fu votata a maggioranza la tattica del fronte di sinistra, applicata da tutti. Si tratta di un funzionamento molto più democratico di quello dei partiti elettoralisti. In questi partiti, come il Pt e il Psol, apparentemente c’è ampia libertà, ma in realtà si tratta di un centralismo burocratico dei parlamentari. Essi hanno accesso alla stampa e le posizioni del partito che appaiono sono le loro, indipendentemente dall’opinione dei militanti. E possono determinare l’attività del partito, che ruota intorno a loro, così come i parlamentari del Psol hanno determinato la deplorevole dinamica dell’attuale crisi.
(traduzione dal portoghese di Valerio Torre)