La crisi alimentare è ormai mondiale
Egitto: rivolta per il pane!
di Davide Margiotta
In Egitto
circa il 40% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà,
nonostante una impetuosa crescita economica del 7% annuo, cui corrisponde un
aumento del divario tra ricchi e poveri.
I prezzi aumentano quotidianamente e l'inflazione ufficiale (ben al di sotto di quella reale) è del 12,3%. In particolare il prezzo del pane, oggetto di speculazioni economiche da parte dei burocrati del regime di Mubarak, è al centro delle lotte di queste settimane. La situazione è esplosiva: crisi economica e perdita di fiducia nel vecchio regime disegnano una situazione potenzialmente rivoluzionaria.
Prove generali di rivoluzione
Il 6 aprile uno sciopero
degli operai dell'area industriale di Mahalla al Kubra per ricevere aumenti
salariali (da 30 lire, circa 34 euro, a 1200) e bloccare la privatizzazione della
fabbrica tessile di Mahalla, una delle più grandi al mondo, è quasi sfociato in
uno sciopero generale, sfumato per la repressione brutale del regime di Mubarak,
ma ha dato il via ad una rivolta contro il regime e contro il carovita di
enorme portata. La protesta è dilagata nelle strade e nelle piazze, e altri
scioperi si sono verificati nel Paese, mentre anche in diverse Università come
quelle del Cairo, di Helwan o di Ain Shams molte aule sono rimaste vuote. Migliaia
di dimostranti hanno incendiato edifici, saccheggiato negozi e ingaggiato
scontri con la polizia. Gli operai e i dimostranti sono arrivati persino a occupare
la sede del comune!
Il regime di Mubarak, beniamino
delle grandi potenze imperialiste, ha represso la rivolta nel sangue: durante
gli scontri a Mahalla due dimostranti sono stati uccisi. 30 i feriti e oltre
500 gli arresti. Mentre le resse provocate dalle interminabili code per
l'acquisto del pane a prezzo calmierato, quello pagato in buona parte dallo
Stato e che rappresenta l'alimento principale per i poveri, hanno causato
almeno 15 morti.
L'organizzazione islamica
reazionaria dei fratelli Musulmani, molto influente nel Paese ma non nelle
fabbriche, ha dichiarato di non aver avuto nessun ruolo nello sciopero, sebbene
si sia dichiarata a favore del diritto di sciopero. L'Egitto sta vivendo una
ascesa della lotta di classe di grande portata, e solo la mancanza di una
direzione rivoluzionaria all'altezza del compito impedisce che le lotte e le
rivendicazioni parziali di questi mesi portino a una vera e propria rivoluzione
sociale oltre che politica.
Il governo egiziano, a
partire dagli anni Novanta, ha lanciato un'ondata di privatizzazioni del
settore industriale pubblico e delle imprese finanziarie che ha provocato una
consistente risposta operaia misurabile dall'incremento esponenziale delle
manifestazioni e degli scioperi. L'aumento delle disparità sociali secondo il
regime sarebbero da imputare alla crescita demografica. In realtà il vero
colpevole è il programma di privatizzazioni, che ha avuto un massiccio impulso
negli ultimi tre anni, con l'ascesa politica di Gamal, figlio dell'attuale
presidente Hosni Mubarak. Il nuovo corso egiziano ha sposato in pieno la linea
del Fmi e della Banca Mondiale: mettere in vendita tutto il possibile, compresa
la Banque du Caire destinata a seguire il destino della Banca di Alessandria, passata
alla italiana San Paolo.
Come detto, i benefici della
crescita economica non arrivano alle masse popolari: la disoccupazione cresce
(negli ultimi anni sono stati persi 630 mila posti di lavoro), mentre la
crescita economica è azzerata dall'inflazione.
Il capitalismo affama i popoli: serve un'alternativa comunista!
Quello che sta succedendo in
Egitto non è un caso isolato. L'impennata dei prezzi di grano, riso, soia, mais
sta investendo il pianeta. Il riso ha subito un apprezzamento del 50% in un
mese, mentre il prezzo del grano è raddoppiato. Contestazioni e proteste sono
scoppiate in Tunisia, Haiti, Mauritania, Mozambico, Costa d'Avorio e altri
Paesi.
La Banca Mondiale stima che
l'esplosione dei prezzi può far precipitare nella fame cento milioni di
persone.
L'impennata dei prezzi è
dovuta "ufficialmente" a diversi fattori: dall'abbassamento delle riserve,
soprattutto grano e mais, alla siccità che ha colpito l'Australia;
dall'impennata della domanda di produzione agricole per i biocombustibili, alla
accresciuta richiesta di cibo da parte di Paesi come India e Cina. Ma secondo Antonio
Onorati, presidente del Centro internazionale Crocevia, le cifre della
produzione dicono che la crisi ha ben altre origini: "Non c'è diminuzione di produzione, che si mantiene a un livello adeguato
per rispondere all'aumento della popolazione mondiale. Quanto sta accadendo è
completamente al di fuori della logica della domanda e dell'offerta. La piena
liberalizzazione del settore agricolo ha spinto riso, cereali e altri prodotti
sotto la lente dei mercati finanziari. Una buona spinta a questa corsa al
rialzo dei prezzi è dovuta alla speculazione finanziaria. Inoltre c'è la corsa
del petrolio che incide molto su politiche agricole sempre più industrializzate".
Per uscire dalla spirale ci
sono solo due vie: sottrarre la produzione alimentare alle grinfie dei grandi
gruppi finanziari e ridisegnare il modo di produrre.
In molti Paesi come Egitto, Haiti,
Camerun, Costa d'Avorio, Burkina Faso e altri sono scoppiate vere e proprie
rivolte "per il pane". Mentre in Pakistan e Thailandia i governi hanno inviato
l'esercito a fare la guardia ai campi e ai magazzini. Secondo la Fao la crisi
alimentare riguarda per ora 37 Paesi nel mondo e nei Paesi dipendenti la spesa
per il cibo arriva ad assorbire fino all'80% dei consumi complessivi, contro il
20% dei Paesi industrializzati.
In India, dove negli ultimi
due mesi il prezzo del riso è cresciuto del 33%, il governo ha proibito
l'esportazione del riso non-basmati, misura che potrebbe provocare ulteriori
aumenti del prezzo del riso sui mercati mondiali, essendo il Paese il secondo
maggior produttore di riso dopo la Cina.
Stando ai dati della Banca
mondiale, dal 2005 al 2007 il grano è aumentato del 70%, i cereali dell'80% e i
prodotti caseari del 90%. Tutti i Paesi più colpiti dall'aumento dei prezzi
agricoli hanno seguito le ricette di Fmi e Banca Mondiale favorendo la crescita
dei prodotti per l'esportazione, sotto il controllo delle multinazionali, a
detrimento delle colture tradizionali destinate a garantire l'autosufficienza
alimentare locale. In altre parole è l'imperialismo che affama i popoli.
Tutti questi avvenimenti
devono essere di lezione al proletariato di tutto il mondo: il capitalismo,
cioè nella nostra epoca l'imperialismo, non è in grado di sfamare i popoli
della terra. Le sue ricette economiche per uscire dalla crisi sono frutto del
passato e si rivelano del tutto inutili. E' urgente costruire una
internazionale rivoluzionaria con sezioni in ogni Paese (progetto in cui sono
impegnate la Lit e Alternativa Comunista, sua sezione italiana) per guadagnare
il proletariato politicamente attivo alla comprensione che questo stato di cose
può essere rovesciato solo in una prospettiva socialista. Solo il socialismo,
abolendo la proprietà privata dei mezzi di produzione e la conseguente
divisione in classi della società, è in grado di garantire pace e prosperità
all'umanità: un orizzonte in cui i lavoratori decidano dove, quanto, cosa
produrre.