Fuori l’imperialismo
dalla penisola coreana!
Nessun appoggio politico al dittatore Kim Jong-un
dichiarazione della Lit-Quarta Internazionale
Nella
prima settimana di aprile, Kim Jong‑ un, il giovane dittatore della Corea del
Nord, ha minacciato, gli Stati Uniti, paventando un attacco nucleare e
promettendo una pioggia di missili sul continente americano e sulle basi
militari delle Hawaii e di Guam.
Ha
dichiarato lo “stato di guerra” contro la Corea del Sud, annunciando
l’intenzione di riattivare un reattore per la produzione di plutonio
nell’insediamento nucleare di Yongbyon, e ha impedito agli amministratori
sudcoreani di entrare nel complesso industriale di Kaesong, dove le imprese
della Corea del Sud impiegano 53.000 nordcoreani pagando salari bassissimi.
Tutto ciò si è verificato dopo che il regime ha condotto un test nucleare, il
terzo, il 25 febbraio scorso, ricevendo nuove sanzioni dal Consiglio di
Sicurezza delle Nazioni Unite, con l’avallo di Pechino.
Inoltre,
le misure sono una risposta alle esercitazioni congiunte delle forze armate
degli Stati Uniti e della Corea del Sud nella regione, realizzate con l’invio
di bombardieri americani B2, invisibili ai radar, e caccia F22 . I bombardieri
B2 possono trasportare 16 bombe nucleari di 1.100 kg ciascuna.
È da
tempo che l’imperialismo muove forze sempre maggiori verso la regione asiatica,
anche a scapito di altre regioni. In questo quadro, l’escalation del conflitto
ha portato gli Stati Uniti a spostare due cacciatorpediniere con missili
teleguidati nel Pacifico occidentale – la Uss John S. McCain e la Uss Decatur –
con il pretesto di predisporre una difesa contro i missili balistici
nordcoreani. Allo stesso tempo, il presidente sudcoreano Park Chung‑ hee ha
dichiarato: “Se la Corea del Nord provoca o compie atti contrari alla pace,
dobbiamo essere certi che non ne tragga alcun vantaggio e che ne paghi il
prezzo, ma se mantiene le sue promesse, il Sud farà lo stesso”.
Queste
dichiarazioni del presidente dissimulano un rafforzamento qualitativo delle
forze armate sudcoreane con armi di nuova generazione fornite
dall’amministrazione Obama, come aerei ultramoderni non ancora utilizzati dalla
Usaf (United States Air Forces) ma che già sono stati assegnati alla Corea del
Sud. Vale a dire, la Corea del Sud può distruggere il Paese confinante.
Questa
non è la prima volta che si verificano scontri tra la Corea del Nord e gli
Stati Uniti, sostenuti dalla sua semicolonia sudcoreana. Il 25 maggio 2009 la
Corea del Nord condusse il suo secondo test nucleare. Immediatamente, il
presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, chiese al mondo di “far fronte alla
Corea del Nord”. L’allora segretario alla Difesa Robert Gates disse: “Non
resteremo a guardare mentre la Corea del Nord si organizza per seminare
distruzione su qualsiasi obiettivo in Asia o su noi”.
Apparentemente,
la “animazione” imperialista in questo periodo non ha avuto effetti. Secondo il
quotidiano New York Times, “anche se tre successivi presidenti hanno
detto che non avrebbero tollerato una Corea del Nord nuclearizzata, sono stati
costretti a tollerarla”.
La questione nucleare e l’ipocrisia imperialista
Gli
Stati Uniti sono stati il primo Paese a sviluppare armi nucleari. Hanno
realizzato più di mille test nucleari, esponendo milioni di persone a
radiazioni, e hanno sviluppato molti sistemi di trasporto a lunga distanza.
Tra
il 1940 e il 1996, gli Usa hanno speso almeno 8.500 miliardi di dollari (in moneta
corrente) per lo sviluppo di armi nucleari. Si stima (dato del 2010) che
possiedano un arsenale di 5.113 testate in circa 20 impianti in tutto il Paese.
Nel
Trattato di non proliferazione nucleare, di cui sono stati ideatori e primi
firmatari nel 1968, si legge che gli Stati Uniti sono uno dei cinque Stati
autorizzati a conservare un arsenale nucleare. Non a caso, questi cinque Paesi
fanno parte del Consiglio di Sicurezza permanente delle Nazioni Unite.
Questi
dati dimostrano sufficientemente tutta l’ipocrisia dell’unico Paese che ha
usato armi nucleari, come nel bombardamento di Hiroshima e Nagasaki durante la
seconda guerra mondiale, e che si erge a difensore della pace nel mondo, con
una permanente politica di invasione di nazioni considerate “nemici della
democrazia”.
Inoltre,
usa il suo potere per punire o proteggere le nazioni nuclearizzate secondo i
propri interessi. Così, dopo che l’India e il Pakistan ebbero testato armi
nucleari nel 1998, il presidente Bill Clinton ha imposto sanzioni economiche ad
entrambe. Nel 1999, tuttavia, le sanzioni sono state tolte all’India, ma non al
Pakistan, considerato un Paese con un governo “ostile”. Tuttavia, la necessità
di utilizzare il Pakistan come base per invadere l’Afghanistan ha indotto nel
2001 il presidente George W. Bush a sospendere le sanzioni contro quel Paese.
E
mentre attuano una politica di silenzio in relazione a Israele, pur sapendo che
questo Paese ha tra le 200 e le 300 testate nucleari, gli Stati Uniti
minacciano di attaccare e imporre sanzioni contro l’Iran e la Corea del Nord,
perché questi Paesi non sono suoi alleati docili. In tal modo, la politica è
chiara: e non è quella di “rafforzare la democrazia contro la dittatura",
come dimostra il continuo sostegno degli Stati Uniti a Israele, all’Arabia
Saudita e a tanti altri Paesi. Il problema è che la Corea del Nord non è una
sua semicolonia e quindi vuole costringerla ad arrendersi attraverso le
sanzioni e un assedio, con la complicità dell’Onu, che funge da forum in cui
tutti si aggregano alla politica dell’imperialismo.
La priorità della Cina è quello di difendere i propri interessi
La
Cina è il principale alleato della Corea del Nord, con una politica simultanea
di rifornimento di energia e beni di consumo e di dominio economico sul Paese.
Si stima che la Cina fornisca il 90% di energia e l’80% dei beni di consumo “in
cambio” del controllo delle frontiere e della penetrazione della sua borghesia
in quel Paese, dal momento che il capitalismo è stato restaurato nella Corea
del Nord negli anni Novanta.
A
causa di questi legami politici ed economici, i portavoce dell’imperialismo
utilizzano la stampa mondiale per reclamare dalla Cina una soluzione
all’attuale conflitto che non si limiti all’appoggio alle sanzioni imposte dal
Consiglio di sicurezza dell’Onu, ma che assuma provvedimenti concreti, come il
blocco dei conti bancari di Kim Jong‑ un (stimati in centinaia di milioni di
dollari) e l’embargo commerciale.
La
Cina, invece, tiene conto di altri fattori. La sua influenza sulla Corea del
Nord è strategica, poiché controlla uno Stato‑ cuscinetto che confina con la
Corea del Sud – una semicolonia degli Stati Uniti – nella sua regione nord‑
orientale. Ritiene inoltre importante avere rapporti di amicizia con un Paese
che padroneggia la tecnologia nucleare nel suo “cortile di casa”.
Perciò
insiste nel risolvere il conflitto attraverso il negoziato, senza imporre
pesanti sanzioni alla Corea del Nord e senza smettere comunque di cooperare con
la politica imperialista che mira a mettere fine al programma nucleare nord
coreano: ciò che è nel suo stesso interesse, poiché, a suo modo di vedere, la
cessazione del programma nucleare nordcoreano farebbe venir meno il pretesto
per una massiccia presenza militare americana in Asia orientale.
Sospinto
da queste esigenze, l’8 aprile scorso il presidente della Cina, Xi Jinping, ha
dichiarato al Forum di Boao che “a nessuno è permesso di trascinare una regione
o addirittura il mondo intero nel caos, per il proprio profitto”. Però ha
promesso “sforzi incessanti per risolvere adeguatamente l’importante questione
attraverso il dialogo e il negoziato”.
Con
questa politica di pressione e negoziato, la Cina cerca di convincere la Corea
del Nord ad abbandonare il suo programma nucleare, offrendole il proprio
arsenale come protezione. In questo modo, raggiungerebbe due obiettivi: da una
parte, una ancor maggiore dipendenza della Corea del Nord, e, dall’altra,
cercherebbe di negoziare la riduzione della presenza militare statunitense
nella regione, come ricompensa per i suoi buoni servigi. Senza contare inoltre
che dimostrerebbe di cooperare con l’Onu e gli Stati Uniti, il tutto in nome
della “pace mondiale”.
Una dittatura che si alimenta della fame del suo stesso popolo
La
stampa e l’imperialismo continuano, consapevolmente, a caratterizzare la Corea
del Nord e il suo dittatore, come “comunisti”. A questo proposito abbiamo
spiegato in un articolo precedente (“La morte di Kim Jong‑ il porta incertezza
alla Corea del Nord”): “Definire ‘comunista’ un Paese governato col pugno di
ferro da una dittatura militare capace di trasformare il suo regime in una
dinastia ereditaria e di condurre il suo popolo al genocidio per fame in nome
della ‘priorità militare’ come pilastro costituzionale del Paese, provoca
repulsione in qualsiasi rivoluzionario onesto del mondo”.
Questa
realtà si conferma. L’ex Stato operaio, reintegrato nel capitalismo negli anni Novanta
(v. l’articolo citato) dal padre dell’attuale dittatore, è uno dei più poveri
dell’Asia. Secondo il giornale The Economist (“Dietro il culto di Kim”,
6/4), un bambino su quattro soffre di malnutrizione cronica. Anche se il tasso
di cambio ufficiale è di 100 won per 1 dollaro, al mercato nero questo rapporto
arriva a 8.000 won per dollaro. Un discreto stipendio, nell’impiego pubblico, è
di 3.000 won, cioè 30 dollari al tasso del cambio ufficiale e meno di 0,5
dollari al cambio non ufficiale. Siccome anche la tessera annonaria è stata
eliminata con la restaurazione del capitalismo, le famiglie fanno la spesa al
mercato, dove probabilmente pagano gli alimenti al tasso di cambio parallelo.
Le
campagne della Corea del Nord sono rappresentate appena dal 18% di terreni
agricoli, coltivati con attrezzi rudimentali e aratri manuali. Non esistono
trattori, poiché quasi tutta l’industria è dedicata alla “priorità militare”:
ciò ha favorito il sorgere di un’élite privilegiata nell’esercito che frequenta
i locali riservati ai turisti e possiede proprietà inaccessibili alla classe
lavoratore.
Per
mantenere la “pace sociale” in questo regime, la dittatura si serve di campi di
concentramento per gli oppositori politici, membri del partito caduti in
disgrazia, e persino per chi osserva qualche religione. Secondo Amnesty
International, sono circa 200.000 i prigionieri politici nel Paese, 50.000 dei
quali nel Campo 22, la cui chiusura era stata annunciata dal governo, mentre
recenti immagini satellitari mostrano un’intensa attività nella zona.
È
questa la dittatura che alcune correnti staliniste cercano di difendere
politicamente, come fa il PCdoB del Brasile [o il gruppo di Marco Rizzo o la
Rete dei Comunisti in Italia, ndt], abituate come sono ad appoggiare
acriticamente dittatori come Gheddafi in Libia, e Assad in Siria.
In
realtà, la forza che può far retrocedere l’imperialismo e le sue sanzioni sono
le masse di tutta la penisola coreana. Ma dal momento che il Partito dei
Lavoratori della Corea del Nord è identificato come il responsabile di questa
micidiale dittatura borghese, non ha l’autorità per rivolgersi alle masse
lavoratrici della Corea del Sud e fare appello alla mobilitazione contro l’assedio
e per la riunificazione delle due Coree. Oggi, se fosse libero, il popolo
nordcoreano, probabilmente emigrerebbe verso la Corea del Sud per sfuggire alla
povertà e alla dittatura.
Per la difesa della Corea del Nord contro l’imperialismo, ma nessun sostegno politico alla dittatura
L’imperialismo,
armato fino ai denti con ogni tipo di armi, comprese quelle nucleari, e le sue
istituzioni fantoccio come l’Onu, non ha alcun diritto di dettare ad altri
Paesi quali armi possono avere, oppure se è a loro consentito o meno di
sviluppare programmi nucleari. Al contrario, fin tanto che la minaccia militare
imperialista esiste nel mondo, ogni Paese ha il diritto, se vuole, di costruire
un arsenale nucleare per la sua autodifesa.
Tuttavia,
così come esigiamo la fine della costruzione di centrali nucleari per la
produzione di energia nel sistema capitalistico, così propugniamo anche la fine
di tutte le armi nucleari. Un’esplosione nucleare in una regione abitata,
qualsiasi sia il Paese che la determini, causerebbe un genocidio molto più
grande di quelli di Hiroshima e Nagasaki, dal momento che la potenza delle
bombe è cresciuta parecchio, e anche perché nessun governo ha il diritto di
fare questo contro la popolazione di un altro Paese. Ma il primo passo
dovrebbero farlo la nazione più belligerante del mondo, gli Stati Uniti,
insieme ai suoi satelliti come Israele, e così pure gli altri membri del
Consiglio di sicurezza dell’Onu, Cina inclusa. Questi sono i Paesi più
pericolosi del pianeta, capaci di tutto pur di difendere i profitti delle loro
imprese, persino di distruggere la stessa Terra, come già si sta verificando
con la catastrofe ecologica.
Pertanto,
senza minimamente approvare e difendere la dittatura genocida della dinastia
Kim, noi saremo dalla parte della Corea del Nord contro qualsiasi attacco che
l’imperialismo o la Corea del Sud intendessero portarle, anche col pretesto di
difendersi.
E
difendiamo la Corea del Nord contro le sanzioni e gli attacchi militari
dell’imperialismo, perché è un Paese semicoloniale sfruttato e oppresso sotto
attacco dell’imperialismo, e non perché, come dicono i partiti stalinisti,
sarebbe uno Stato socialista, oppure perché sarebbe uno “Stato operaio
burocratizzato”, come sostiene il Pts [la sezione argentina del raggruppamento
denominato Frazione Trotskista, ndt].
Seguiamo
così la tradizione della corrente morenista, il cui maggior esempio è stato il
sostegno militare dato dall’allora Pst dell’Argentina (partito che è stato alla
base della fondazione della Lega Internazionale dei Lavoratori - Quarta
Internazionale) alla dittatura di quel Paese quando, nel 1982, quest’ultima
dichiarò guerra alla "democratica" Inghilterra imperialista per il
possesso delle isole Falkland‑Malvine; sostegno militare che demmo senza
offrire il sia pur minimo appoggio politico al regime argentino (contro cui
continuavamo a batterci per rovesciarlo).
Al
contempo, affermiamo che il compito più importante della classe operaia e dei
contadini nordcoreani è quello di rovesciare questa dittatura di tre generazioni
che ha usurpato la rivoluzione messa in atto dai lavoratori dopo la seconda
guerra mondiale, e che ha portato il Paese alla rovina e alla restaurazione del
capitalismo. Solo così sarà possibile riunificare la penisola coreana sotto la
guida dei lavoratori e dei loro alleati contadini, sia della Corea del Nord che
di quella del Sud, ponendo un freno alla colonizzazione della regione da parte
dell’imperialismo statunitense e all’avidità della borghesia cinese. Per
riunificare la penisola sono necessarie la lotta e l’unione dei lavoratori di
entrambi i Paesi: quelli del sud contro il regime semicoloniale e contro la
presenza delle truppe imperialiste sul loro territorio, e quelli del nord
contro il proprio dittatore.
Questa
è l’unica strada che può scongiurare la minaccia di una guerra nella penisola
coreana.
(traduzione di Isa Pepe dall'originale in portoghese)