Il governo e i padroni attaccano i
lavoratori
I LAVORATORI RISPONDONO CON LA
LOTTA
In tutta Europa una nuova
stagione di lotte operaie
Al centro della foto (volto pallido e valigetta) il
dirigente della Caterpillar (Francia)
sequestrato dagli operai in lotta
di Fabiana
Stefanoni
(Anticipiamo l'editoriale del prossimo numero
di Progetto Comunista)
"On a raison de sequestrer les
patrons": era una delle scritte che campeggiavano sui muri parigini nel
Sessantotto. "Si fa bene a sequestrare i padroni": sembra una frase adatta ai
nostri giorni. Sono sempre più frequenti le notizie di operai francesi che, di
fronte alla prospettiva di una disoccupazione senza vie d'uscita, decidono di
imporre con la forza, ai padroni e ai loro manager profumatamente pagati, il
ritiro dei licenziamenti. Mentre scriviamo, già in quattro aziende in Francia i
dirigenti sono stati sequestrati da operai in lotta: Sony France, 3M,
Caterpillar, Scapa (qualcosa di simile è accaduto a Bruxelles, dove la sede
della Fiat è stata assediata per ore). Da un sondaggio emerge che circa la metà
della popolazione francese dice di ritenere legittimi questi sequestri. Il
governo francese vacilla e, preoccupato dalla sempre più probabile esplosione di
una protesta di massa, per ora ha scelto la "linea morbida". Lo stesso Sarkozy,
che evidentemente non dorme sonni tranquilli, afferma di "capire la rabbia" ma
ricorda che "lo Stato di diritto va rispettato". Ma i lavoratori di tutta Europa
cominciano a capire che quello "Stato di diritto" non è il loro Stato: è lo
Stato dei padroni e dei banchieri, che, per preservare le immense ricchezze
accumulate sulle spalle del lavoro degli operai, oggi non esitano a lasciare
sulla strada milioni e milioni di lavoratori.
Una nuova stagione di conflitto
sociale
In Europa torna a soffiare un vento di rivolta.
Due milioni e mezzo di persone sono scese in Piazza, nella sola Parigi, in
occasione dell'ultimo sciopero generale (tre milioni in tutta la Francia).
Stavolta non siamo solo noi a dirlo: anche la stampa borghese è costretta ad
ammettere che "in Francia si torna a parlare di lotta di classe, ripensando a
Karl Marx" (La Repubblica, 20 marzo). E la Francia non è l'eccezione.
Due milioni di lavoratori hanno manifestato a Roma il 4 aprile in occasione
dello sciopero della Cgil: una piazza che, nonostante gli sforzi delle
burocrazie sindacali di "placare gli animi", ha mostrato la rabbia di tanti
lavoratori che hanno già perso o perderanno il posto di lavoro. Sempre nel
nostro Paese, il 29 marzo sono scese in piazza 500 mila persone per una
manifestazione, indetta questa volta dal sindacalismo di base, avente come
parola d'ordine principale: "la crisi la paghino padroni, banchieri e
bancarottieri". Manifestazioni di centinaia di migliaia persone si rivedono, per
la prima volta dopo decenni, in tante altre città europee: a Dublino, in
Germania (dove è particolarmente accesa la protesta dei metalmeccanici
dell'industria automobilistica in bancarotta), a Barcellona (con in prima fila
gli operai della Nissan), Saragozza, Londra. Quest'ultima città è anche stata
teatro delle imponenti manifestazioni contro il G20: centinaia di migliaia di
giovani precari, disoccupati, ma anche molti operai e lavoratori del terziario
hanno protestato contro il capitalismo e i suoi cortigiani. Tutto questo accade
mentre ancora sono vivi gli echi delle barricate nel cuore di Atene,
erroneamente ascritte a gruppi di anarchici: in realtà, la protesta ha visto
partecipi in prima fila operai, immigrati, uomini e donne dei quartieri
popolari, come ha dimostrato l'altissima adesione allo sciopero generale di 24
ore proclamato dai sindacati greci. E già i governi degli anelli più deboli
cominciano a crollare: in Islanda una manifestazione di lavoratori ha
accerchiato il Parlamento e costretto alle dimissioni il governo.
Si tratta
di segnali importanti, che confermano il fatto che le crisi nel capitalismo -
soprattutto quelle destinate a protrarsi per un lungo periodo come quella
attuale - se da un lato inducono i capitalisti a esercitare pressioni sempre più
forti sulla classe operaia (limitazioni del diritto di sciopero, smantellamento
dei contratti collettivi di lavoro, estensione del precariato, licenziamenti e
utilizzo su larga scala della cassa integrazione, ecc), dall'altro lato, proprio
per questo, scatenano ondate di lotte salariali. Come ci hanno insegnato i
rivoluzionari del secolo scorso, Trotsky per primo, "nelle lotte economiche
difensive che si sviluppano sulla base della crisi, i comunisti devono essere
presenti attivamente in tutti i sindacati, in tutti gli scioperi e in tutte le
dimostrazioni e in qualsiasi altro movimento (...) apparendo sempre in prima
fila come l'ala più decisa e disciplinata della classe operaia. A seconda
dell'andamento della crisi e dei mutamenti della situazione politica, le lotte
economiche difensive potranno estendersi comprendendo sempre nuovi strati della
classe operaia, di popolazione, dell'esercito dei disoccupati".
Sono parole
che, benché scritte quasi un secolo fa, mantengono una straordinaria attualità.
E, paradossalmente, i primi a saperlo sono proprio i cortigiani del grande
capitale: basta leggere gli editoriali del Sole24ore, o ascoltare in TV
il parere degli "esperti" in materia economica, per rendersi conto che i padroni
sono consapevoli che l'attuale crisi economica può tramutarsi in una pericolosa
(per loro) esplosione di lotte. I primi segnali di un vento nuovo che sta
soffiando stanno arrivando anche nel nostro Paese: le improvvise e imprevedibili
mobilitazioni nelle scuole e nelle università dopo anni di calma piatta, le
prime esperienze di lotte ad oltranza, picchetti operai, occupazioni di
fabbriche (dallo sciopero ad oltranza degli operai dell'Iris di Modena ai
picchetti operai alla Maserati e all'Emilceramica nella stessa provincia,
dall'occupazione della Innse a Milano ai blocchi stradali di Pomigliano), le
imponenti manifestazioni di piazza ci indicano chiaramente che, con la crisi, si
sta aprendo una nuova stagione di conflitto sociale. Non potrebbe, del resto,
essere altrimenti: milioni di lavoratori che rischiano il posto di lavoro, senza
prospettive nel breve periodo di assunzione, non pagheranno in silenzio la crisi
dei padroni.
E' l'ora dei
rivoluzionari!
Fanno bene i padroni ad essere preoccupati. Mai
come oggi è chiaro, agli occhi di milioni di lavoratori, l'iniquità di questo
sistema economico e sociale, il capitalismo. Le crisi rendono evidente
l'irrazionalità di un sistema economico basato sull'anarchia e sulla
concentrazione delle ricchezze e dei profitti nelle mani di pochi, un sistema
che può sopravvivere solo a prezzo di relegare nella miseria milioni di vite
umane, devastare l'ambiente, scaricare le responsabilità su nuovi capri
espiatori (ieri gli ebrei, oggi gli immigrati).
Certo, sappiamo, per
l'esperienza del secolo scorso, che il capitalismo sa nutrirsi della propria
carogna: può tentare di arginare, temporaneamente, le crisi - che, tuttavia,
sono inevitabilmente sempre più lunghe e profonde - attraverso le guerre o
giocando la carta di regimi autoritari. Per questo, è necessario che la stagione
di lotte che si apre non segni un punto a favore della borghesia e dei suoi
governi: occorre rovesciare, con la lotta, i rapporti di forza, imponendo ai
padroni milionari quei sacrifici che vogliono estorcere a chi fatica ad arrivare
alla fine del mese.
Ma i lavoratori potranno vincere solo se alla testa delle
lotte non ci saranno burocrati sindacali o politicanti pronti a svendere le
ragioni dei lavoratori sul tavolo di un nuovo governo della borghesia:
ricordiamo bene che il governo Prodi, sostenuto anche da Rifondazione comunista
e incensato dalle burocrazie Cgil, ha preparato il tavolo su cui sta mangiando
l'attuale governo Berlusconi. Le lotte che verranno potranno vincere solo se
saranno guidate da un'avanguardia organizzata di lavoratori. Contribuire a
costruire quell'avanguardia, nel vivo delle lotte, è il compito che si pone il
Partito di Alternativa Comunista.