IL CALDO INVERNO
RUSSO
Indignados anche in Russia
dichiarazione del Poi
(sezione russa della
Lit-Quarta Internazionale)
Molti sono rimasti sorpresi. Dopo anni di
stabilità politica, in cui non si producevano mobilitazioni neanche per le più
elementari rivendicazioni economiche, è scoppiata una grande manifestazione dal
contenuto direttamente politico.
Il 10 dicembre, in Piazza Bolotnaya, circa
40 mila persone si sono riunite (oltre ad altre 10 mila a San Pietroburgo,
5 mila a Novosibirsk ed ulteriori manifestazioni minori in quasi 80 città) per
protestare contro i vergognosi brogli nelle elezioni parlamentari per la Duma di
Stato, in cui il partito Russia Unita, del primo ministro Vladimir Putin e del
presidente Dmitri Medvedev, ha conquistato il 49% dei voti ed il 53% dei seggi
della Duma. Diversi analisti hanno stimato che Russia Unita si è aumentata i
voti in ragione del 15%. Sono centinaia le denunce dalle quali risulta che i
seggi elettorali avevano chiuso le urne alla sera con un certo risultato, salvo,
il giorno successivo, alla riapertura, mostrare numeri completamente
differenti.
Ma il problema non è cominciato con questi
grossolani brogli elettorali. Le elezioni nel loro insieme sono apparse sin
dall'inizio come una farsa. Come si dice in Russia, sono elezioni in cui
“chiunque può vincere, purché sia Putin”. In Russia è impossibile legalizzare un
partito politico senza la benedizione del Cremlino. Il partito di governo Russia
Unita ha il monopolio dei mass media, non ci sono dibattiti, nulla. Oltre ai
brogli, la situazione si è ancor più fatta incandescente in conseguenza del tono
arrogante di Putin e Medvedev che, quando sono apparse le prime denunce e
manifestazioni, riferendosi alla prima protesta nel Boulevard Tchistye Prudy del
5 dicembre, il giorno dopo le elezioni e con più di 6 mila persone in piazza,
dissero sprezzantemente: “Sembra che qualcuno, in qualche posto, stia dicendo
qualcosa”, oltre ad accusare i manifestanti di essere pagati dagli
Usa.
Eguale effetto hanno sortito le
dichiarazioni del presidente della Commissione elettorale, Tchurov, secondo cui
“le depravate fantasie di questa gentaglia che mette in dubbio la nostra onestà
non mi interessano affatto”. Tutto ciò ha rappresentato la goccia che ha colmato
il vaso e che ha spinto migliaia di persone, che per anni avevano sopportato
questo sporco gioco della politica ufficiale russa, a rompere con l’indifferenza
e ad avvicinare la lontana Russia, sia pure di poco, a quei Paesi europei già
colpiti dalle manifestazioni degli indignados. Putin non aveva mai
visto nulla di simile, poiché era sempre stato abituato a un grande appoggio
popolare.
Siamo ancora agli inizi del processo,
tuttavia è già possibile affermare che con gli accadimenti di Piazza Bolotnaya
il regime poliziesco-mafioso delle oligarchie del petrolio e del gas di Putin
sta entrando in una fase di chiara crisi politica.
La manifestazione non è stata fermata né
dalla repressione dei corpi d’assalto della polizia (la Omom), né dalla
convocazione per lo stesso giorno di esami di Stato in tutte le scuole del Paese
col chiaro scopo di smobilitare le manifestazioni degli insegnanti e degli
studenti, né dalle ridicole dichiarazioni del Direttore nazionale della Sanità,
secondo cui “le manifestazioni invernali fanno male alla salute”, né dal luogo
estremamente isolato (un’isola) riservato dal governo per i
manifestanti.
Con decine di migliaia di orme nella neve da
poco caduta, il popolo ha messo bene in chiaro ciò che pensa dell’attuale
governo, rivendicando l’annullamento del risultato elettorale, le dimissioni di
Tchurov, presidente della Commissione elettorale, libertà democratiche e nuove
elezioni. Gli slogan “Russia senza Purtin!” e “Libertà!” hanno attraversato la
piazza. La demoralizzazione della polizia, del regime e dei burocrati, ha fatto
sì che, per la prima volta, Putin è apparso debole, obbligato a ricorrere a una
vergognosa falsificazione per far credere di mantenere l’appoggio popolare. In
un Paese che apprezza tanto gli uomini forti ciò appare una dura sconfitta per
Putin.
In questi giorni di dicembre sono finiti i
lunghi anni di silenzio, la gente non ha più paura e, al contempo, appare giunta
l’ora che è il regime a doverne avere. In questi giorni, mobilitandosi in tutto
il Paese, i giovani hanno sentito lo spirito di Piazza Tahrir, così come la
vecchia generazione ha sentito lo spirito di quelle manifestazioni nell’Urss
della fine degli anni Ottanta. La vittoria ufficiale di Putin si è rivoltata
contro di lui. La sua grande sconfitta ha probabilmente aperto la fase del
declino del suo regime.
Indipendentemente dai brogli elettorali, la
perdita di appoggio politico al governo Putin è un fatto innegabile, così come
la disposizione alla lotta quantomeno di un settore popolare. Anche tenendo
conto dei risultati ufficiali, il partito di Putin, Russia Unita, ha perso molti
voti. Ha perso la maggioranza costituzionale che gli permetteva di modificare la
Costituzione a suo piacimento. Nondimeno, ha mantenuto la maggioranza relativa,
che gli consente di approvare leggi anche da solo. Al contempo, è anche
diminuita l’affluenza elettorale. Secondo i dati ufficiali, il 40% della
popolazione si è astenuto dal voto, mentre alcuni analisti giungono fino al 50%.
La maggioranza delle persone o non è andata a votare oppure ha votato “per
qualsiasi partito, salvo che per Russia Unita”. Questo genere di protesta
silenziosa, che è sempre esistita, oggi è arrivato a un livello impossibile da
nascondere. Gli stessi risultati elettorali sono stati come una sberla in faccia
a Putin.
Un processo che
è ancora agli inizi
Tuttavia, nonostante il pesante colpo subito
dal regime, non si può sovrastimare la situazione. La geografia dei risultati
elettorali, così come il carattere e la composizione geografica delle
manifestazioni, mostrano che il processo è appena agli inizi. Per adesso, le
manifestazioni hanno coinvolto per lo più la classe media, gli studenti
universitari e gli intellettuali delle grandi città. La classe operaia, per il
momento, è assente dal processo di lotta. Nelle regioni più rurali e arretrate,
Russia Unita, pur perdendo voti, ha ottenuto un risultato migliore di quello di
Mosca, San Pietroburgo e altre città, così come le grandi mobilitazioni si sono
svolte soltanto nelle città più abitate. La principale manifestazione, quella
nella Piazza Bolotnaya, era composta soprattutto dalla classe media e dai
giovani. Perciò, dal primo segnale di lotta fino ad arrivare all’ultimo chiodo
sulla bara del regime di Putin si dovrà percorrere un lungo cammino di
lotte.
L’opposizione
Come dicono i russi, “Putin è solo la metà
del problema, l’altra metà è l’opposizione”. Il fatto è che l’opposizione
parlamentare è complice diretta dei brogli elettorali. Ci sono quattro partiti
che hanno ottenuto rappresentanza parlamentare. Oltre al partito di governo,
Russia Unita, c’è il Partito comunista della federazione russa (Pcfr), che si
atteggia come un’opposizione “civile” e “costruttiva”. C’è poi il partito Russia
Giusta, creato dal Cremlino a guisa di ala sinistra di Putin. C’è il Partito
liberaldemocratico di Russia (Ldpr), della destra xenofoba e filogovernativa.
Questi partiti, benché critichino i brogli, sono contentissimi dell’aumento dei
voti conseguito, dato che hanno aumentato il loro numero di deputati, i loro
bilanci e il loro potere di negoziazione col governo.
Particolarmente cinica è l’opposizione del
Pcfr, maggior partito d’opposizione, che ha raddoppiato i suoi voti (giungendo
quasi al 20%, secondo i risultati ufficiali) e che proprio per questo ha ora una
grande responsabilità, essendo la principale referenza contro Putin. Il suo
leader, Ziuganov, ha detto che “le elezioni sono illegittime, sia da un punto di
vista morale, sia etico”. Ma ciò non lo porterà a boicottare la nuova Duma o ad
assumere misure simili. Al contrario, Ziuganov ha chiarito che il suo partito
approfitterà dell’aumento dei seggi per aumentare il suo “potere di controllo”
nelle elezioni presidenziali di marzo. Tanto era contento per aver raddoppiato i
propri voti, che il Pcfr è stato il grande assente nella manifestazione di
Piazza Bolotnaya, non convocandola ed inviando in rappresentanza solo un
dirigente di secondo piano.
La situazione è diversa per quel che
riguarda i liberali, agenti diretti dell’imperialismo nordamericano ed europeo,
ai quali il regime ha tolto spazio politico che, per questo, non sono ben
rappresentati in parlamento. Essi - cioè l’imperialismo - hanno qualcosa da
perdere e qualcosa da guadagnare. Perciò utilizzano e cercano di manovrare le
proteste. Oggi, per dare continuità ai propri piani di colonizzazione della
Russia e degli altri Paesi da essa politicamente influenzati, l’imperialismo
deve negoziare con Putin, che allo stato monopolizza tutto lo spazio politico
del Paese. E Putin costa caro per i servigi che presta sostenendo i piani
dell’imperialismo. Di qui la causa degli attriti fra loro. All’Occidente
piacerebbe partecipare direttamente alla politica russa e perciò, di quando in
quando, crea difficoltà politiche nel Paese a Putin attraverso i propri agenti
liberali (Nemtsoy del Movimento Solidarietà, Yavlinskiy del Partito Yabloko,
Kasparov di L’Altra Russia, ecc.), utilizzando per questo i brogli elettorali e
l’assenza di libertà democratiche. E oggi sono stati proprio i liberali a
trasformarsi negli organizzatori di Piazza Bolotnaya.
Ma la gente è scesa in piazza non “in difesa
dei liberali”, quanto in difesa delle libertà democratiche. Come, scherzando, ha
detto uno degli oratori della manifestazione, secondo il governo russo, Hillary
Clinton avrebbe mandato sms a ciascuna persona presente in piazza. Il sentimento
antistatunitense in Russia è molto forte. Ma, al di là di questo, per i liberali
è molto difficile conquistare la fiducia popolare dopo la catastrofe degli anni
Novanta, quando venne distrutto il parco industriale russo in nome
dell’importazione di prodotti delle multinazionali imperialiste. E fu
esattamente la loro politica a generare gli oligarchi (così in Russia vengono
chiamati i grandi capitalisti del Paese) che si appropriarono delle proprietà
statali, delle risorse naturali e delle altre ricchezze del Paese.
Furono gli
stessi liberali ad aprite le porte a quel capitale straniero che oggi controlla
praticamente tutte le aree dell’economia, inviando poi miliardi di dollari di
profitti fuori dal Paese, dissanguandone l’economia e aumentando la miseria.
Furono sempre loro a sostenere quella “assoluta libertà del mercato” che ha
portato la crisi. Tutti i liberali appoggiarono il bombardamento del parlamento
da parte di Eltsin nel 1993, primo passo per l’aumento della repressione in
tutto il Paese. I liberali sono totalmente responsabili dell’attuale situazione
in Russia. Criticano Putin, ma nella pratica propongono la stessa politica di
privatizzazioni, tagli delle spese sociali, e soggezione del Paese al capitale
internazionale, nella stessa misura in cui si sviluppa la ricetta di Putin. Sono
perfino più radicali nel seguire le ricette del Fmi. Perciò non dicono una sola
parola sull’economia di oggi, sulla corruzione e sui brogli. Tacciono su tutto
il piano economico di adeguamento e privatizzazioni di Putin e le loro uniche
parole d’ordine sono “Russia senza Putin!” oppure “Abbasso Russia Unita, partito
di malfattori e ladri!”. Essi stessi temono le manifestazioni, che minacciano il
modello economico semicoloniale del Paese, già in seria difficoltà, specialmente
in un momento in cui la situazione diventa ogni giorno più
esplosiva.
Falsificazione
al servizio degli interessi degli oligarchi
Il fatto è che i brogli sono stati solo la
goccia che ha fatto traboccare il vaso, ma il discredito accumulato dal governo
viene da più lontano, risale all’applicazione dei piani di adeguamento e di
tagli richiesti dal Fmi e dagli stessi oligarchi russi per aumentare i loro
profitti. Così come in ogni altra parte del mondo, il governo russo ha salvato
le proprie banche e gli oligarchi in crisi con denaro pubblico, indebitando lo
Stato, e oggi vogliono fare economie a spese delle masse popolari. In tutti i
Paesi, specialmente in Europa, i governi e i padroni stanno applicando riforme e
aggiustamenti brutali: privatizzazioni, tagli salariali, licenziamenti, ecc.,
per imporre ai lavoratori un nuovo livello di sfruttamento. Nei loro incontri
internazionali, come quelli del G-20, i governi del mondo discutono e coordinano
le loro misure contro i lavoratori e i popoli per salvare i padroni dalla crisi
da essi stessi provocata e di cui i lavoratori non sono affatto
responsabili.
La Russia e il suo governo non fanno
eccezione. Da tempo stavano sostenendo la riforma dell’istruzione, chiamata
“modernizzazione dell’istruzione”, una definizione che non abbisogna di
spiegazioni. Al tempo stesso, a causa dell’inflazione, la gente comune è sempre
più povera. Il governo ha già approvato una serie di leggi che entreranno in
vigore dopo le elezioni e colpiranno sempre di più i russi con quelle che
vengono definite “misure impopolari”. Putin consegna sempre più il Paese, di per
sé dipendente dagli investimenti stranieri, nelle mani delle multinazionali che
fanno montagne di profitti. Segue pedissequamente le indicazioni del Fmi, della
Banca Mondiale e dei governi dei Paesi dominanti per ridurre le spese sociali.
Ormai c’è un nuovo bilancio, con grandi tagli alle politiche sociali ed aumenti
delle risorse per la polizia, il Fsb (l’ex Kgb) e l’apparato repressivo in
generale.
Tutto questo, mentre gli oligarchi continuano a realizzare profitti
record. È proprio per dare continuità a questi piani che il governo si è visto
obbligato ai brogli elettorali. La falsificazione delle elezioni è stata
necessaria per Putin al fine di poter continuare con le riforme contro la
maggioranza della popolazione e al servizio degli oligarchi e del capitale
straniero. Putin voleva mostrare che “tutto è a posto”, che il popolo in massa
continua ad avere fiducia in lui. Per questo, come sempre, ha falsificato le
elezioni: per continuare, rafforzato “dall’appoggio popolare”, ad approvare
misure antipopolari. Ma ha fatto cilecca. Oggi le masse popolari russe
stanno sentendo tutto questo nella propria carne viva e sono stanche
dell’ipocrisia del governo, dal momento che vedono come gli oligarchi si
arricchiscono mentre il resto del Paese va impoverendosi ed è obbligato a
sopportare in silenzio.
Come
continuare?
Oggi è necessario ampliare le proteste per
l’annullamento dei risultati elettorali. Tutti i partiti che si atteggiano ad
oppositori (il Pcfr innanzitutto) debbono lottare per i voti rubati ai loro
elettori, cioè disconoscere apertamente le elezioni, boicottare la nuova Duma e,
tutti insieme, convocare ed organizzare massicce manifestazioni di protesta
unificate per conquistare la liberazione di tutti coloro che sono stati
arrestati nelle precedenti manifestazioni, per l’annullamento del risultato
elettorale e le dimissioni del presidente della commissione elettorale, Tchurov.
Qualsiasi altra posizione significherebbe un appoggio aperto o dissimulato ai
brogli! Per proteste unificate di tutti per l’annullamento dei risultati
elettorali!
È inaccettabile l’attuale posizione del Pcfr
di non partecipare attivamente, non convocare le manifestazioni contro i brogli
e accettare i suoi deputati nella Duma! Grazie all’autorità conferitagli
dall’essere il maggior partito d’opposizione, una semplice dichiarazione del
Pcfr di disconoscimento del risultato elettorale e di boicottaggio della Duma
falsificata porrebbe tutto il sistema in una crisi di legittimità senza
precedenti. Inoltre, se adoperasse il suo grande potere di mobilitazione
(utilizzato finora solo in campagna elettorale) insieme ai 40 mila di Piazza
Bolotnaya, il Pcfr potrebbe cambiare la situazione politica del
Paese.
Oggi molti agitano la parola d’ordine
“elezioni pulite”. Con le regole attuali, in cui non ci sono libertà
democratiche e in cui “chiunque può vincere le elezioni, purché sia Putin”,
parlare di “elezioni pulite” non ha alcun senso. Per una reale libertà
d’espressione, di pubblicazione, di manifestazione, di riunione ed
organizzazione! Per l’abolizione dell’attuale legislazione sui partiti e di
quella “antiterrorismo” e “antiestremismo”, dirette ad eliminare l’esistenza di
opinioni diverse! No alla repressione! Per la libertà di organizzazione e
legalizzazione di partiti alternativi! Per la libertà d’informazione e di
accesso dei diversi partiti e punti di vista alla televisione! Per un’ampia
campagna di dibattiti elettorali in televisione! Sulla base di questi diritti
democratici, realizzazione di nuove elezioni nel Paese!
Abbasso le privatizzazioni e la riforma
dell’istruzione! Nazionalizzazione senza indennizzo di tutto il settore
energetico e delle risorse naturali! Utilizzazione dei relativi proventi per
promuovere una nuova ondata di industrializzazione del Paese e per il
rinnovamento delle infrastrutture nazionali in modo da assorbire i disoccupati!
Divieto di espatrio dei profitti! Nazionalizzazione e unificazione del sistema
finanziario nazionale, per impedire la speculazione, l’espatrio di capitali e la
corruzione! Fuori gli oligarchi, i banchieri, i malfattori e i ladri, per un
governo operaio e popolare che governi nell’interesse della maggioranza e adotti
un programma di aiuto dei lavoratori e non dei banchieri e degli oligarchi.
Fuori Russia Unita, partito di oligarchi, banchieri, mafiosi e
ladri!
Per dare gambe a questo programma, il
principale problema dei lavoratori russi continua ad essere l’assenza di
organizzazioni indipendenti e di una direzione politica, ciò che ritarda molto
l’entrata in scena della classe lavoratrice. Oggi nessuno dei partiti legali
rappresenta gli interessi dei lavoratori e del proletariato, né vuole
difenderli. Il Pcfr difende alcuni punti del programma appena esposto, ma solo
nelle campagne elettorali; per il resto non ha mai inteso mobilitare il
proletariato su queste rivendicazioni. La classe lavoratrice non ha né sindacati
indipendenti, né partiti in cui riporre la fiducia, né altre organizzazioni di
lotta. Senza le loro organizzazioni, i lavoratori continueranno ad essere
ostaggio dei padroni e dei burocrati. Oggi è necessario organizzare i lavoratori
e i settori popolari in gruppi per luogo di lavoro, università, per quartiere,
fra amici, coordinarli per contrastare la politica antioperaia, repressiva e
filo-oligarchica del regime di Putin con le sue farse elettorali.
Costruire un’alternativa politica di classe
e socialista costituisce oggi una necessità urgente per la classe lavoratrice
russa.
(Traduzione di Valerio
Torre)