Partito di Alternativa Comunista

Intervista a Ruba rivoluzionaria siriana

Intervista a Ruba
rivoluzionaria siriana




A cura della Redazione di Página roja (*)
 
ruba
Ruba è nata e cresciuta a Damasco in una famiglia di tradizione comunista ed è emigrata da pochi anni. Con la rivoluzione è diventata attivista dall’esilio e si è unita alla Lit  (l'Internazionale di cui il Pdac è sezione italiana) e a Corriente roja, divenendo motivo d’orgoglio per tutti i militanti.
Página roja: Il partito di Al Assad si autodefinisce come “socialista arabo” e tra la sinistra occidentale molti considerano quel governo come “di sinistro”. La Siria è un Paese socialista?
Per niente. Bashar ha promosso riforme economiche neoliberiste. Ha distrutto il settore pubblico privatizzandolo, dividendolo tra i suoi parenti. Rami Makhlouf, cugino del dittatore, è diventato il proprietario di Syriatel, che domina il settore delle telecomunicazioni. Il suo patrimonio personale ammonta a 6 miliardi di dollari. In Siria la disoccupazione è molto alta e i salari molto bassi. Per esempio i dipendenti pubblici spesso devono  ricorrere a secondi lavori per poter sopravvivere.
 
Quali sono le cause della sollevazione di massa?
In primo luogo il grande impoverimento appena detto. Dall’altra parte, la Siria è una dittatura terribile. Per 40 anni è stata sotto legge marziale… Ci sono molti detenuti politici nelle carceri. Nel 1982 il regime assassinò 20.000 persone a Hama per reprimere le proteste. Anche le minoranze sono state oppresse; per esempio, i curdi non erano riconosciuti quali cittadini siriani. La migliore illustrazione della terribile dittatura che subiamo in Siria è uno degli episodi che avviarono la rivoluzione. Alcuni bambini di Deraa scarabocchiarono sui muri scritte contro il regime e furono sequestrati e torturati. Questo provocò la grande esplosione di protesta.
 
Il regime dice che i miliziani sono jihadisti stranieri, che cosa ci puoi dire?
In realtà da un gruppo di opposizione nell’esercito si forma l’"esercito libero". Le mattanze di Assad contro la popolazione fecero si che parte della popolazione civile si unisse alla lotta armata. Ciò che sta accadendo in Siria è una vera e propria rivoluzione popolare. Con la guerra civile sono arrivati alcuni jihadisti stranieri, però sono una piccola minoranza e in gran parte questa presenza è dovuta agli interessi delle potenze regionali di deviare il corso della rivoluzione per la libertà, per evitare l’effetto contagio. I siriani non vogliono in nessun caso un Paese “talebano”. Un fatto significativo è che la Fratellanza musulmana ha dovuto dichiarare pubblicamente che non voleva il modello di altri Paesi come l’Arabia saudita, perché altrimenti nessuno li appoggerebbe.
 
Le donne partecipano alla rivoluzione? E le minoranze etniche e religiose?
Si, molte hanno guidato le proteste… stanno ancora combattendo. Le donne stanno conducendo una lotta dentro la lotta. Nelle manifestazioni ci sono striscioni che dicono “gli uomini saranno in grado di liberarsi dalla mentalità assadista dopo la caduta di Assad?”. Il regime è cosciente di questo e usa ampiamente gli stupri contro le ribelli.
Anche le minoranze in generale appoggiano la rivoluzione. La Siria è un mosaico con molti idiomi, religioni, etnie differenti. Una delle armi di Assad è dire che la rivoluzione è salafita e che se trionfa ci sarà l’applicazione severa della sharia… Fino ad oggi il popolo siriano ha lottato contro questa visione ed è molto importante anche lottare per tutti i diritti e le libertà per queste minoranze. È l’unica maniera in cui tutto il proletariato siriano possa lottare come un sol uomo contro il regime.
 
L’imperialismo sta appoggiando la rivoluzione? Qual è l’atteggiamento di Israele?
Voglio precisare che Assad non ha nulla di antimperialista. La Siria ha appoggiato la Guerra del Golfo dietro mandato dell’Ue. E in 40 anni il regime non ha mosso un dito per recuperare le alture del Golan, invase da Israele. Israele è odiato da tutti i popoli della regione e tutte le rivoluzioni sono un pericolo per la sua sicurezza. Di fatto, i palestinesi in Siria appoggiano la rivoluzione. Sanno che quando le masse popolari siriane saranno libere, recupereranno le alture del Golan e le restituiranno ai fratelli palestinesi.
La preoccupazione degli imperialisti è preservare la stabilità dei loro affari. Assad oggi non la può più assicurare, per questo sono preoccupati di come ottenere un ricambio per cui figure del regime e della opposizione “docile” formino un nuovo governo. Però l’unica maniera di ottenere questo è che le masse siano sconfitte. Chi assicura gli interessi capitalisti in un Paese dove i lavoratori armati hanno rovesciato l’uomo dell’imperialismo? Per questo lasciano scorrere il sangue, ci sono già stati più  di 70.000 morti.
Assad accusa sempre i rivoluzionari di essere parte di una cospirazione straniera, però se c’è qualcuno che sta ricevendo aiuti esterni, quello è lui. La Russia sta armando ampiamente il regime e il Venezuela fornisce il petrolio. In Siria nessuno ha pianto la morte di Chávez
 
Che politica deve seguire la sinistra mondiale di fronte alla rivoluzione siriana?
In primo luogo deve dare un sostegno incondizionato. Quello che è in gioco non è solo la libertà, ma la stessa sopravvivenza. Assad vuole sterminare, come fece Franco qui [in Spagna ndt]. C’è una parte della sinistra che non appoggia la rivoluzione perché non c’è un programma “socialista”: ma questo è un crimine. Se sono della Lega internazionale dei lavoratori, la Lit, e di Corriente roja è perché difendono al rivoluzione. Oggi stiamo promuovendo una campagna di aiuti materiali per la resistenza.
In Siria non esistono sindacati, né grandi partiti operai… Bisogna organizzare la classe operaia. Se ci riusciamo, la rivoluzione oltre alle questioni democratiche incorporerà le richieste specifiche della classe lavoratrice. Chi ci fermerà dopo aver rovesciato un tiranno? Per questo abbiamo bisogno di un partito operaio e socialista nella rivoluzione siriana.
È importante sviluppare gli organismi che stanno prendendo il controllo nelle zone liberate. Questi comitati devono essere organizzati in maniera democratica, perché le masse popolari e in particolar modo i lavoratori possano partecipare. E devono coordinarsi tra di loro, per essere la base del nuovo governo. Se ci pensate, sarebbe simile ai soviet nella rivoluzione russa. Solo che qui non abbiamo il partito di Lenin e Trotsky. Se l’avessimo, e guadagnassimo la maggioranza nei consigli locali e nel loro congresso, il nuovo potere potrà cominciare la costruzione di un socialismo che metta la ricchezza nazionale al servizio dei lavoratori, e il nuovo Sato al servizio della liberazione del resto dei popoli, cominciando dal popolo palestinese.
 
(*) giornale di Corriente Roja, sezione spagnola della Lit-Quarta Internazionale


(traduzione di Matteo Bavassano)

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