Italia: il governo di estrema destra e le lotte operaie
di Fabiana Stefanoni
Trovate qui un articolo sulla situazione politica italiana pubblicato sul numero di maggio del Correo Internacional, periodico della Lit-Quarta Internazionale: questo numero speciale è dedicato alle lotte in Europa (qui è possibile scaricare l’edizione completa in spagnolo: litci.org/es/wp-content/uploads/2023/05/Especial-Europa-CI3-espanol-1.pdf). Alcuni articoli del Correo – che viene pubblicato in più lingue - sono già stati tradotti in italiano e pubblicati sul nostro sito; altri li troverete, sempre sul nostro sito, nelle prossime settimane (la redazione web).
Nel settembre 2022 si sono svolte, in Italia, le elezioni politiche – cioè le elezioni che eleggono i membri del Parlamento – e, per la prima volta nella storia della Repubblica italiana (cioè la Repubblica nata dopo la caduta del fascismo, nel secondo dopoguerra), un partito di estrema destra ha avuto la maggioranza dei voti. Fratelli d’Italia, il partito di Giorgia Meloni, ha raggiunto infatti il 26% dei consensi e ha poi costituito, insieme con Forza Italia (Berlusconi) e la Lega (Salvini), un governo di destra, con a capo la stessa Giorgia Meloni.
Va precisato che l’astensionismo ha raggiunto percentuali altissime: ha votato solo il 64% degli aventi diritto. Bisogna, inoltre, ricordare che in Italia è molto complicato ottenere la cittadinanza: sono più di 5 milioni gli stranieri residenti in Italia che non possono esercitare il diritto di voto. Cerchiamo di capire che partito è quello di Giorgia Meloni e, soprattutto, come ha fatto ad andare al governo con un consenso così ampio.
Dal Msi a Fratelli d’Italia
Fratelli d’Italia nasce nel 2012 da una scissione del Popolo della Libertà (PdL), fondato nel 2009 da Silvio Berlusconi, il noto imprenditore maschilista che è riuscito a governare l’Italia per circa 9 anni. Giorgia Meloni e il suo entourage provengono da Alleanza nazionale (la componente più a destra del PdL) derivante dal vecchio Movimento sociale italiano (Msi). La stessa Meloni era stata ministro della gioventù nel quarto governo Berlusconi. Nel simbolo, il partito della Meloni si richiama ancora al Msi.
Ma che cos’era l’Msi? Fondato nell’immediato Dopoguerra, l’Msi intendeva dare una rappresentanza politica a tutti i nostalgici di Mussolini e del vecchio regime, pur non dichiarandosi esplicitamente fascista. La nuova Costituzione italiana, infatti, entrata in vigore il 1° gennaio del 1948, vietava la «riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista»: un divieto, evidentemente, facilmente aggirabile, come dimostra il fatto che l’Msi fu fondato da ex gerarchi della Repubblica di Salò (lo Stato fondato da Mussolini in stretta collaborazione coi nazisti nel settembre del 1943, dopo il passaggio dell’Italia nel fronte degli Alleati: migliaia di operai scioperanti furono deportati nei lager nazisti durante gli anni della Repubblica di Salò). Giorgio Almirante, leader del Msi, molto ammirato dalla Meloni - «un grande uomo che non dimenticheremo mai», lo ha definito sui social – era stato ministro della Repubblica di Salò, fido collaboratore di Mussolini e Hitler.
L’Italia era allora attraversata da un movimento rivoluzionario e da una guerra civile, la cosiddetta Resistenza italiana, caratterizzato da una grande partecipazione operaia e giovanile (i «partigiani»), con un armamento di massa. Le direzioni del movimento operaio, riformiste (Partito socialista italiano, Psi) e staliniste (Partito comunista italiano, Pci) tradirono quel movimento votando a favore di una costituzione borghese che riconsegnava la guida del Paese ai capitalisti che, fino a pochi anni prima, avevano fatto affari in collaborazione coi fascisti. Il leader del Pci, Togliatti, uomo di Stalin, divenne per due anni ministro della giustizia, emanando un decreto di amnistia per i fascisti.
Anche grazie alla collaborazione dei dirigenti «comunisti» (stalinisti), gli ex gerarchi fascisti, responsabili della morte nei lager nazisti di migliaia di operai, oltre che di ebrei e prigionieri politici, poterono così ricostituire un loro partito, l’Msi appunto.
Col passare degli anni, così come il Pci ha subito un’evoluzione da partito operaio a partito completamente borghese (l’attuale Pd di Elly Schlein, nato da una fusione con i cattolici della Democrazia Cristiana), anche l’Msi si è progressivamente trasformato in un partito di destra nazionalista liberale (Alleanza nazionale). Fratelli d’Italia ne recupera alcuni aspetti identitari (in particolare sul terreno della «famiglia» e dei diritti civili negati).
Da Draghi alla Meloni
All’indomani della vittoria elettorale della Meloni, la stampa internazionale ha definito il nuovo governo «il governo più a destra dai tempi di Mussolini». È vero: l’attuale coalizione al governo, per il peso di Fratelli d’Italia, è un governo di estrema destra, razzista, xenofobo, maschilista, fortemente avverso alle istanze dei movimenti lgbt+. Al contempo, a differenza di come hanno commentato alcuni settori della sinistra, non si tratta propriamente di un governo «fascista»: è un governo che si inserisce nel sistema democratico borghese, fedele alla Nato e all’Unione Europea, al contempo caratterizzato da un’accentuazione di politiche repressive e reazionarie.
Una cosa va anzitutto precisata: le fortune elettorali della Meloni non cadono dal cielo. Sono il frutto di anni di politiche di attacco feroce alle masse popolari e alla classe operaia per mano di governi a guida Pd in ossequio alla Troika (Fmi, Bce e Commissione europea), cioè alle esigenze del grande capitale europeo. I governi a guida Pd sono stati quelli che hanno sferrato gli attacchi più duri alle pensioni, al potere d’acquisto dei salari, perfino ai diritti sindacali e di sciopero (l’Italia è uno dei Paesi dell’Ue dove ci sono le leggi anti-sciopero più dure: in moltissimi settori di lavoro è vietato prolungare lo sciopero più di un giorno).
Le politiche attuate dai governi durante la pandemia hanno aggravato ulteriormente le condizioni della classe operaia e impoverito ampi strati di piccola borghesia: la Meloni ha soffiato sul fuoco del malcontento di questi settori. La recente impressionante crescita elettorale di questo partito – nel 2013, quando FdI si presentò la prima volta alle elezioni, prese solo l’1.9% dei voti – si deve in particolare alla sua «opposizione» al governo Draghi.
Draghi, ex presidente della Banca centrale europea, diretta espressione dell’aggressivo capitale finanziario europeo, pur non essendo membro del Parlamento italiano è stato incaricato nel febbraio 2011 dal presidente della Repubblica di costituire un governo di unità nazionale. L’obiettivo era quello di gestire gli interessi della borghesia italiana in accordo con le istituzioni europee in un contesto molto difficile, caratterizzato da un aggravarsi della crisi economica per gli effetti della pandemia.
Tutti i partiti presenti in parlamento – con alla testa il Partito democratico, principale artefice dell’operazione di governo – hanno sostenuto Draghi, con l’unica eccezione, appunto, di Fratelli d’Italia (e qualche piccolo distinguo da parte di un paio di parlamentari della sinistra liberal-riformista – Sinistra italiana - che hanno fatto un’opposizione molto timida). La Meloni è così apparsa l’unica voce critica in Parlamento nei confronti del governo Draghi, proprio nel momento in cui questo attuava feroci politiche anti-operaie: Draghi, tra le altre cose, ha ritirato la legge che limitava, parzialmente, la possibilità di licenziare durante l’emergenza covid, dando così il via a un’ondata di espulsioni dal mondo del lavoro.
L’«opposizione» della Meloni al governo Draghi è stata più a parole che reale, con una retorica anti-europeista centrata sul razzismo e la xenofobia: tra gli argomenti preferiti di Fratelli d’Italia, in questo in sintonia con la Lega di Salvini, c’è la difesa della patria dall’«invasione» degli immigrati. Al contempo, di fronte all’indignazione di larghe masse – operaie e piccolo borghesi – nei confronti del governo Draghi e delle sue politiche, è cresciuto a dismisura il consenso nei confronti dell’unica voce apparentemente critica: la Meloni, appunto.
Tutto ciò spiega perché, benché Fratelli d’Italia sia un partito a base piccolo borghese, anche ampi settori della classe operaia, almeno quelli che non si sono astenuti, hanno dato il loro sostegno elettorale alla Meloni. Si è costituito così, nell’ottobre 2023, un governo di estrema destra, guidato proprio da Giorgia Meloni ma che vede la partecipazione anche della Lega del razzista Salvini e e del partito di Berlusconi [ora deceduto, ndr].
Le politiche del nuovo governo
Come già successo in Europa nel caso di altri partiti populisti cresciuti sull’onda della crisi dell’ordinamento borghese, una volta giunto al governo il partito della Meloni ha abbandonato le rivendicazioni contro l’Unione europea. Fin da subito, non sono mancate strette di mano o complimenti reciproci tra la nuova premier Meloni, la Von der Leyen (presidente della Commissione europea) e la Lagarde (l’attuale presidente della Bce). Complimenti alla Meloni sono arrivate anche dallo stato maggiore della Nato, che vede in Fratelli d’Italia un fidato alleato.
La prima legge finanziaria del governo è in continuità con quella dei precedenti governi, a difesa degli interessi del grande capitale: sta riducendo persino le briciole riservate alle classi popolari (ad esempio il sussidio per i disoccupati), a dimostrazione del fatto che, quando vanno al governo, i partiti a base piccolo borghese non rompono certo col grande capitale.
Il nuovo governo fin da subito ha messo in atto una serie di misure tipiche dell’estrema destra. Citiamo qui le più significative. Sono stati eletti presidente del Senato e della Camera rispettivamente La Russa e Fontana, entrambi noti per le loro numerose esternazioni reazionarie e omobitransfobiche. La Russa conserva in casa dei busti di Mussolini e spesso in passato ha fatto il saluto romano (il tipico saluto dei fascisti) in occasioni pubbliche. Recentemente, parlando dell’eccidio delle fosse Ardeatine (dove i nazisti uccisero per rappresaglia 335 persone), ha fatto intendere che la responsabilità sia stata dei partigiani che in via Rasella avrebbero – testuali parole! - «colpito una banda musicale di semi-pensionati». Per chi non lo sapesse, in via Rasella, nel 1944, in piena guerra civile e durante l’occupazione nazista, furono uccisi dai partigiani 33 soldati di un reggimento nazista sotto il comando delle SS. I nazisti si vendicarono con la strage delle Fosse Ardeatine, molto viva nella memoria degli antifascisti italiani.
Fontana, invece, il presidente della Camera, è noto per le sue esternazioni omobitransfobiche e contro il diritto di aborto: è un integralista cattolico che ha organizzato vari meeting a difesa della famiglia tradizionale.
Il governo Meloni ha, inoltre, da subito inasprito le leggi repressive e xenofobe. È stato emanato un decreto anti-rave che punisce pesantemente i raduni musicali dei giovani con anni di prigione e, mentre scriviamo, si sta discutendo una legge che punisce con multe pesanti e anche il carcere i giovani ambientalisti che, per protestare contro l’innalzamento climatico, gettano simbolicamente vernice lavabile sui monumenti cittadini. Sono inoltre state inasprite le leggi xenofobe, con un peggioramento dei «decreti Salvini» (in vigore dal 2018 e mai aboliti dai successivi governi), rendendo ancora più difficile l’accoglienza dei profughi. La strage di Cutro (Crotone, nel sud del Paese), con 91 immigrati morti in mare (tra cui diversi bambini) a 150 metri dalla riva per mancato soccorso, ha suscitato molta indignazione tra le masse. Il governo non ha fatto autocritica e, anzi, successivamente il ministro dell’agricoltura, Lollobrigida (tra l’altro cognato della Meloni), ha parlato di rischio in Italia di «sostituzione etnica». Va precisato che negli ultimi anni sono morte decine di migliaia di immigrati nel Mar Mediterraneo e i governi guidati dal Pd non hanno attuato politiche molto differenti, rendendosi responsabili come il governo Meloni di numerose stragi di Stato.
Il Primo maggio la Meloni come provocazione ha convocato tutti i ministri per far approvare una legge, denominata appunto «Decreto Primo maggio», sui temi del lavoro: con questo decreto si riducono ulteriormente i già miseri sussidi per i disoccupati (ex reddito di cittadinanza) e si inasprisce la precarietà.
A tutto ciò si sono aggiunte le esternazioni del ministro dell’istruzione, Valditara: di fronte a un’aggressione squadrista, davanti a una scuola, da parte di un gruppo di studenti di destra contro alcuni studenti di un collettivo che stavano diffondendo un volantino, il ministro non solo non ha criticato l’aggressione ma… ha attaccato (con tanto di minaccia di sanzioni) la preside della scuola per aver mandato agli studenti una nota di critica di quanto avvenuto ricordando il rischio sempre presente della diffusione del fascismo (1).
L’opposizione di classe al governo
Nonostante il carattere borghese e reazionario di questo governo, in Italia, mentre stiamo scrivendo, non si assiste a quell’ascesa della mobilitazione di massa che sarebbe necessaria. Questa apparente pace sociale si spiega, a nostro avviso, con una combinazione di fattori. Anzitutto, un grosso freno alla mobilitazione della classe operaia è posto dalle attuali direzioni sindacali (e politiche) del movimento operaio. In Italia esistono tre grandi confederazioni sindacali (Cgil, Cisl e Uil) che raggruppano milioni di lavoratori. In particolare, la Cgil (che ha al proprio interno la Fiom, la componente degli operai metalmeccanici) ha un grande controllo sui settori tradizionalmente più combattivi della classe operaia. In passato la direzione della Cgil era legata al Pci stalinista, mentre ora ha sviluppato una politica di totale accodamento ai governi del Pd. Nel corso degli anni, inoltre, questi apparati hanno accentuato i loro aspetti burocratici e di collaborazione con lo Stato: di fatto gestiscono una serie di servizi per conto degli apparati statali, in particolare tramite i patronati e i caf, cosa che permette loro di arricchirsi notevolmente (i bilanci di questi sindacati sono spesso superiori a quelli delle aziende).
È anche per questo che non fanno nulla per innalzare il livello di scontro con i governi, incluso questo di estrema destra. Da quando si è installato il governo Meloni la Cgil ha organizzato pochissimi scioperi e qualche manifestazione simbolica, pensata più per celebrare l’elezione della nuova segretaria Elly Schlein alla guida del Pd che per contestare il governo.
La cosa più eclatante che ha fatto la direzione della Cgil è stato invitare la premier di estrema destra al congresso del sindacato, lasciandola parlare dal palco… cosa che è stata accompagnata solo da flebili proteste da parte di qualche delegato.
Al ruolo nefasto di pompieri svolto dalle direzioni sindacali va aggiunta l’assenza di una direzione diversa e combattiva nelle fabbriche e nei settori strategici della classe lavoratrice. I sindacati alternativi sono piccoli e spesso in competizione tra di loro, incapaci di dare vita ad azioni di lotta unitarie e radicali; inoltre, manca una direzione politica rivoluzionaria con un’influenza di massa (quella direzione rivoluzionaria che Alternativa comunista sta cercando di costruire).
Questo non significa che siano mancate, in questi mesi di governo, mobilitazioni operaie. Le lavoratrici e i lavoratori dell’ex compagnia aerea Alitalia (ora Ita), con alla testa un compagno di Alternativa comunista (Daniele Cofani), hanno dato vita a una delle lotte più partecipate degli ultimi anni contro la privatizzazione della compagnia (con numerosi scioperi e partecipate manifestazioni). Costituiti in un comitato combattivo e unitario (Tutti a Bordo – no Ita) si sono uniti all’altra vertenza operaia in lotta, quella degli operai Gkn di Firenze, licenziati dal padrone che ha trasferito la produzione all’estero. Anche gli operai della Gkn si sono costituiti in un comitato di fabbrica, dando vita a varie mobilitazioni sia sul territorio che a livello nazionale.
Va poi ricordato il ruolo importante svolto dal Fronte di Lotta No Austerity (Flna), che cerca di superare la frammentazione del sindacalismo italiano, unendo importanti settori di avanguardia della classe operaia: dagli operai della Pirelli (aderiscono al Flna operai della Pirelli, organizzati da un compagno di Alternativa comunista, Diego Bossi) ai ferrovieri Cub (che hanno organizzato alcuni scioperi nazionali molto partecipati), dagli operai della Stellantis (Slai Cobas: anche qui sono attivi compagni del nostro partito) a quelli della Ferrari (Fiom).
Ancora non è arrivato, in Italia, il vento della lotta di classe che soffia in Francia, ma Alternativa comunista è in prima linea nel tentativo di rilanciare, anche qui, la lotta di classe contro questo governo, per un’alternativa rivoluzionaria e socialista.
Note
(1) Questo articolo è stato pubblicato a maggio. Nel frattempo si sono moltiplicati gli attacchi del governo alla classe lavoratrice: repressione sul terreno dei diritti civili (si pensi al divieto della registrazione dei figli di coppie omogenitoriali), precettazione di scioperi (si pensi allo sciopero dei ferrovieri del 13 luglio), provvedimenti che sanzionano i dipendenti del pubblico impiego (della scuola in particolare) nel caso di critiche alla loro amministrazione sui social, ecc. [ndr]