E ORA L'ALBANIA!
Non è un mondo per riformisti, centristi e trepidi
Così è successo che a Tirana la pacifica manifestazione si è conclusa con un assalto al palazzo (quanti ne abbiamo visti in questi ultimi mesi, dall'Europa all'Africa? si perde il conto). La polizia ha sparato, tre morti. Mentre scriviamo la situazione è ancora in fermento.
Quanto avviene in queste ore in Albania è di grande importanza non solo per i fatti in sé e per il contesto internazionale in cui si colloca questa ennesima sollevazione popolare. Ma anche perché meno di quindici anni fa, come si ricorderà, a partire da scontri di piazza come questi la situazione ebbe una improvvisa evoluzione in una vera e propria crisi rivoluzionaria. In quei giorni Berisha (che poi, nel gioco dell'alternanza, è tornato al potere) fu cacciato dalle masse in lotta e si aprì una situazione di dualismo di potere nel Paese. Da una parte il governo, dall'altra alcuni embrionali organismi di potere dei lavoratori, i comitati rivoluzionari, armati, con una parte dell'esercito passata dalla loro parte. Si costituì, anche se per poche settimane, una Assemblea nazionale dei comitati rivoluzionari (una specie di soviet).
Fu solo grazie all'intervento in armi del governo imperialista italiano, allora diretto da Prodi (col sostegno di Rifondazione), che la situazione si stabilizzò, concludendosi con delle elezioni farsa che passarono il potere (un cambio di spalla del fucile) dal Partito Democratico al Partito Socialista di Nano (i due tronconi in cui si era divisa la burocrazia restaurazionista originata dal Partito del Lavoro, stalinista, di Enver Hoxa). Dopo la missione militare "Alba", il governo Prodi avviò la missione "Alba 2" (col voto favorevole dei parlamentari di Rifondazione, soprannominati da Repubblica, per questo, "Compagni d'armi", 1), che consisteva nel completare il disarmo dei comitati rivoluzionari e il riarmo delle bande statali. Quattrocento tra carabinieri, militari vari e agenti dei Servizi furono inviati in Albania. Su Liberazione si dedicarono molti articoli di apprezzamento alla vittoria elettorale del Ps, che poneva termine all'insurrezione e "al caos" (sic).
Ancora oggi, in quello che l'imperialismo italiano ha sempre considerato un sorta di "protettorato", è attiva una missione militare. Da allora il potere è tornato (elezioni del giugno 2009) a Berisha, continuando l'eterna altalena tra i due partiti di centrodestra e centrosinistra, Pd e Ps.
Parlando della Tunisia, un acuto giornalista della Stampa, Vittorio Parsi, faceva, qualche giorno fa, un paragone con la Russia del 1917 e si preoccupava del fatto che l'attuale governo di "unità nazionale" (con i ministri chiave di Ben Alì al loro posto) assomiglia più ai timidi tentativi del governo del principe Lvov, non in grado di soddisfare le masse in rivolta, che al governo "delle sinistre" diretto da Kerensky. Secondo Parsi (2), cioè, per evitare lo sviluppo della rivoluzione in tutto il Nord Africa sarebbe meglio che ci fossero governi di collaborazione di classe capaci di presentarsi alle masse come governi "popolari", delle masse, di centrosinistra, magari con una spruzzata di sinistra. Ma quando i commentatori nostrani parlano della Tunisia parlano indirettamente dello sviluppo della lotta di classe (seppure non ancora in forme rivoluzionarie) anche in Europa e in Italia. Non è un segreto (basta leggere, a parte Repubblica, il Corriere della Sera o La Stampa della Fiat) per capire che ampi settori della grande borghesia preferirebbero pensionare Berlusconi e sostituirlo con un altro governo per affrontare la tempesta che si avvicina: una tempesta che non è più solo economica ma che trascina con sé tutto, rialimentando la lotta di classe con fiammate improvvise e violentissime. Come dimostrano gli assalti ai parlamenti in mezza Europa ma anche il movimento di massa degli studenti in Italia (con punte di radicalità che non si vedevano da decenni) e l'esito del referendum a Mirafiori. Un risultato eccezionale, quest'ultimo, ottenuto dagli operai, dai militanti di base della Fiom e del sindacalismo di base, soli contro tutti (3).
Tornando al paragone con i governi del 1917, bisognerebbe spiegare al giornalista della Stampa che in realtà la "colpa" (per i giornalisti borghesi fu sicuramente una colpa) dell'Ottobre bolscevico non è tutta dell'incapacità del principe Lvov di calmare le acque: visto che fu rovesciando il governo Kerensky, cioè un governo "delle sinistre", che i comunisti costituirono il governo dei lavoratori. In altre parole, non si illudano che un futuro governo Bersani o Vendola li metta al riparo dalle intemperie della lotta di classe, risparmi loro la fine di Ben Alì. Purtroppo per loro, dovranno prendere atto che sono finiti (se mai ci sono stati) i bei tempi andati, quelli in cui imperavano i teorici della sconfitta, del "deserto sociale", dell'impotenza della classe operaia ad andare oltre la resistenza minimale. Prendano atto che a partire dall'Europa e dal Nord Africa siamo entrati in una fase nuova.
(1) v. "Compagni d'armi", titolo di Repubblica del 26 luglio 1997 sul voto a favore di Bertinotti e di Rifondazione alla missione "Alba 2". Repubblica riconosceva "il senso di responsabilità" del Prc.
(2) Vittorio Parsi, "La rivoluzione fragile nel mirino degli estremisti" (La Stampa, 21 gennaio 2011)
(4) Si tratta di Non è un paese per vecchi, di Ethan e Joel Coen, basato su un romanzo di Cormac McCarthy.