Partito di Alternativa Comunista

La

La “Brexit” mette in discussione il futuro dell'Unione Europea

 

 

Dichiarazione di Corriente Roja (sezione spagnola della Lit-Qi) *

 

brexit

 

Il risultato del referendum dello scorso giovedì in Inghilterra, benché in parte atteso, ha generato un subbuglio a livello politico, economico e sociale, che è appena cominciato e che nessuno sa quale esito potrà avere. La stampa, i partiti politici e gli organismi finanziari stanno facendo ognuno i propri pronostici. Ma al di là del pensiero e delle interpretazioni di ognuno, la cosa certa è che siamo davanti ad un avvenimento che ha profonde ripercussioni, non solo per l'UE ma per il mondo intero. 

 

La maggioranza della popolazione britannica che si è recata alle urne lo scorso giovedì 23 giugno ha votato per l'uscita del Regno Unito dell'Unione Europea. Quasi 17 milioni di persone si sono espresse per la brexit contro circa 16 milioni che hanno votato per la permanenza nell'UE. La partecipazione è stata del 72 percento degli aventi diritto al voto e la campagna è stata caratterizzata da una polarizzazione crescente nell'ultima settimana, che si è manifestata perfino nell'assassinio della deputata laburista Jo Cox. 

 

La recessione economica, la crisi dei rifugiati, la lotta in Francia contro la riforma lavorativa ed ora la Brexit confermano che questa crisi, cominciata nella periferia, sta penetrando con forza nel cuore dell'UE. Il risultato apre una nuova situazione in Europa. 

 

Su quale scenario si innesta il referendum britannico?  

 

Per potere comprendere il risultato del referendum è necessario considerare che l'economia britannica negli ultimi decenni ha vissuto un processo profondo di deindustrializzazione e disinvestimento produttivo. Si cerca di salvare il deficit commerciale oggi esistente coi movimenti di capitale, dei quali una parte importante sono movimenti speculativi. 

 

È un Paese dove la ricchezza è sempre più concentrata nelle mani di un pugno di grandi milionari e la lotta per la ripartizione del reddito nazionale fra i diversi settori sociali si radicalizza portando alla frattura dell'equilibrio tra le classi. La deindustrializzazione, i tagli ai sussidi e ai diritti sociali e lavorativi sono il motore del malcontento, che si esprime nel desiderio di rompere con l'UE, identificata come la causa dei problemi. 

 

La “City” (centro finanziario di Londra) è il grande centro economico inglese che concentra tutto il denaro illegale e i traffici di gran parte del mondo, ponendosi come intermediario tra gli Usa e l'UE. Con l'Inghilterra fuori dall'UE questo ruolo viene intaccato e tutti quei capitali volatili possono abbandonare la “City”, il che provocherebbe la riduzione della circolazione di capitali ed una situazione complicata per lo meno a breve termine per l'economia inglese. 

 

La “Brexit” indebolisce tutto il progetto dell'UE, estendendo la polarizzazione ed il sentimento anti UE all'insieme dell'Europa. Questa è una delle conseguenze più importanti della “Brexit”. 

 

Che cosa si votava nel referendum?  

 

Ciò che è stato realmente sottoposto a voto col referendum del Regno Unito è l'accordo tra Cameron, Merkel e l'UE col quale si dava un'ampia autonomia alla “City” che oggi è il grande centro d'affari inglese, ed autorizzava misure contro i lavoratori immigrati. Questo era il significato del voto al Sì. 

 

Per questo motivo il risultato del referendum esprime un duro colpo al progetto imperialista della Germania e della Francia che nelle ultime settimane avevano guidato un'energica campagna, attraverso i mezzi di comunicazione ed i loro portavoce, per il voto “europeista” nel referendum. 

 

il NO, da parte sua, era il voto all'uscita dall'UE, nient'altro. 

 

La sinistra riformista si è posizionata per lo più a favore del Sì. Il partito Laburista, Jeremy Corbyn ed i principali sindacati si sono espressi per il Sì. 

 

L'Isl, la nostra organizzazione gemella nel Regno Unito, ha alzato la bandiera dell'astensione per far comprendere che non potevamo sostenere nessuna delle due posizioni in quanto nessuna difendeva gli interessi della nostra classe.

 

Perché ha vinto il voto per l'uscita dall'UE?  

 

La votazione ha espresso un rifiuto profondo per le politiche di austerità applicate nel Regno Unito dal governo conservatore di David Cameron, associato dalla maggioranza della popolazione all'UE. Il governo conservatore sta applicando un piano di accomodamento fiscale, la privatizzazione del sistema della sanità pubblica e riforme lavorative che precarizzano ancora di più il lavoro. Per questo motivo il grande sconfitto è David Cameron, il quale poche ore dopo che il risultato ufficiale del referendum era stato reso pubblico ha annunciato le sue dimissioni [che avverranno, ha detto, entro il mese di ottobre, quando comincerà l'effettiva procedura di uscita dall'UE; ndt].

 

La maggioranza degli inglesi e dei gallesi ha votato per la “Brexit”, mentre in Scozia ed Irlanda è prevalso il voto a favore della permanenza nell'UE. Con questo panorama si apre la possibilità di disintegrazione del Regno Unito, a partire dalla proposta di settori nazionalisti in Scozia ed Irlanda di realizzare dei referendum sulla permanenza o meno nel Regno Unito. 

 

È chiaro che questa radicalizzazione viene in parte capitalizzata dall'ultradestra. La piccola borghesia colpita dalle politiche di austerità giovedì scorso è stata l'attrice principale, che in Inghilterra si esprime nell'Ukip, ed in altri Paesi in partiti come Alternativa per la Germania e il Fronte Nazionale in Francia, tra gli altri. 

 

L'estrema destra si muove con l'obiettivo di sconfiggere le lotte attualmente in corso, dividendole col suo discorso xenofobo e nazionalista. Questa crescita della destra si deve in gran parte all'abbandono della denuncia e del rifiuto dell'UE da parte della sinistra riformista. 

 

Per questo motivo da oggi stesso dobbiamo appoggiare la lotta nel Regno Unito contro i piani di asuterità e le privatizzazioni. La lotta delle insegnanti, degli studenti, degli impiegati, dei lavoratori portuali. Il governo di Cameron è stato colpito, dobbiamo lottare per dargli il colpo finale e sconfiggere i piani di austerità applicati dal Partito conservatore, e allo stesso tempo dobbiamo denunciare con tutte le nostre forze l'Ukip e tutte le varianti di destra che con o senza UE agiscono in difesa dei ricchi e per reprimere la lotta operaia. 

 

Approfittare della crisi per rafforzare la mobilitazione 

 

Davanti a questa situazione nuova che si apre, come lavoratori e lavoratrici dobbiamo trarre delle conclusioni. La prima è che una volta di più si dimostra una bugia quella secondo cui – come ci vogliono fare credere - non ci sarebbe uscita dall'UE e dall'Euro. Come stava per fare la Grecia, e ora l'Inghilterra, è possibile e legittimo rompere con l'UE. 

 

La seconda è che non c'è possibilità di uscire dalla crisi nel quadro di questa UE. 

 

In quanto alla questione nazionale, l'annuncio di referendum in Scozia mette un'altra volta sul tavolo il diritto delle masse popolari a decidere il loro futuro. Rispetto ai piani di austerità, ci dicono che bisogna fare tagli e che viviamo al di sopra delle nostre possibilità, ma ci dicono che stanno iniettando circa 250.000 milioni per garantire la stabilità nei mercati. Come fanno normalmente, prendono denaro pubblico per salvare i grandi capitalisti, i banchieri e gli speculatori. 

 

Dobbiamo uscire dall'Euro e rompere con l'UE 

 

Noi di Corriente Roja e della Lit-Quarta Internazionale pensiamo che non c'è via d'uscita per i/le lavoratori/lavoratrici dentro l'UE. La crisi che ha provocato la Brexit, le mobilitazioni in Francia o la crisi dei rifugiati c'insegnano che dobbiamo approfondire la nostra mobilitazione e la lotta contro le politiche di austerità e le riforme “strutturali” che ci vengono imposte dall'UE capitalista. 

 

Non dobbiamo cadere nel ricatto secondo cui non c'è possibilità di uscita dell'Euro e dall'UE, per cui dovremmo soltanto adeguarci al meno peggio o sopportare. Come si è dimostrato con la “Brexit”, è possibile e necessario uscire dall'Euro e rompere con l'Europa del capitale; e quanto prima lo facciamo meglio è. 

 

Dobbiamo costruire la rottura essendo coscienti che l'uscita dall'Ue non è di per sè una soluzione se non è accompagnata da misure radicali come l'espropriazione delle banche e delle imprese chiave, l'avviamento di piani di opere pubbliche per creare lavoro, la ripartizione delle ore lavorative senza ribasso salariale, il controllo del movimento dei capitali e del commercio, il diritto di autodeterminazione e il rifiuto del pagamento del debito. Ed essendo coscienti altresì che tutte queste misure non verranno mai promosse dai partiti che difendono questo regime ed il sistema capitalista. 

 

Solo un governo operaio e popolare potrà condurle a termine, estendendo ed unificando la lotta con quella di tutti i lavoratori, le lavoratrici e le masse popolari d'Europa, nella prospettiva di un'Europa dei lavoratori e delle masse popolari, socialista ed unita.

 

 

* dal sito della Lit-Quarta Internazionale: www.litci.org

  (traduzione dallo spagnolo di Mauro Buccheri)

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