Partito di Alternativa Comunista

La conferenza di Bali: nessun impegno per la riduzione di gas serra

IL DISASTRO AMBIENTALE

PROVOCATO DAL CAPITALISMO

La conferenza di Bali: nessun impegno per la riduzione di gas serra

di Alberto Cacciatore

 

A dicembre si è tenuta a Bali (Indonesia) la XIII Conferenza internazionale dell’Onu sui cambiamenti climatici, con l’obiettivo di definire il quadro di un negoziato per un nuovo trattato mondiale (da siglarsi nel prossimo vertice di Copenaghen nel 2009) sulla riduzione delle emissioni di gas serra responsabili del riscaldamento globale, dal momento che quello definito nel 1998 a Kyoto scadrà nel 2012.

Dai più disparati media, sia borghesi che dell'ecologismo e della sinistra"radicale", l'accordo raggiunto è stato definito "storico", intendendo come molto positivo il solo fatto che gli Usa (da una posizione di rifiuto totale del protocollo di Kyoto) abbiano deciso di sedersi al tavolo negoziale e si siano impegnati a farlo nei prossimi incontri: l'Europa e i Paesi "in via di sviluppo" avrebbero battuto l'unilateralismo Usa e rilanciato il multilateralismo della "cooperazione".

Ma quali impegni vincolanti sono stati presi? Nessuno, dal momento che l'assenza di impegni vincolanti di riduzione delle emissioni è stata la condizione per ottenere la firma del documento finale da parte degli Usa. Gli obiettivi di riduzione delle emissioni dei gas serra indicati dall'Ipcc - il gruppo di esperti intergovernativo sull'evoluzione del clima (1) - e gli stessi obiettivi proposti dall'Ue, cioè il taglio delle emissioni del 25-40% entro il 2020, sono stati totalmente ignorati, mentre l'accordo si è trovato su un generico "impegno" e sul riconoscere l'"urgenza" di un'azione internazionale di fronte al riscaldamento del pianeta.

Se nulla si è mosso sul versante degli impegni vincolanti rispetto alla riduzione delle emissioni, la road map approvata a Bali ha indicato invece impegni più precisi sul fronte degli investimenti di mercato legati agli impegni di Kyoto. La logica dei maggiori Paesi capitalisti è quella di voler continuare ad inquinare e a produrre CO2 in casa propria ed allo stesso tempo gettarsi nel nuovo mercato delle "quote" di riduzione e nel mercato degli investimenti in nuove tecnologie per fonti energetiche più "pulite" nei Paesi in via di sviluppo. Ed ecco che allora tutti i Paesi si sono impegnati a gestire il fondo di adattamento al cambiamento climatico attraverso la partecipazione ad un consiglio di amministrazione ad hoc, creato nell'ambito del Fondo per l'ambiente mondiale. Gestire questo fondo significa, per i éaesi industrializzati, finanziare progetti energetici "puliti" nelle aree povere del pianeta.

La road map ha lanciato, inoltre, progetti di riforestazione per contrastare l'aumento di CO2 dovuto al massiccio disboscamento effettuato in larghe superfici mondiali. Anche qui il non sense del cosiddetto "sviluppo" capitalistico trova la massima espressione: anche riparare i danni deve essere conveniente, altrimenti il processo di accumulazione si ferma. Ed alla stessa logica rispondono, nel documento di Bali, gli impegni a lanciare programmi di lavoro per trasferire tecnologie e progetti che sperimentino la cattura del carbonio per contrastare le emissioni delle centrali a gas o a carbone. Anche qui la follia del capitale si esprime al massimo grado: invece di rimuovere la causa dell'aumento delle emissioni si cerca, con ulteriore dispendio energetico, di catturare il prodotto finale.

 

Europa, Usa e Paesi "emergenti"

I commentatori di cui sopra hanno esaltato il ruolo di guida giocato dall'Europa nel corso delle trattative a Bali. Infatti l'Europa si vuole collocare alla testa della lotta ai cambiamenti climatici e a Bali si è fatta forte della decisione europea del cosiddetto "20-20-20" cioè 20% in meno di emissioni di gas serra rispetto al 1990, 20% di uso di energie rinnovabili, 20% di maggior efficienza energetica, cioè di risparmio; obiettivi da raggiungere entro il 2020. Una politica che consentirà di acquisire una leadership tecnologica e di sviluppare un'interessante area di business rappresentata dallo sviluppo di tecnologie per l'uso di fonti rinnovabili. L'esperienza tedesca e spagnola è esemplare sulla possibilità di creare in pochi anni una solida industria "verde" che garantisca notevoli profitti. Lo scorso 23 gennaio il presidente della commissione europea Barroso, ha presentato il pacchetto europeo su energia e clima che, oltre a ribadire il "20-20-20", estende il sistema di commercio delle emissioni all'industria petrolchimica, dell'alluminio, dell'ammoniaca e al trasporto aereo. E, oltre all'anidride carbonica, entreranno nel mercato del carbonio anche altri gas serra come, ad esempio, il protossido di azoto e i fluorocarburi. Viene così implementato il Carbon market istituito dal Protocollo di Kyoto, le cui misure vengono esaltate in Italia dal giornale della Confindustria, Il Sole 24 ore, con titoli come: "Ecologia e finanza. Effetto Kyoto sulle banche d'affari", "Mercati Verdi. Tutte le opportunità legate al Protocollo di Kyoto. CO2, boom di scambi", "Le imprese cominciano a sfruttare le occasioni di business offerte dal protocollo. Come convertire Kyoto in un affare".

A Bali gli Usa hanno deciso di partecipare ai futuri negoziati sul dopo-Kyoto non perché "l'Europa ha messo gli Usa spalle al muro", ma perché l'amministrazione Usa si è trovata sotto un'intensa pressione sia dell'opinione pubblica che di quella parte del mondo degli affari che manifesta ormai la propria insofferenza rispetto ad una politica chiusa al business verde. Sono già molte le grandi aziende statunitensi come General Electric, DuPont, Ibm, Novartis che hanno fissato propri obiettivi di riduzione delle emissioni. La politica sul clima dell'amministrazione Bush è sotto accusa e nella campagna elettorale in atto il tema dei cambiamenti climatici può diventare importante: il democratico Obama si è già espresso sulla necessità di una riconversione energetica nei prossimi dieci anni.

I Paesi emergenti, quali Cina, India, Messico, Brasile e Sudafrica, che negli accordi di Kyoto sono inclusi nei "Paesi in via di sviluppo", e quindi, non hanno obblighi di riduzione delle emissioni, sottoscrivendo la road map di Bali, hanno accettato di discutere dei loro impegni già a partire dal 2012. A Bali si sono schierati con l'Europa per il semplice motivo che l'Ue ha messo sul tavolo della trattativa una montagna di denaro a loro favore. Prima di tutto strumenti per finanziare il trasferimento di tecnologie pulite e, tra queste, energie rinnovabili e impianti a carbone capaci di "catturare" la CO2 . Inoltre, con il piano per limitare la deforestazione nei Paesi in via di sviluppo, i Paesi che dimostreranno di proteggere le foreste tropicali saranno titolari di crediti di carbonio che potranno vendere ai Paesi industrializzati. Non si tratta di preoccupazioni per la salute del pianeta, ma piuttosto di una ulteriore occasione di arricchimento per le élites dominanti dei Paesi dipendenti.

 

L'Italia e la Finanziaria "verde"

Dopo la conclusione della Conferenza di Bali, Pecoraro Scanio ha detto: "Abbiamo sconfitto quelli che volevano boicottare Kyoto e Bali". Ma cosa ha fatto il suo governo?

Il piano di assegnazione delle emissioni per il 2008-2012 è stato bocciato dalle associazioni ambientaliste che sostengono la possibilità di un eco-capitalismo ("il matrimonio tra ecologia ed economia") e quindi soluzioni alle crisi ambientali attraverso gli strumenti del mercato. Il nuovo piano, a loro dire, permetterebbe l'acquisto, tramite risorse pubbliche, di quote di CO2 per i nuovi impianti, ed è stato ancora "privilegiato" il carbone, in contraddizione con il principio del "chi inquina paga".

Verdi e sinistra "radicale" hanno definito la Finanziaria 2008 "la più ecologica della storia repubblicana" e una Finanziaria "dal segno ambientalista".

In verità, tra Finanziaria e decreti collegati, il governo Prodi ha assicurato finanziamenti al Mose, alla Tav, all'industria automobilistica (rottamazione delle auto spacciata come politica per il clima) e all'industria degli elettrodomestici.

Nonostante i proclami roboanti sulla abolizione degli incentivi, i cosiddetti Cip 6, bisogna dire che questi incentivi continuano ad essere concessi agli impianti realizzati ed operativi. Gli stessi incentivi, attraverso "la procedura del riconoscimento in deroga del diritto agli incentivi" sono concessi agli impianti autorizzati e non ancora in esercizio e, in via prioritaria, a quelli in costruzione. Tale procedura, di competenza del ministero dello sviluppo economico, deve essere completata entro tre mesi dall'entrata in vigore della Finanziaria. Gli incentivi Cip 6, che riguardano la vendita a prezzo di vantaggio dell'energia elettrica prodotta dagli impianti alimentati con fonti rinnovabili come acqua, vento, sole ecc., sono stati concessi anche alle centrali definite "assimilabili a quelle rinnovabili": turbogas a ciclo combinato, inceneritori di rifiuti e di biomasse. Nel 2005 la graduatoria degli incassi da Cip 6 ha visto in testa l'Edison, la raffineria Saras della famiglia Moratti e l'Erg della famiglia Garrone (2). Questa operazione significa dare ossigeno alle potenti lobbies degli inceneritori ed aprire così la strada a tutti gli inceneritori "in attesa" nel Lazio, in Sicilia, Puglia, Calabria e... Campania, che possono usufruire del "riconoscimento in deroga del diritto agli incentivi". Si tratta di impianti a forte produzione di CO2 ed allora i vari ambientalisti, ormai ex governativi, ci spieghino la compatibilità di tutto ciò con il protocollo di Kyoto.

Il sistema capitalistico, nella sua logica di sfruttamento scientifico del lavoro umano come dell'ambiente, è sensibile solo al profitto e non alla salute di tutta l'umanità e del pianeta che ci ospita. Il progresso scientifico permetterebbe già oggi di soppiantare gran parte delle obsolete ed inquinanti tecnologie oggi impiegate. Esempio di questa follia è l'ostinato uso del petrolio, nonostante ci siano altri tipi di energie già pronte (da decenni) a soppiantarlo o la costruzione di inceneritori. Questa follia si chiama profitto di pochi capitalisti, anche a discapito dell'intera umanità.

Il problema ambientale sarà uno dei maggiori problemi dell'umanità di questo secolo cui solo i lavoratori, organizzandosi e rovesciando questo sistema economico che, altrimenti, ci porterà tutti alla rovina, potranno dare risposta. 

 

  1. vedi Progetto comunista numero 9 "Cambiamenti climatici e sistema di produzione capitalista"
  2. vedi Sole 24 Ore del 6 dicembre 2007

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