Partito di Alternativa Comunista

La GUERRA e la RIVOLUZIONE in SIRIA

La GUERRA e la RIVOLUZIONE in SIRIA

Intervista a YASSER MUNIF

Yasser Munif, professore ospite dell’Emerson college, ha concesso un’intervista a Jeff Napolitano, trasmessa alla radio dal programma della sezione ovest del Massachussets dell’American friends service committee, intitolata Inside the Syrian revolution and what the left must do (All’interno della rivoluzione siriana e ciò che deve fare la sinistra). Una trascrizione dell’intervista, curata da Linda Quiquivix, è stata pubblicata nel blog Syria freedom forever. Questa è una trascrizione dell’intervista pubblicata originariamente in inglese per il periodico Socialist woker. La versione portoghese è stata curata da Sebastião Nascimento e approvata da Munif.

Yasser Munif: Questa estate ho passato due mesi nel nord della Siria, nelle zone liberate, e questa esperienza è stata una lezione d’umiltà. Ho appreso molto e ho visto una rivoluzione popolare in corso. Le persone stanno ricostruendo le istituzioni, amministrando le loro città dopo il collasso dello Stato e del regime ed è un compito pieno di difficoltà perché non ci sono risorse, non c’è denaro e gli attacchi del regime sono continui. Queste zone, alle quali mi riferisco, del nord, sono state liberate, non ci sono scontri sul campo. Però i bombardamenti aerei sono costanti e i missili continuano ad essere lanciati contro le città. Le persone, allora, ricorrono a soluzioni creative: stanno creando istituzioni politiche. Ci sono consigli locali in ognuna di queste città, che si riuniscono settimanalmente. Discutono di tutto quello che si riferisce alla città e tentano di risolvere i loro problemi. Ci sono milioni che ascoltano i media occidentali e altri media che parlano di “guerra civile” e cose così, però la maggioranza di queste persone rifiutano queste etichette. È vero che stanno affrontando un periodo critico, ci sono problematiche serie al fronte, ed esistono i yihadisti1 che tentano di minare il loro sforzo, oltre, chiaramente, al regime. Però, loro credono che c’è una rivoluzione popolare in corso in Siria.

Jeff Napolitano: I yihadisti sono frequentemente considerati come soci dei “ribelli”. Però sono, dice lei, : qualcosa si completamente distinto dalla rivoluzione propriamente detta.

Y.M.: Esattamente. Nel corso degli ultimi tre o quattro mesi, i rivoluzionari stanno lottando, in realtà su due fonti. Da un lato, c’è il regime e, dall’altro, ci sono i yihadisti – i gruppi Al Nusra e quelli creati da Al Qaeda. In realtà, i yihadisti stanno arrestando, torturando e uccidendo molti attivisti, persone che stanno animando la resistenza dal primo giorno. La maggioranza dei gruppi creati da Al Qaeda non stanno realmente affrontando il regime. Questi mantengono la loro presenza in queste aree del nord. Permettono che l’Esercito libero siriano e altre fazioni affrontino il regime e gli vanno dietro per occupare tutte le città e le ville che sono liberate. Sono molto crudeli. Come ho detto, stanno arrestando attivisti, chiunque li critichi è arrestato, torturato e, a volte, arrestato. In questo stesso momento, trattengono più di 1500 attivisti nelle loro prigioni. Come si può vedere, ci sono due fronti in Siria, attualmente: i yihadisti da un lato e il regime dall’altro. È per questo che molte persone credono che i yihadisti siano, in qualche modo, alleati con il regime siriano. Al Qaeda sta, in realtà, fornendo petrolio al regime. L’oleodotto deve attraversare la regione controllata dai gruppi controllati da Al Qaeda, perché il regime possa portare il petrolio fino alla regione costiera.Le cose sono, per tanto, molto più complicate di quello che possono sembrare qui, negli Usa, dove si leggono articoli che parlano tutto il tempo della dominazione di “Al Qaeda”. Al Qaeda, in realtà, non è parte della rivoluzione. È antirivoluzionaria.

J.N.: Esatto. Il dibattito che domina al Congresso sembra essere intorno alla questione di chi assumerà il potere se bombarderemo la Siria. Ci sono molte persone nel Congresso, specialmente repubblicani, che sembrano pensare che il problema dei bombardamenti sarebbe solamente che Al Qaeda prenda il controllo del Paese; invece di considerare che bombardare il Paese semplicemente non è una buona idea. Uno dei miti più popolari, nei media, è che i ribelli che si oppongono ad Assad e al regime sono favorevoli a un attacco contro la Siria. È vero?

Y.M.: Da lontano, non lo posso dire. Credo che la popolazione è divisa. Molti sono contrari agli attacchi. Credo che alcune persone, a causa della distruzione e della violenza e della mortalità, vedono un attacco degli Usa come una “uscita”, però non penso che siano, necessariamente, la maggioranza. Le persone hanno appreso, negli ultimi 30 mesi, che nessuno è veramente alleato e a nessuno importa della popolazione siriana; il popolo siriano, di fatto, non ha amici. Sanno che l’occidente – Europa e Usa – non sono necessariamente favorevoli alla vittoria della rivoluzione. Quando si conversa con un cittadino comune in Siria, in quelle aree liberate, ti racconterà che, quando stanno perdendo territorio, nella lotta contro il regime, allora ricevono le armi; e quando stanno vincendo, le armi smettono di arrivare. La ragione di questo è che l’occidente e gli Usa vogliono vedere la continuazione di questa guerra, come in un vicolo cieco, perché è questo quello che più gli interessa. Non sono, necessariamente, a favore del regime e non sono, necessariamente, favorevoli alla vittoria dei rivoluzionari, o di quelli che loro chiamano “Al Qaeda”. Il meglio per gli Stati Uniti, fino ad adesso, è stato sostenere la continuazione del conflitto. Questo è anche l’interesse di Israele che non vuole, necessariamente, vedere i rivoluzionari vincere. Molti politici israeliani e nordamericani sostengono il mantenimento di un Bashar indebolito al potere.

J.N.: Sono veramente incuriosito rispetto a questo, perché nessuno, nemmeno nella sinistra, parla di come la rivoluzione si presenta realmente. Ascoltandoti, ricordo quello che appresi sulla rivoluzione spagnola, negli anni ’30, quando anche gli anarchici e i socialisti stavano combattendo una guerra su due fronti: una contro i fascisti e un’altra contro i comunisti. Questa è una storia più complicata, però quello che ha attirato la mia attenzione è stata la sua descrizione della rivoluzione, che si sviluppa con le sue proprie istituzioni, è simile alla spagnola, dove arrivò a svilupparsi una società egualitaria. Qual è la fase della rivoluzione, vista da vicino, in Siria?

Y.M.: La rivoluzione è molto complessa. È abbastanza multiforme e ci sono diverse cose che succedono simultaneamente nella realtà. La parte predominante è la rivoluzione popolare. Però c’è anche una semi-guerra fredda in corso, tra gli Usa e i suoi alleati, da un lato, e la Russia e i suoi alleati, dall’altro. C’è anche un conflitto tra l’Iran e i suoi alleati, da un lato, e Israele e il Golfo, dall’altro. Ci sono, pertanto, diversi livelli in questo conflitto però quello che predomina è la rivoluzione popolare. Credo che sia molto importante comprendere questo. Un’altra ragione, per comparare la rivoluzione siriana con la guerra civile spagnola, nel modo in cui lo stavi facendo, è che tutti i militanti della sinistra hanno un’opinione su quello che sta avvenendo in Siria, così come successe con la rivoluzione spagnola molti anni fa. E la maggior parte della sinistra, purtroppo, sta assumendo una posizione errata. Stanno considerando la rivoluzione siriana in una forma fondamentalmente binaria e riduzionista.

J.N.: Si tratta della sinistra americana o della sinistra siriana?

Y.M.: Anche la sinistra siriana e la sinistra araba sono divise, così come la sinistra americana ed europea. In larga parte, questo conflitto è visto come una guerra tra gli Usa, da un lato, e persone che sono contrarie agli Usa, dall’altro, “antimperialisti” come dice qualcuno. Questo lato include Hezbollah, in Libano, l’Iran e il regime siriano e i suoi collaboratori che credono che la Siria sia aiutata dai palestinesi. Questo si basa su una completa ignoranza della storia della Siria e di quanto è stato violento il regime siriano, negli ultimi 40 anni, conto la lotta palestinese.  In un certo modo, questi attivisti di sinistra, in realtà, stanno aderendo alla dottrina di Bush, senza spazio per un qualsiasi grado di complessità nelle posizioni.

J.N.: In altre parole “o stai con noi o stai contro di noi”.

Y.M.: Sì. La forma binaria e riduzionista di pensare la rivoluzione. Trovo che questo è molto pregiudiziale. Sta inviando il messaggio sbagliato al popolo siriano. Molti siriani credono che la sinistra è, per definizione, favorevole al regime. Recentemente, abbiamo visto proteste a New York e in altre città, con persone che manifestavano contro la guerra alzando ritratti di Assad.

J.N.: Alcuni giorni fa, c’era una fotografia in evidenza sul Boston Globe, che accompagnava un articolo sulle proteste, che inquadrava un gruppo di persone, in mezzo alla moltitudine, che stavano portando bandiere del regime siriano, con la foto di Assad ben stampata nel mezzo. Questo imprime alla protesta intera una caratterizzazione non propriamente contraria al bombardamento in Siria, ma di sostegno ad Assad. Però io conosco alcune delle organizzazioni che hanno promosso la protesta, per le quali questo va in senso contrario al messaggio che stavano tentando di trasmettere.

Y.M.: Esatto. Questa parte della sinistra sta perdendo la sua credibilità. Le persone, negli Usa, o nel mondo arabo o in Siria non percepiranno questo necessariamente come un messaggio realmente contro la guerra. Vedranno le foto di Assad e percepiranno queste manifestazioni come propaganda, non realmente come contrarie alla guerra. Trovo che la sinistra abbia un compito importante per il futuro. Deve formulare una posizione nuova, più coerente; una posizione nella quale si collochi, allo stesso tempo, contro la guerra e contro la dittatura. Fin tanto che non farà questo, non avrà nessun margine di credibilità. Le persone in Siria vedranno queste immagini praticamente come una licenza per uccidere, dato che il regime siriano sta trasmettendo queste manifestazioni sulla tv statale, mostrando che è tanto popolare in occidente, che le persone stanno manifestando nelle strade di New York e altre città con le foto di Assad. Il regime siriano non è stato capace di organizzare manifestazioni o atti così, nemmeno nella stessa Siria. È molto contento, pertanto, di vederle in altre parti del mondo. Molte delle persone che manifestano non hanno la minima idea della realtà di quello che i siriani stanno affrontando: le loro lotte, i loro combattimenti, la loro resistenza quotidiana, quello che stanno tentando di costruire e la creatività di quello che stanno facendo. Credo che c’è anche una forma di razzismo nel fatto di negare semplicemente qualsiasi tipo di iniziativa ai siriani e dire: “Tutto questo è una grande cospirazione e gli Usa l’hanno pianificato dall’inizio, è una cospirazione contro Assad”. Questo significa che i siriani non hanno nessuna iniziativa, che, in realtà, non sanno pensare per se stessi, non sono capaci di fare una rivoluzione. Trovo che questo sia un grande errore che la sinistra sta commettendo.

J.N.: Ho con me la proposta presentata dalla segretaria generale dell’American friends services committee, Shan Cretin, in una lettera indirizzate al presidente Obama e al Congresso. Quello che chiede è una ampia proibizione all’invio di armi a tutte le parti compromesse nel conflitto; che l’unica soluzione in Siris è una soluzione politica; appoggio agli sforzi di Lakhdar Brahimi, l’inviato comune dell’Onu e della Lega araba; fare pressione perché si riunisca rapidamente una nuova conferenza a Ginevra e che gli Usa dovrebbero puntare a una transizione che si basi sulle istituzioni già esistenti in Siria, al posto di rimuoverle, oltre che non gettare a mare le persone che avevano servito il governo o l’esercito. Che cosa pensa di questa proposta e che cosa pensa che la sinistra americana dovrebbe fare?

Y.M.: Credo che la cosa più importante per il movimento progressista e per le persone cui realmente importano le rivoluzioni arabe, e che vogliono appoggiarle e dimostrare la loro solidarietà, è tenersi lontani dalle alleanze con qualsiasi Stato e costruire un movimento sociale che appoggi la popolazione siriana. Questa solidarietà può assumere diverse forme. Può essere per mezzo dell’informazione: un giornalista responsabile, che vada in Siria, vede quello che sta realmente succedendo e tenta di prendere sul serio il suo lavoro. Molto di quello che viene pubblicato è sulle lotte interne e sugli aspetti militari della rivoluzione, però credo che questa è solo la punta dell’iceberg: è la parte più visibile, ma non è la più importante. Quello che sta succedendo in Siria è molto più di questo. Ci sono molte rivoluzioni in corso, in tutti i campi: quello politico, quello culturale, quello sociale e quello economico. Le persone stanno creando nuove istituzioni, con nuove idee: stanno tentando di affrontare i problemi più difficili per superali. Le persone, in Siria, hanno bisogno di medici, ingegneri, di qualsiasi attivista che li possa aiutare. Quello che è necessario è un movimento globale di solidarietà, che trascenda la politica stato-centrica, che sta dominando negli ultimi 30 anni, che gira intorno a governi, eserciti e tutto il resto. Credo che questo è il messaggio più forte che possiamo mandare alla popolazione siriana: costruire un movimento sociale globale, alternativo, che realmente comprenda la complessità della rivoluzione siriana e non la riduca ai “yihadisti” e ad “Al Qaeda”, che comprenda che esistono differenti settori. Progressisti e militanti della sinistra dovranno promuovere la realtà rivoluzionaria e non solo ripetere la retorica cospirazionista che stiamo vedendo nei media.

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Note:

1 - Movimento proveniente dalla yihad. Il yihadismo è un neologismo occidentale utilizzato per indicare i rami più violenti e radicali all’interno dell’Islam politico, caratterizzati per il frequente e brutale utilizzo del terrorismo, in nome di una supposta yihad o “guerra santa”. La yihad ha due manifestazioni: la "yihad minore", la lotta esterna e la "yihad maggiore", che è lo sforzo che tutti i credenti devono realizzare per essere dei musulmani migliori. Nelle zone liberate hanno imposto, per esempio, l’obbligo del velo per le donne. Si infiltrano nelle rivoluzioni e terminano favorendo il regime dittatoriale e imperialista.

 

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