Partito di Alternativa Comunista

La rivolta di Minneapolis: il capitalismo è irrespirabile

La rivolta di Minneapolis:

il capitalismo è irrespirabile

 

 

 

di Salvo de Lorenzo

 

Il 25 maggio l’ennesimo atto di razzismo omicida ha scosso l’America. Il 46-enne di colore George Floyd, dopo esser stato fermato dalla polizia, alla quale non ha opposto alcuna resistenza, è stato scaraventato a terra. Un poliziotto ha cominciato a comprimergli la gola con il ginocchio e, incurante del lamento di George che gridava «I cant’breathe» (non riesco a respirare) lo ha soffocato.
Le immagini dell’inaudita e brutale violenza, riprese dai passanti mediante cellulare, hanno fatto il giro del mondo e hanno scatenato un’ondata di indignazione sui social di tutto il mondo. Nel video si ascoltano le ultime parole di George che dice «I can’t breathe», un attimo prima di morire.
L’omicidio di George non è il primo episodio di violenza razzista da parte della polizia americana. È a partire dal 2013, a seguito di reiterati episodi di violenza poliziesca contro le minoranze nere in America, che un movimento di attivisti neri ha cominciato a sviluppare una propaganda antirazzista attraverso l’hastag #blacklivesmatter (le vite dei neri contano).
Nel più importante Paese imperialista, neri e minoranze ispaniche continuano a subire l’oppressione razziale e la ghettizzazione. Ciò non avviene solo in America, ovviamente. Sarebbe sufficiente fare un giro a Borgo Mezzanone, in provincia di Foggia, per vedere in quali tuguri sono costretti a vivere migliaia di africani. In Puglia, difatti, il sistema d’impresa «legale» utilizza gli africani come manodopera a basso costo per la raccolta di pomodori, quasi sempre senza una regolare assunzione. Il sistema di reclutamento dei lavoratori africani consente ai proprietari di impresa di fare enormi profitti mantenendo bassissimi i salari dei lavoratori africani, nella maggior parte dei casi ricattabili perché non in possesso del permesso di soggiorno.
L’efferato omicidio di George Floyd, tuttavia, ha innescato una serie di rivolte sociali che hanno messo in crisi diversi distretti municipali americani. Il giorno dopo l’omicidio, a Minneapolis, diverse migliaia di neri sono difatti scese in piazza e hanno dapprima cominciato a protestare al grido di «I can’t breathe» per poi passare all’azione attraverso il lancio di lacrimogeni, l’incendio di auto, i saccheggi e infine incendiando la sede di polizia che è stata completamente distrutta dal fuoco, come si vede in una spettacolare immagine che sta facendo il giro del mondo.
Ma le rivolte non si sono fermate a Minneapolis. Sono dilagate a macchia d’olio da Denver a New York, da Oakland a Sant Paul, dove sono state saccheggiate 170 imprese private. Cortei e sit in si stanno svolgendo anche a Chicago, San Francisco e in tante altre città statunitensi.
Di fronte all’evidenza dei fatti, ipocritamente, Trump ha dapprima ordinato il licenziamento dei poliziotti responsabili dell’omicidio di George, senza ovviamente sbatterli in galera, sperando che questa mossa potesse placare gli animi; successivamente, però, ha inviato 500 uomini della Guardia nazionale, per sedare gli scontri a Minneapolis e ripristinare l’ordine borghese. La situazione è ancora in divenire e solo nei prossimi giorni sarà possibile comprendere a quale prezzo l’apparato repressivo americano riuscirà a sedare le proteste.
La rivolta ha assunto dunque un evidente contenuto di classe. L’omicidio di George è cioè solo il detonatore di un malessere profondo, che ha le sue radici nella fame e nella miseria di larghi strati di proletariato. Fame e miseria accentuate però drammaticamente dalla crisi economica alimentata dalla pandemia. Il proletariato, nero e ispanico, è difatti storicamente soggetto allo sfruttamento e all’oppressione razzista nel più grande Paese imperialista, ma la crisi economica, catalizzata dalla pandemia in corso, ha reso ancora più infime le condizioni di vita di larghi strati di proletariato, includendo anche importanti settori di proletariato nativo. A causa delle insalubri condizioni di vita nei ghetti, il proletariato nero sta pagando il prezzo più alto, a causa della diffusione del coronavirus. Ad esempio, a Chicago, dove il 30% degli abitanti è nero, il 70% delle vittime da coronavirus è nero.
Questi fenomeni insurrezionali, che cominciano letteralmente ad infiammare i principali Stati imperialisti, rappresentano le prime importanti forme di rivolta del proletariato mondiale a condizioni di sfruttamento e oppressione sempre più intollerabili innescate dalla pandemia, aggiungendosi alle ascese rivoluzionarie che avevano infiammato l’America latina (Haiti, Cile, Ecuador, Colombia, Bolivia) e il Medio Oriente (Libano, Irak, Iran) prima della pandemia.
Se si considera che circa 40 milioni di lavoratori americani, nel corso degli ultimi due mesi, hanno accresciuto l’esercito dei disoccupati, si può facilmente dedurre che le insanabili contraddizioni prodotte dal sistema capitalistico, peraltro nel centro principale dell’economia mondiale, genereranno necessariamente nuove e importanti esplosioni e la ripresa della lotta di classe, da cui non saranno certo esclusi i lavoratori nativi bianchi o le altre minoranze.
Sappiamo che non è un problema di neri contro bianchi, ma di oppressi (neri, gialli e bianchi) contro oppressori (bianchi, gialli e neri). Sono peraltro le conclusioni a cui giunse, nell’ultima parte del suo percorso, Malcom X, che affermò: «Stiamo vivendo in un’epoca di rivoluzione, e la rivolta dei neri americani è parte della ribellione contro l’oppressione, che ha caratterizzato quest’era. Non è corretto classificare la rivolta dei negri semplicemente come un conflitto razziale dei neri contro i bianchi, o come un problema meramente americano. Piuttosto, oggi stiamo assistendo ad una ribellione globale dell’oppresso contro l’oppressore, dello sfruttato contro lo sfruttatore.»
Ma, affinché questa ribellione globale degli oppressi e degli sfruttati possa abbattere definitivamente questa società barbarica, è urgente lavorare alla costruzione del partito rivoluzionario su scala globale, l’unico strumento che può garantire agli oppressi e agli sfruttati di tutto il mondo di relegare definitivamente nei libri di storia questi vergognosi episodi di stupidità e di intolleranza razziale.

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