Partito di Alternativa Comunista

MISSIONI MILITARI ALL'ESTERO: IL NOSTRO NO E I LORO SI

di Francesco Fioravanti
 
 
Entro il 30 giugno il nuovo Parlamento dovrà votare sul rifinanziamento delle missioni militari all'estero. Ad oggi, 8500 sono i soldati impegnati in 28 operazioni al di fuori dei confini nazionali: numeri che danno l'idea di come Iraq e Afghanistan rappresentano solamente i teatri principali di un impegno bellico funzionale a difendere e rilanciare -sotto il mantello ipocrita della pace e della stabilizzazione- i vitali interessi di un capitalismo italiano tutt'altro che disinteressato a far valere il proprio ruolo di settima potenza economica del mondo, come sta a dimostrare anche l'attivismo militare della fine degli anni Novanta (con gli interventi in Albania e in Serbia, in un' area, quella balcanica, dove gli investimenti di aziende italiane erano e continuano a essere rilevanti) attraverso il quale l'imperialismo tricolore cercava di ritagliarsi un suo importante spazio in uno scenario geo-politico alterato dalla caduta dell'Urss e dei suoi stati satelliti.
In questo quadro generale va necessariamente analizzata anche l'attuale discussione sulla presenza militare italiana nei posti più "caldi" del pianeta (ci si passi il termine, siamo pienamente consapevoli che la rilevazione della temperatura in un'area del mondo è nella totale discrezionalità delle potenze imperialiste: forse Palestina e Kurdistan turco, tanto per fare degli esempi, sono da considerarsi aree stabili e nelle quali non esistono vessazioni da parte di Stati armati fino ai denti su popolazioni inermi?).
 
Il dibattito che coinvolge la politica italiana in queste settimane sembra svolgersi in un "teatro dell' assurdo" nel quale attori navigati recitano un copione dall'esito scontato e privo di possibili colpi di scena: centrodestra contro centrosinistra, sinistra dell'Unione contro Ds e Margherita, liti e  polemiche per decidere quanti tecnici sia necessario far rimanere per la ricostruzione in Iraq, oppure se in Afghanistan sia il caso di inviare i cacciabombardieri per devastare i villaggi del sud o basti "solamente" rafforzare il contingente militare sotto il comando Nato.
Tutti sembrano essere contro tutti, salvo poi tornare fraternamente a braccetto quando si tratta di andare ad affrontare le scelte di fondo.
 
Tragicomica appare -se non fosse per la gravità dell'argomento di cui si parla- la posizione dei partiti (Prc, Pdci e Verdi) che in questi ultimi anni si erano spesi (con se e con ma) per il ritiro dei soldati dall'Afghanistan e dall'Iraq: i Verdi tacciono; il Pdci chiede che sul decreto di rifinanziamento sia posta la questione di fiducia per giustificare il sì di fronte ai suoi elettori; il Prc scavalca a destra anche quest'ultimo partito e s'impegna a votare a favore "perché il governo non può essere messo in difficoltà", ma solamente a patto che "si produca un documento dell'intera coalizione che spieghi il perché della scelta" (sic!). Tutto questo avviene su un terreno che, secondo le affermazioni di esponenti di queste forze politiche, avrebbe dovuto misurare la reale discontinuità prodottasi con il cambio alla guida del Paese: non era infatti il "no alla guerra" uno degli elementi sul quale doveva costruirsi l' "alternativa" a Berlusconi? Chiediamo noi: in Parlamento fra qualche giorno cosa si andrà a votare se non un nuovo impegno di guerra?
 
Emerge con tutta la sua forza una verità che è facilmente comprensibile dalla stragrande maggioranza di quel "popolo della pace" che si è mobilitato in Italia negli ultimi anni: il governo guidato da Romano Prodi non ha nessuna intenzione di intraprendere politiche di rottura con la politica estera del precedente esecutivo: anche il ritiro dall'Iraq, concordato con gli americani  e rinviato a data da destinarsi (ora si parla di dicembre), mostra come l'Unione sia particolarmente attenta a non gettare a mare il lavoro svolto dal precedente governo allo scopo di favorire gli interessi delle imprese italiane ansiose di farsi spazio in mercati nei quali si possono realizzare ingenti profitti.
La "vicenda Afghanistan" è esemplificativa di questo: Paese situato in una regione di cruciale importanza per i futuri assetti del globo, l'ex-Stato dei talebani è, nei piani degli Stati-Uniti e dei suoi alleati europei, una delle basi dalla quale deve partire il rafforzamento degli imperialismi occidentali per controllare  le materie prime e i flussi commerciali che tuttora sorreggono le loro economie; operazione tanto più importante se allo stesso tempo si riesce ad ostacolare le mire espansionistiche di Cina e Russia, Paesi confinanti e principali concorrenti nella lotta alla conquista dei mercati su scala globale. Ecco perché il capitalismo italiano -la cui crisi è dovuta in massima parte proprio alla debolezza con il quale affronta la concorrenza delle altre economie nel mercato mondiale- non può lasciarsi sfuggire l'occasione di essere presente quando le sirene del profitto chiamano; e se per far sentire la propria voce si è costretti a sparare, non ci si può tirare indietro. E' dunque totalmente illusorio pensare che il centrosinistra confindustriale sia estraneo a queste logiche; al contrario, come i fatti stanno a dimostrare, ne è tra i più fedeli e convinti sostenitori. Da qui anche l'attivismo per rafforzare i legami europei e magari, in prospettiva, riuscire a costituire quel polo imperialistico dotato di un suo esercito che sembrava essere all'ordine del giorno fino a qualche tempo fa.
 
Con l'ingresso nel governo, quelle forze politiche che sono state viste da tanti giovani e lavoratori come forze che si opponevano con coerenza ai disegni e alle macchinazioni dei governi della borghesia hanno finalmente gettato la maschera: il sì al rifinanziamento delle missioni militari costituisce un tradimento aperto delle ragioni che hanno spinto milioni di persone a mobilitarsi e scendere in piazza per opporsi alla guerra. Colpisce anche il silenzio con il quale le (ormai ex) aree critiche presenti in Rifondazione Comunista avvallano -di fatto- la scelta di sostenere l'impegno bellico fatta dalla maggioranza del partito. Dopo aver votato la fiducia al governo Prodi, l'Ernesto" ed Erre-Sinistra critica si preparano a votare anche questa misura voluta dal nuovo esecutivo. L'opposizione interna nel Prc- risucchiata anch'essa da logiche governiste- si sta sciogliendo come neve al sole.

PC Rol crede invece che le potenzialità che i movimenti contro la guerra hanno saputo dimostrare negli ultimi anni non possano andar perdute. E' necessario continuare a battersi, anche contro qualche vecchio e opportunista compagno di strada che ha imboccato altre vie. Il nostro impegno contro le guerre del capitale non verrà mai meno, il nostro "no" verrà gridato anche di fronte a tutti coloro che in questi giorni hanno deciso che ci si può schierare dalla parte dei bombardieri in nome di una poltrona di governo.
 

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