I giornali borghesi hanno indicato i responsabili di questa situazione: le masse popolari del Paese. Certo, conta anche la crisi mondiale, l’evasione fiscale della borghesia indigena e dei ceti più ricchi, ma i primi responsabili sono i lavoratori, coperti di benefici e alti salari, ai quali sono richieste poche ore di lavoro e ai quali sono permesse mille scappatoie per vivere a spese dello Stato. Gli esempi per corroborare questo pensiero si sono sprecati: dall’assegno alle zitelle (figlie di dipendenti pubblici non sposate e senza lavoro), al caso della scuola di un’isoletta di 1.000 abitanti, che a fronte di 10 alunni ha in organico quasi 100 insegnanti, e così via.
Di fronte a questo elenco la prima cosa che ci è venuta in mente è che la Grecia era fino a poco tempo fa il vero Paese di Bengodi, e che una sorta di socialismo, in cui si chiede a ognuno secondo le sue possibilità e si offre secondo le sue necessità, si era creato a nemmeno un’ora di volo dall’Italia... Curiosi, abbiamo tentato di approfondire, e con enorme sorpresa abbiamo visto che le cose andavano diversamente.
Controllando alcune fonti al di sopra di ogni sospetto di partigianeria bolscevica (Ocse) abbiamo scoperto che i lavoratori greci nel 2008 hanno lavorato circa 2.120 ore, quando la media dei paesi Ocse era di 1.766. I salari espressi in dollari a parità di potere d’acquisto erano nel 2007 di 26.929 a fronte di una media di 39.701, l’età media del pensionamento di 59,3 anni (58,7 per l’Europa a 27), il 20% della popolazione sotto la soglia di povertà, l’11% di disoccupati.
Infine la quasi totalità del debito pubblico greco è in mano a investitori esteri: ciò significa che i lavoratori non dispongono di sufficienti risparmi per acquistare titoli di Stato, mentre con ogni probabilità la borghesia del Paese lo può fare tramite società domiciliate fuori dai confini nazionali.
La realtà è con tutta evidenza un’altra: nell’ultimo decennio i proletari ellenici sono stati colpiti come e più degli altri dalle politiche neoliberiste della globalizzazione capitalista, e la crisi mondiale scoppiata nel 2007 ha fatto il resto.
In un precedente articolo pubblicato sul nostro sito abbiamo scritto che era iniziata la terza fase della Grande Recessione e che questa avrebbe avuto come obiettivo le finanze pubbliche dei Paesi. Poco importa che la Grecia negli scorsi mesi non abbia dovuto fare grossi interventi di salvataggio di banche o altre imprese finanziarie, che si tratti di un Paese molto marginale nel mercato capitalistico europeo (il suo Pil vale circa il 3% dell’Unione). Si tratta, in questa fase, di uno degli anelli più deboli di zona, quella europea, che ad oggi pare essere quella più in difficoltà di fronte al protrarsi delle conseguenze della crisi.
La speculazione internazionale ha cominciato a colpire pesantemente il Paese.
I titoli pubblici greci a due anni hanno raggiunto il picco del 17% (l’Argentina pre default era arrivata al 9%). Il rischio di una bancarotta, con rischi per l’intera Europa, ha fatto sì che il piano d’aiuti venisse varato rapidamente.
Ma a che prezzo! La propaganda dice che è un intervento di salvataggio generale, anche se Martin Wolf, editorialista del Finacial Time ammette: “Si dice salviamo la Grecia ma in realtà si salvano le banche”.
I lavoratori pagano il prezzo di questo psuedo-aiuto: blocco dei salari pubblici, della tredicesima, aumento dell’età pensionabile e diminuzione del relativo assegno, aumento dell’Iva, delle tasse sul carburante e sulle sigarette. Queste imposte non progressive sul reddito colpiscono maggiormente i percettori di redditi bassi. Per finire, maggiore flessibilità sul lavoro, privatizzazioni e licenziamenti più facili. Il risultato: salari diminuiti del 20/30%.
Così la Grecia nei fatti diventa una colonia. I funzionari del Fmi rimarranno a controllare i conti per il prossimo decennio, mentre un monitoraggio trimestrale delle riforme draconiane volute dall’imperialismo deciderà se gli aiuti continueranno o il Paese verrà abbandonato alla deriva.
Il premier socialista Papandreu parla di una nuova Odissea, e fa appello all’unità nazionale. Ma è solo ipocrisia. Il governo oggi è il nuovo ciclope che si nutre delle vite di milioni di greci, per i quali il punto di approdo rischia di non essere Itaca ma l’Ade (2).
La riposta popolare non si è fatta attendere. Nonostante il boicottaggio dei dirigenti sindacali (racconta la stampa di una tempestosa riunione del gruppo dirigente di Adedi (3) nei giorni scorsi, in cui la maggioranza, costretta a proclamare uno sciopero generale, è risucita a evitare che fosse indetto a tempo indeterminato), nonostante il keynesismo fuori tempo del Kke (4), la lotta si è fatta subito durissima. Mercoledì 5 maggio la Grecia si è bloccata. Gli scioperanti hanno occupato le strade. Ad Atene 100.000 dimostranti hanno dato l’assalto alla sede del Parlamento mentre questo era in seduta per discutere le proposte del governo.
Dopo l’euforia iniziale per gli aiuti internazionali e il piano del governo, i nodi sono venuti al pettine. La Grecia sarà in recessione economica profonda (- 4 il Pil) anche nel 2010 e 2011, e la bancarotta sembra ormai inevitabile.
Il contagio inoltre si sta allargando ad altri Stati che si affacciano sul mediterraneo e non solo.
Portogallo, Spagna e Irlanda sono i prossimi bersagli della speculazione. Non si tratta più di sapere se ciò avverrà, ma quando. E si parla anche di bersagli ben più grossi: Italia e Gran Bretagna
Ciò che accade ci insegna molte cose.
Primo: la cosiddetta ripresa è solo un bluff. Lo dimostra il ruolo che sta avendo la speculazione finanziaria. I capitali infatti scelgono di abbandonare gli investimenti produttivi perché questi non sono sufficientemente redditizi per loro, sia per i guadagni che permettono, sia per i tempi in cui si realizzano. Se ricordiamo inoltre che sono state le misure straordinarie in campo fiscale e monetario a rallentare la caduta mondiale dell’economia, e che per forza di cosa non potranno durare a lungo, la luce in fondo al tunnel è solo un miraggio della propaganda padronale.
Secondo: chi oggi afferma che non ci sono pericoli di contagio del “virus greco” mente spudoratamente. Nel 2011 il debito pubblico di Spagna e Gran Bretagna sarà raddoppiato rispetto alla situazione pre-crisi, nessuno dei Paesi della zona Euro sarà rientrato nei parametri di Maastrich, e nel 2011/12, per 3 anni almeno, gli Usa dovranno chiedere agli investitori 1.800 miliardi di dollari all’anno per rifinanziare il loro debito
Terzo: il sogno di un’Europa unita pacificamente sotto il segno del capitale è definitivamente tramontato. Se mai ci riuscirà, il capitale imporrà un’unione che nascerà dalle macerie, in cui alcuni Paesi saranno letteralmente distrutti, mentre altri saccheggeranno tutto il possibile. Ciò potrà avvenire come sempre in due modi: con le sole armi dell’economia o con l’economia delle armi. O con un misto delle due.
L’eroica risposta del proletariato ellenico rende i comunisti più ottimisti. Se i governi di tutti i Paesi già si preparano ad importare nei loro territori la “cura greca”, altrettanto devono fare i lavoratori, esportando la radicalità e combattività dei greci.
Agli ipocriti appelli all’unione nazionale bisogna rispondere con la lotta più inflessibile contro i crimini del capitalismo. Non la forza o la volontà di combattere mancano agli oppressi di ogni nazione. Oggi, come nel 1848, “i proletari non hanno nulla da perdere se non le loro catene” (5).
Ma non basta l’eroismo e l’abnegazione. Serve un partito che renda chiara questa prospettiva. La Lit e il Pdac sono impegnati in questa sfida.
2) Ade: figura mitologica greca, dio degli inferi, genericamente sta anche per mondo degli inferi.
3) Sindacato del Pubblico Impiego.
4) Partito Comunista Greco.
5) Marx-Engels, Manifesto del Partito Comunista.