Il fatto importante in questo caso è stata la visita di Abou Maen che dopo aver svolto incontri ed attività in Svizzera, Spagna, Portogallo e Brasile è arrivato in Argentina. Membro eletto democraticamente del Consiglio Popolare della città di Minbej e comandante della Brigata di Sicurezza della stessa città nella zona liberata. La sua presenza e testimonianza, che ha attraversato fabbriche, università, giornali e conferenze, è una riflessione d'impatto di una rivoluzione che continua a vivere e si scontra con l'isolamento internazionale.
Dalla Lit stiamo nel campo politico e militare della rivoluzione. Vicino alle brigate dell'Els che affrontano l'assedio della dittatura di Assad, appoggiata da Russia, Iraq, Iran, Hezbollah ed innumerevoli gruppi. Contro gli estremisti islamici come Al Qaeda, Al Nusra e la Fratellanza Musulmana che lungi dal combattere il regime, cercano di soffocare la rivoluzione. E risolutamente contro ogni intervento imperialista in Siria, nelle parole di Abou Maen: “Abbiamo dichiarato pubblicamente di affrontare in uguale maniera i soldati nordamericani, del regime o di Al Qaeda, sono tutti nemici della rivoluzione".
Alcuni, i guevaristi o i chavisti, confondono la dittatura di Assad, da più di 40 anni al potere, con un governo socialista, antimperialista e progressivo. Dimenticano che il petrolio siriano lo estrae Shell, che le ditte costruttrici sono francesi e che non è esistito diritto ad organizzarsi in sindacati, associazioni di studenti o partiti in tutte queste decadi nelle quali ha governato la milionaria famiglia Assad.
Altri, con posizioni realmente vergognose, come il Pts [partito argentino, ndt], tentano dai libri di esigere dalla rivoluzione che compia una "ricetta da manuale", atteggiamento tante volte respinto dai maestri della rivoluzione russa, Lenin e Trotsky. Esigono espropriazioni sotto controllo operaio, ed Abou Maen risponde con semplicità e profondità: "Nelle zone liberate non possiamo fare funzionare le fabbriche, ogni volta che esce fumo da un camino il regime bombarda. Abbiamo ricostruito una raffineria due volte, entrambe le volte distrutta. Quello che molti non capiscono è che in Siria non ci sono mai stati sindacati né organizzazioni operaie, oggi in città come Minbej, i granai, le installazioni elettriche e le dighe di sbarramento sono sotto controllo popolare, dei lavoratori".
"Con l'inizio della rivoluzione la maggioranza della popolazione rimase senza lavoro, ritornando a gestire fattorie familiari o a vendere qualcosa per sopravvivere"; "Il Consiglio Popolare lo compongono gli abitanti delle città, operai metallurgici, docenti, venditori. Quando il regime attacca tutti prendiamo le armi, non c'è distinzione tra noi". Così Abou Maen rappresenta la complessa situazione dei lavoratori ed il popolo siriano, che lontano dagli schematismi, ha dato luce, al caldo della rivoluzione alle sue prime federazioni studentesche e unioni di lavoratori.
Ora tra chi si definisce rivoluzionario c'è una polemica maggiore, bisogna esigere o no le armi dall'imperialismo per affrontare la dittatura? "La peggiore paura nelle città sono gli aeroplani Mig-29, i Sukhoi russi ed i missili Scud, volano a più di 12km di altezza e non c'è modo di abbatterli coi fucili (…) esigiamo armi dal Nord America e da qualunque Paese possa darceli, ma non permetteremo che con esse vengono truppe, vogliamo le armi per lottare per il nostro futuro, come popolo siriano (... ) se non vogliono che esigiamo armi dal Nord America ci dicano da dove tirarle fuori, perfino il mercato nero è controllato dall'imperialismo (... ) affrontiamo con fucili e razzi una dittatura armata fino ai denti con carri armati, aeroplani e missili balistici".
Abou Maen ha raccontato nella conferenza e in chiacchierate precedenti come i supposti gruppi "antimperialisti estremisti" in realtà funzionano come quinta colonna dell'esercito del regime. "Al Qaeda, Al Nusra e la Fratellanza Musulmana si dedicano a parassitare le zone liberate, non stanno nel fronte di combattimento contro il regime, si stabiliscono in città come Minbej e cercano di distruggere quello che costruiamo (...) Tentarono innumerevoli volte di attaccare il Consiglio Popolare di Minbej, non possono farlo direttamente perché ci appoggia il popolo, ogni volta che ci provarono rispondemmo con manifestazioni con migliaia di persone in città", "è semplice, a Minbej sventola una bandiera di Al Qaeda di 12 per 6 metri, non fu mai bombardata.
La nostra base, invece, senza bandiera e nascosta, fu bombardata decine di volte", "io stesso ed i miei compagni abbiamo subito ordine di cattura e minaccia di morte da Al Qaeda", "noi prospettiamo una Siria democratica, laica e con libertà di culto, di espressione e di stampa, per quel motivo ci vogliono eliminare". Inoltre spiega come le differenze tra le sette sono sfruttate dal regime chi dà il controllo dell'esercito agli Alauiti ma non permette loro di accumulare ricchezze né di uscire dal Paese. Dicono loro "che vogliamo ammazzarli e per quel motivo devono combatterci, ma questa non è una guerra religiosa, è una rivoluzione contro una dittatura". “Nella mia brigata ci sono due cattolici, un alauita ed un sheik, e poi ci siamo noi atei".