Partito di Alternativa Comunista

Rivoluzione in Burkina Faso

Rivoluzione in Burkina Faso
La caduta di Campaoré
prima grande vittoria delle masse
 

 
di José Moreno Pau (*)
 
 
burkina faso
 
Di fronte all’annuncio del presidente Blaise Campaoré della modifica costituzionale per potersi presentare alle elezioni del prossimo anno, le masse burkinabé sono scese in strada indignate.
Decine di migliaia di persone hanno manifestato lo scorso martedì 28 ottobre, hanno innalzato barricate e assaltato il parlamento. La rivoluzione ha preso la capitale Uagandugù, così come le principali città del Paese. Dopo un tentativo di mantenere il potere reprimendo i manifestanti e decretando lo stato d’assedio, Blaise Campaoré ha dovuto dimettersi.
 
Il governo di Campaoré al servizio della Francia e dell’imperialismo e per la povertà del Paese
Blaise Campaoré era da 27 anni al potere dopo aver fatto un colpo di Stato contro quello che era stato un suo amico, Thomas Sankara, conosciuto come il Che Guevara africano, che fu assassinato.
Negli ultimi anni gli indicatori economici mostrano una crescita addirittura del 9% annuo (6,5% nel 2013). Questa crescita è dovuta allo sviluppo dell’estrazione dell’oro, che oggi incide per il 20% del Pil, e della coltivazione del cotone. Tuttavia questa crescita non ha raggiunto la popolazione: il Burkina Faso ha 17,5 milioni di abitanti e oggi è uno dei Paesi più poveri del mondo (il 181° su 187). 3 milioni di burkinabé sono emigrati nella vicina Costa d’avorio. L’alfabetizzazione non attiva al 30%. Questa situazione ha una relazione diretta con la politica del deposto presidente Blaise Campaoré.
Blaise Campaoré prese il potere nel 1987 con l’appoggio della Francia e ribaltò tutte le misure dei governi di Sankara. Fece marcia indietro sulla nazionalizzazione delle terre che tornarono nelle mani dei latifondisti. Si trasformò in un fedele discepolo delle politiche del Fmi e dei prestiti della Banca mondiale. Aprì di nuovo il Paese alle truppe francesi che da allora hanno nel Burkina Faso una base privilegiata per controllare la regione. Stazionano lì anche gli Stati Uniti che hanno stanziato le loro truppe in Burkina Faso dopo la creazione dell’Africom (Comando africano statunitense). La presenza militare francese e statunitense con i loro soci europei in questo Paese come in quelli vicini (Senegal) è servita per l’invasione del Mali e per ottenere il controllo sulle risorse naturali di questi Paesi.
Blaise Campaoré ha svenduto le attività minerarie a imprese canadesi, australiane, sudafricane, statunitensi e russe. L’estrazione dell’oro ha collocato il Burkina Faso al quinto posto come esportatore africano di questo materiale prezioso. Le 32 tonnellate di oro annuali che esporta fruttano al Paese solo 287 milioni di euro in tasse e solo 5.000 posti di lavoro. Le attività minerarie sono effettuate con distruzioni ambientali che hanno provocato tremende contaminazioni e massacri di persone e animali.
L’altro grande affare delle multinazionali in Burkina Faso è quello del cotone. La multinazionale Monsanto ha firmato un accordo con il governo per introdurre la coltivazione del cotone transgenico. Tre imprese controllano tutto il territorio agricolo e impongono agli agricoltori l’acquisto di questo cotone.
 
Il vuoto di potere e il ruolo dell’esercito
Il Capo di stato maggiore delle forze armate, il generale Honoré Traoré, ha annunciato che avrebbe assunto il potere, sciolto il parlamento, e che avrebbe iniziato una transizione democratica per il prossimo anno. Ma le masse hanno continuato la mobilitazione perché vedevano nel generale Traoré una continuazione del regime.
Alcune ore dopo il tenente colonnello Zida si è proclamato anche lui presidente. Lo faceva tentando di differenziarsi dal presidente precedente (Zida era il numero due della sua guardia personale) e proclamando di essere dalla parte del popolo e dei martiri che si erano rivoltati contro il suo capo. Sembra che l’esercito sostenga quest’ultimo; tuttavia l’opposizione civile ha fatto appello a manifestare contro il potere dell’esercito e nuovamente decine di manifestanti sono scesi nelle strade chiedendo che se ne andasse anche Zida.
 
La Primavera nera ha ottenuto una grande vittoria
La notizia che Campaoré non era più al potere ha riempito di gioia le decine di migliaia di manifestanti. Però non è stato sufficiente perché tornassero alle loro case. Il generale Traoré tentava di mantenere il potere nelle mani dell’esercito. Sebbene in uno degli ultimi messaggi dell’ex-presidente Campaoré questi aveva promesso elezioni entro tre mesi, il generale Traoré non le ha ipotizzate e ha parlato invece di una transizione democratica entro un anno. Questo per vedere se sarebbe riuscito a mantenere il potere o se sarebbe stato spazzato via anche lui dalla mobilitazione popolare.
Le mobilitazioni sono sorte dalla pretesa di Campaoré di restare al potere. Questa rivendicazione democratica è nata dalla miseria in cui si trova il Paese a causa della sottomissione in cui lo tiene l’imperialismo. Lo Stato burkinabé, del quale è garante l’esercito, è al servizio degli interessi delle potenze imperialiste e delle loro multinazionali. Tuttavia alcuni portavoce dell’opposizione, anche se continuano a fare appelli per la mobilitazione, sostengono che l’esercito debba essere parte della transizione politica. Ci sono divisioni nell’esercito su chi debba dirigere il Paese, Traoré o Kouame Lugué, un ex generale in pensione che è appoggiato da settori dell’opposizione.
La rivoluzione che è iniziata nel Nordafrica, con Tunisia, Egitto e Libia, ha raggiunto il cuore del continente. È importante che le masse africane osservino casi come quello dell’Egitto, dove il regime è riuscito a sopravvivere grazie all’esercito, che si è mantenuto al potere e l’Egitto è rimasto così alleato degli Usa.
 
L’Africa si sta incendiando
Due anni fa, a causa di mobilitazioni, cadde anche il presidente del Senegal. Però il nuovo governo di Macky Sall ha continuato ad essere al servizio dell’imperialismo e dei suoi trattati internazionali. Di fatto è tornato a prostrare il Senegal ai vecchi colonizzatori francesi.
In Sudafrica la classe operaia sta mostrando la sua forza con scioperi giganteschi e ponendo la necessità di costruire un sindacato ed un partito rivoluzionario indipendenti dalla borghesia come strumenti per raggiungere i suoi obiettivi.
La rivoluzione burkinabé affronta un regime prodotto di un colpo di Stato e attacca le istituzioni lo sostenevano, come il parlamento, e dimostra che non vuole il capo delle forze armate al potere.
 
Rompere con l’imperialismo, per l’Unità dell’Africa!
Farla finita con i presidenti e le loro camarille che sono stati al governo dei loro Paesi per decadi, protetti e incoraggiati dalle potenze coloniali, è il primo passo per poter ottenere una vera indipendenza.
E le masse del Burkina Faso, così come quelle del resto dell’Africa, non partono da zero. Pochi decenni fa avevano lottato per l’indipendenza e in questi anni hanno vissuto importanti processi rivoluzionari. Recuperare l’eredità, con i suoi successi e i suoi errori, di grandi dirigenti africani come Lumumba, Amilcar Cabral o Thomas Sankara sarà fondamentale per costruire i partiti rivoluzionari che servono alle masse per spezzare le loro catene.
Per uscire dalla povertà i Paesi africani devono rompere con l’imperialismo e con i suoi trattati. Bisogna espellere le truppe imperialiste e fare un fronte comune per non pagare il debito estero che è il meccanismo con il quale vengono imposte le politiche neoliberiste ai loro governi. I Paesi africani devono recuperare le loro ricchezze e porle al servizio delle loro masse popolari e non lasciarle in mano ad un pugno di multinazionali che le sfruttano.
I soldati burkinabé dovranno affrontare un dilemma: o seguire gli ordini dei generali che vogliono tenere in ginocchio il Burkina Faso, sebbene con una nuova faccia alla presidenza, o rifiutarsi di reprimere le masse e i lavoratori, che sono coloro che devono avere il potere. È il popolo che deve decidere come si governa e al servizio di chi.
Le masse burkinabé continuano a lottare e stanno mostrando la loro determinazione a non accettare nuove dittature militari.
 
(*) dal sito della Lit-Quarta Internazionale www.litci.org
Traduzione dallo spagnolo di Matteo Bavassano

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