Se analizziamo nel dettaglio quanto deciso, vediamo che la “manovra del popolo” è in realtà una manovra “contro il popolo”.
Non c’è traccia della abolizione della legge Fornero sulle pensioni: al momento è stata prevista una piccola riduzione dell’età per accedere alla pensione (la cosiddetta quota 100, 38 anni di contributi e 62 di età anagrafica). Il problema è che mantenendo il calcolo dell’assegno pensionistico col sistema contributivo, prima si va in pensione e più l’importo sarà ridotto. Dopo aver passato una intera vita come “lavoratore povero”, ci aspetta un futuro da pensionato ancora più povero. Inoltre nelle ultime ore voci sempre più concordanti (tra le quali l’agenzia di rating Moody’s che ha emesso un giudizio sulla manovra meno duro del previsto) sostengono che la mini-riforma della Fornero varrà solo per uno, massimo due anni. Il famigerato reddito di cittadinanza molto probabilmente si risolverà in qualcosa in più delle elemosine ai poveri già elargite da Gentiloni e, soprattutto, sarà riservato prioritariamente agli italiani purosangue...
A fronte di queste insignificanti mance, come stanno realmente le cose per i lavoratori e per le masse popolari?
Prima di tutto vengono confermati, seppur con qualche rimodulazione, gli incentivi alle imprese capitalistiche (industria 4.0). Viene fortemente ridotta l’Ires (altra imposta a carico delle imprese). L’introduzione di una tassazione agevolata per le partite Iva spingerà molti padroni a licenziare i lavoratori e a riassumerli come finti lavoratori autonomi. L’ennesimo condono fiscale è l’ennesimo regalo ai grandi evasori. La sua estensione a chi ha evaso i contributi a favore dell’Inps è un vero e proprio crimine contro operai e impiegati. È il meccanismo che abbiamo già visto in passato: i capitalisti non versano i contributi, che potranno sanare in comode rate senza interessi; lo Stato dovrà coprire le mancate entrate raccogliendo risorse tramite emissioni di debito. Fra qualche anno un nuovo premier o un nuovo ministro del lavoro ci diranno che i conti dell’Inps sono in disordine, che il debito pubblico è troppo alto, quindi bisogna modificare, in peggio, il sistema pensionistico. Questo mentre i padroni si saranno finanziati a tasso zero (evadendo i contributi anziché chiedere prestiti alle banche). Un vero delitto perfetto.
Il fondo per rimborsare i piccoli risparmiatori truffati dai banchieri non verrà rifinanziato. E per finire, non sono stanziate risorse per il rinnovo contrattuale di 3 milioni di dipendenti pubblici (in scadenza a dicembre 2018). Chi pensava che bastasse una sentenza della Corte Costituzionale per mettere fine una volta per tutte a dieci anni di spending review ha fatto i conti senza l’oste.
Se le cose stanno così, come si spiega il fuoco di fila di critiche contro l’azione del governo da parte dell’opposizione del Pd e dei grandi mezzi di informazione che fino all’altro ieri hanno sostenuto manovre ben più draconiane di questa?
Il fatto è che i partiti sconfitti il 4 marzo tentano di far dimenticare le loro azioni, sperando in una sorta di rivincita alle elezioni europee della primavera del 2019. I maggiori quotidiani del Paese, dal canto loro, hanno sempre sostenuto i rappresentanti tradizionali della grande borghesia (sia di centrodestra che di centrosinistra) in quanto più affidabili nel gestire gli affari della borghesia imperialista tricolore. Al momento la loro opposizione non trova grande sostegno attivo tra i loro azionisti di riferimento. Banchieri e padroni si guardano bene dallo schierarsi realmente contro l’esecutivo. Fanno qualche critica e certo avrebbero preferito una manovra economica più “tradizionale” ma allo stesso tempo vedono i loro interessi ben difesi da Di Maio, Salvini e Conte.
La manovra si inserisce in un percorso che era già chiaro dai primi atti del governo. I 5Stelle avevano promesso il ripristino dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, e abbiamo avuto il Decreto Dignità che conferma il lavoro precario. Avevano promesso una riconversione per l’Ilva che avrebbe messo fine all’inquinamento senza che un posto di lavoro andasse perso, e abbiamo avuto un accordo che lascia senza garanzie (a parte qualche anno di cassa integrazione) oltre 3000 lavoratori (25% del totale, senza parlare dell’indotto). Avevano proclamato legalità e onestà e abbiamo ottenuto un condono per corrotti, mafiosi e evasori. Avevano detto “no” alle grandi opere e abbiamo Tav, Tap, Terzo Valico ecc. che vengono confermati. Avevano promesso un referendum sulla permanenza nell’euro, ora promettono che mai si romperà con l’Europa del capitale. Più che onesti a 5 Stelle, si dovrebbe parlare di imbroglioni a 5 Stelle.
Davanti a una manovra economica di questo tipo ci si aspetterebbe una risposta sindacale senza dubbio diversa da quella che si prospetta leggendo l’intervista rilasciata a Repubblica da Susanna Camusso. La segretaria uscente della Cgil fa delle critiche condivisibili, seppur molto blande, alla politica economica del governo, ma nelle conclusioni si guarda bene dall’annunciare qualsiasi tipo di mobilitazione per opporsi a queste scelte.
Questo atteggiamento risulta ancor più grave che in passato perché, nelle ultime settimane in particolare, si vedono segnali che possono dare il via a un cambio di tendenza nella situazione sociale del Paese: le grandi e diffuse mobilitazioni che si sono svolte in tutta Italia contro la politica razzista portata avanti in particolare dalla Lega, i cortei di studenti delle scuole superiori che in diverse città hanno protestato contro lo stato pietoso della scuola pubblica, sono lì a dimostrarcelo.
Questi piccoli focolai di opposizione avrebbero bisogno di qualcuno che si facesse carico di provare a estenderli a tutti quei settori che subiscono da oltre un decennio il peso di una crisi economica che appare senza via di uscita. Per quello che dipende dalla direzione Cgil si farà di tutto perché il prossimo autunno sia senza lotte e senza sciopero di un certo peso, così come è stato negli anni precedenti. E lo sciopero di ieri di alcuni sindacati di base, pur costituendo un segnale importante, non è purtroppo sufficiente a invertire la tendenza.
L'atteggiamento della burocrazia Cgil non sorprende: è ormai da tempo immemore totalmente coinvolta e subordinata nella gestione dell’ordine capitalista. La sua presenza negli enti bilaterali, nei consigli di amministrazione dei fondi pensioni, i milioni di euro che riceve dallo Stato per lo svolgimento di attività varie attraverso i Caf, patronati, ecc., sono la base materiale che spinge la Cgil a essere uno dei garanti del mantenimento dello status quo, e il suo enorme apparato ne è la personificazione.
È necessario quindi che tutti i lavoratori e le lavoratrici, nativi e immigrati, insieme agli studenti, non si rassegnino a essere spettatori passivi delle vicende politiche in corso, si organizzino per costruire nelle lotte quella alternativa sociale di classe che ora più che mai è indispensabile.
Alternativa Comunista è e sarà in prima fila nelle lotte e nei processi di riorganizzazione sindacale e di classe. Eravamo in sciopero e in piazza contro il governo il 26 ottobre, stiamo partecipando a tutte le manifestazioni antifasciste e antirazziste, così come sosterremo con convinzione la prossima conferenza nazionale del Fronte di Lotta No Austerity (Modena, 10-11 novembre) che al momento si pone come l’unico tentativo di unificare le mobilitazioni al di là delle differenti appartenenze sindacali, con lo scopo di organizzare, sviluppare ed estendere l’opposizione dei lavoratori agli attacchi che governi e padroni sferrano nei loro confronti.
Mentre terminiamo l’articolo è giunta notizia che la Commissione europea ha bocciato la manovra. E’ un classico gioco delle parti, probabilmente legato alle prossime elezioni europee. Si aprirà ora una trattativa tra Roma e Bruxelles per vedere se sono possibili margini per un accordo.