Partito di Alternativa Comunista

Il nuovo governo unitario della borghesia e i cento cantieri a sinistra

Il nuovo governo unitario
della borghesia
e i cento cantieri a sinistra
I riformisti in cerca di scialuppe di salvataggio
 
 

 
di Francesco Ricci
letta alfano
 
Volendo schematizzare il quadro politico, con i rischi di ogni schematizzazione ma anche col vantaggio di rimettere ordine in uno scenario apparentemente complicato, potremmo fare queste cinque osservazioni.
 
Primo. Il nuovo governo ha una missione di guerra
Al di là della composizione ministeriale, in discussione in queste ore, non vi sono dubbi su quale sarà il programma di classe del nuovo governo sostenuto da Pd, Pdl e centro montiano. Letta, richiamato in carica dall'ottuagenario Napolitano II, ha il compito di ridare alla borghesia un governo stabile in una situazione instabile, un governo cioè capace di proseguire quella guerra sociale che i governi di tutta Europa hanno scatenato contro i lavoratori per far loro pagare i costi della crisi capitalistica e recuperare il tasso di profitto in caduta libera.
Nel frattempo i soldi per la cassa integrazione, che finora ha costituito uno strumento formidabile per i padroni per frenare il conflitto in Italia, stanno finendo (ma su questo torneremo in termini più approfonditi in un prossimo articolo sul nostro sito).
E' per questo che in parallelo con la costituzione del governo, si cerca di garantire la pace sociale e la Cgil della Camusso (con l'avallo di Landini e del gruppo dirigente Fiom) si è detta disponibile (Direttivo del 23 aprile) a un accordo sulla rappresentanza col padronato e i suoi sindacati (Cisl e Uil) che di fatto prevede l'impossibilità di scioperare contro gli accordi stipulati a maggioranza (pena la perdita del diritto di concorrere alle elezioni per le Rsu).
 
Secondo. La crisi del sistema borghese è figlia della crisi economica
I mass media, che hanno il compito di mascherare la divisione in classi della società e il conflitto tra le classi e al loro interno, ci presentano gli scontri politici come il frutto di progetti personali, dell'ambizione, del temperamento o degli sbagli di questo o quel dirigente borghese. In realtà la crisi dei partiti borghesi che avevano fin qui retto la cosiddetta "seconda Repubblica" è figlia della crisi internazionale del capitalismo e della estrema difficoltà che, in ogni Paese, la borghesia ha di mantenere governi stabili. I partiti borghesi - che altro non sono se non gruppi di gestione di questo sistema - fanno da specchio della situazione e la crisi del Pd ne è un riflesso.
La crisi di governabilità della borghesia, spesso presentata come un male anche dalla sinistra riformista (per la quale effettivamente lo è, come ora vedremo) è in realtà un fatto positivo per i lavoratori e per sviluppare le lotte.
 
Terzo. La sinistra riformista in cerca di vie di fuga (mentre i centristi arrancano)
Il proliferare di appelli, progetti e "cantieri" nella sinistra riformista è a sua volta una delle conseguenze della crisi di governabilità della borghesia che riduce gli spazi della sinistra che con la borghesia da sempre si candida a governare. Innumerevoli sono i "cantieri" dove si preparano nuovi partiti o progetti.
Un primo raggruppamento di forze è quello che potrebbe veder confluire settori della cosiddetta "sinistra" del Pd (Barca e Cofferati), Sel di Vendola, settori del gruppo dirigente della Fiom (Landini). Il progetto è quello di un partito "laburista" che si differenzierebbe dall'attuale governo Pd-Pdl (pur senza fare ad esso una reale opposizione) per poi candidarsi a un secondo giro di danze per raccogliere elettoralmente ampi settori di lavoratori colpiti da questo governo e quindi stringere un'alleanza di governo con la parte maggioritaria del Pd (di cui Renzi si candida ad assumere la direzione).
Un secondo raggruppamento è quello che si prepara ad occupare lo spazio lasciato libero a sinistra dal citato progetto laburista. Si tratterebbe di un riformismo di qualche gradazione più di sinistra, una specie di Rifondazione delle origini e dunque, come tale, schierato formalmente all'opposizione dei governi padronali ma certo non in nome del principio dell'indipendenza di classe e dunque disponibile a fare da reggicoda, in varie forme, dei laburisti di Vendola-Landini e dei "democratici" di Renzi. Il tutto con una fraseologia densa di aggettivi "anticapitalisti", "antagonisti", coniugati con un programma neokeynesiano. Della partita sarebbero, oltre a Cremaschi, una parte di Rifondazione Comunista (tra i firmatari dell'appello risultano vari ex colonnelli ferreriani, come Russo Spena), la Rete dei Comunisti (gruppo neostalinista che dirige nell'ombra -e spesso all'insaputa degli stessi attivisti sindacali - il sindacato Usb), la metà guidata da Turigliatto di Sinistra Critica (che si è ormai divisa in due parti che si attaccano reciprocamente sul sito dell'organizzazione). Come si vede sarebbe la foto di gruppo del Comitato No Debito (che sopravvive a sé stesso solo per coordinare le forze in vista di questo progetto) che, come avevamo analizzato in tempi non sospetti, fu creato non per coordinare le lotte (e infatti si è limitato solo a qualche assemblea-passerella e a qualche sfilata in corteo) ma solo come leva di un progetto politico neo-riformista che forse si sarebbe palesato già alle scorse elezioni se non fosse arrivato, imprevisto, il giudice Ingroia dal Guatemala a sparigliare le carte con Rivoluzione Civile, durata lo spazio di un mattino.
Dalla foto di gruppo del No Debito manca solo il Pcl di Ferrando che vede nel progetto di Cremaschi un concorrente che potrebbe contribuire ulteriormente alla crisi ormai evidente di quel piccolo partito centrista che ogni giorno perde un pezzo. Per questo i comunicati del leader-guru del Pcl scoprono oggi, con un certo ritardo si potrebbe dire, che Cremaschi e gli altri hanno un programma riformista, quando ancora in campagna elettorale il Pcl rivendicava una sostanziale convergenza tra il proprio programma e quello del No Debito.
Tornando a Cremaschi e compagnia, più crescerà lo spazio occupato dal partito laburista (sempre che nasca), minore sarà lo spazio per questo ulteriore partito. Mentre in ogni caso, laddove questi due nuovi partiti effettivamente nascessero, Rifondazione Comunista subirebbe nuove scissioni: una parte del gruppo dirigente con i laburisti (Grassi, ad esempio) e una parte con i cremaschiani. Difficile pensare che dopo questo ulteriore smembramento rimarrebbe qualcuno disposto a tenere in piedi il Prc con Ferrero.
 
Quarto. Tanti progetti, una sola prospettiva
Come si vede, è un caos di progetti. Ma la realtà
è che tutti, al di là delle differenze tattiche e degli scontri certamente reali tra i vari gruppi dirigenti concorrenti, tutti sono accomunati dal fatto che espungono dal proprio orizzonte una prospettiva rivoluzionaria. C'è chi si candida a futuri posti di governo in prima fila, chi si accontenta di un posto in loggione; chi rivendica una "sinistra di governo" (nel capitalismo) e chi si professa "anticapitalista".
Le biografie di questi dirigenti (maestri della sconfitta) si intrecciano nel tempo. Periodicamente si riunificano per poi separarsi e ritrovarsi magari dopo qualche anno, sempre nei dintorni dei palazzi del potere borghese. Tutti quanti in definitiva convinti, nel loro intimo, che non vi siano alternative rivoluzionarie al capitalismo e dunque che si tratti solo, per ciascuno di loro, di trovarsi una piccola nicchia, un posto possibilmente ben retribuito, da cui discettare sui mali di un mondo.
 
Quinto. C'è bisogno di un'altra prospettiva
Mentre la borghesia e i suoi governi sferrano colpi durissimi ai lavoratori, mentre le burocrazie sindacali, complici dei padroni, tengono ferme le braccia dei lavoratori, frammentando le lotte e cercando di soffocare ogni risposta di classe, i vari Vendola, Landini, Cofferati, Russo Spena, Turigliatto, Ferrero, e compagnia inventano in continuazione sigle, contenitori politici, unificazioni e scomposizioni, progetti epocali che spesso durano solo qualche settimana. In definitiva non fanno altro che incontrarsi, scontrarsi, reincontrarsi con qualche capello bianco in più. Rigorosamente nel chiuso dei loro seminari (ma non escludendo qualche periodica passeggiata a Roma), sempre lontani dalle lotte che, pure ancora frammentate, ci sono anche nel nostro Paese, seppure non ancora ai livelli della Grecia, della Spagna o del Portogallo. Chi ha visto Landini o Cremaschi, Ferrero o Ferrando (e le rispettive organizzazioni o gruppi) nelle più recenti lotte di questo periodo? Specie in quelle dove non ci sono le telecamere? Chi li ha visti a Piacenza, per dire, il 6 aprile scorso quando manifestavamo uniti contro i tentativi repressivi con cui i padroni e i loro apparati cercano di colpire una delle lotte più radicali di questi anni, la lotta dei lavoratori delle cooperative della logistica? Una lotta che, lo vogliamo ripetere ancora una volta, dovrebbe essere presa ad esempio in tutta Italia per l'intreccio di radicalità e unità operaia che ha saputo costruire.
Viceversa il Pdac, che pure da tutti questi geniali dirigenti è definita forza settaria (perché non partecipa a queste alchimie e non corteggia gli astuti strateghi che le propongono), si muove in una direzione diametralmente opposta. Noi pensiamo (e quando pensiamo anche applichiamo nelle lotte, davanti ai cancelli, nelle piazze) sia necessario unire le lotte, coordinarle, svilupparle su scala nazionale e internazionale. E che per farlo si debbano battere, sconfiggere politicamente, tutti i progetti riformisti e centristi, favorendo l'unica ricomposizione che davvero serve: quella delle migliori avanguardie di lotta, lavoratori e studenti, in quel partito rivoluzionario (che ancora non c'è), basato su un programma rivoluzionario e internazionalista, in grado di unire le lotte proletarie dall'Egitto alla Siria, dalla Grecia alla Spagna, all'Italia, con l'obiettivo che al potere non ci vadano più i padroni ma finalmente i lavoratori. Secondo uno slogan vecchio ma molto meno invecchiato dei tanti leader riformisti e centristi che abbiamo citato in questo articolo: governi borghesi non ne vogliamo più, facciamo un governo delle tute blu!
Mentre i fini strateghi si chiudono nei loro convegni per formare nuovi partiti altrettanto inutili (se non dannosi) come quelli da cui provengono, noi ci impegneremo piuttosto per costruire quell'opposizione di classe al governo Letta che certo non può essere lasciata alla demagogia qualunquistica di Beppe Grillo.
 
 
 

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