Il paese che esce dalle urne del 9 e 10 aprile è profondamente segnato da una volontà di rendere passive le classi lavoratrici. La mancata grande vittoria del centrosinistra contro Berlusconi si deve leggere anche in questo senso. Nel nostro paese il dibattito imposto dai padroni inizia e finisce col bipolarismo, la difesa dell'imperialismo italiano, la salvaguardia delle istituzioni, dell'ordine e della sicurezza - contro immigrati e "estremisti". Nel frattempo le masse lavoratrici sono messe all'angolo e allontanate dalla partecipazione alla vita politica: il loro voto risponde perfettamente a questa loro passività, e si distribuisce in modo equo tra un centrodestra reazionario e un centrosinistra liberale.
volantino in distribuzione il 25 aprile 2006
Quanto successo dopo la manifestazione antifascista dell'11 marzo scorso a Milano ne è un aspetto drammatico. L'isolamento e la condanna verso gli arrestati (perlopiù vittime di un vero e proprio rastrellamento in piazza) è un tentativo da parte di tutte le forze politiche (anche di sinistra, anche Rifondazione) di rimuovere ogni alternativa e ogni opposizione sociale, di delegittimarla con qualsiasi mezzo. Tutto questo mentre le bande neofasciste godono della più ampia immunità istituzionale.
La conclusione che è la società e le classi lavoratrici sono in gran parte ostaggio di alcuni tra i più significativi baluardi dell'ideologia clericofascista: le parole d'ordine dello stato, dell'identità nazionale, del conformismo, fondate sul controllo della libertà individuale, sull'obbedienza al leader, sulla negazione della diversità. Il principale risultato è il tentativo di un progressivo isolamento dei settori più avanzati e combattivi dei lavoratori rispetto alla grande massa delle classi sfruttate, irretite sempre più spesso dal messaggio di pace sociale.
La stessa revisione del concetto di antifascismo (ridotto a poco più che un innocente "bellaciao") fa la parte più inquietante di questo disegno. Non esiste per noi un antifascismo "romantico" espressione di una memoria opportunamente rimodellata per rendere la Resistenza un confetto innocuo per le classi dominanti. Non esiste, per noi, un antifascismo "istituzionale" e "costituzionalista" in difesa degli interessi di qualche settore della borghesia (oggi costituzionalista, domani devoluzionista, dopodomani fascista), ma un antifascismo espressione della lotta di classe contro la borghesia. La Resistenza è stata per massima parte espressione di una lotta contro l'ordine istituzionale e l'oppressione da parte di un pensiero unico dominante: ma più di tutto è stata il primo passo verso la costruzione di una società liberata dallo sfruttamento.
Per questo l'antifascismo è legato alla lotta per una alternativa politica a questo sistema sociale, primo anello della più generale battaglia per la conquista del potere dei lavoratori nella società. Occorre oggi rinconquistare le masse lavoratrici alla difesa dei loro interessi, ocorre rompere questa spirale che relega i lavoratori alla passività. Per noi tutto questo passa necessariamente attraverso le lotte e la continuità di una presenza nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nelle periferie.
Pc-Rol è impegnato in prima linea in questa lotta. Per noi la costruzione di una alternativa anticapitalistica parte dall'antifascismo, dalla lotta di classe e da una opposizione sociale e politica ai governi della borghesia. Per questo abbiamo rotto con Rifondazione Comunista. Per questo ci impegnamo sin da oggi per un rilancio del protagonismo delle classi lavoratrici e per garantire una opposizione sociale e politica a qualsiasi governo della borghesia. Per questo siamo in piazza il 25 aprile per difendere l'antifascismo e gli interessi delle classi lavoratrici.
Per un governo dei lavoratori per i lavoratori!
Per una alternativa antifascista ed anticapitalista!