Non esageravamo: l’attacco al sistema previdenziale col silenzio-assenso ai fondi pensione, la privatizzazione della scuola pubblica, la missione militare in Afghanistan, la realizzazione della Tav e della base Nato a Vicenza, il pacchetto sicurezza “anti-rumeni”, non sarebbero stati possibili senza il voto e il sostegno attivo dei parlamentari e dell’attuale segretario nazionale di Rifondazione (che di quel governo era ministro).
Innegabilmente, le politiche antioperaie del governo Prodi, con la conseguente perdita del potere d’acquisto dei salari e l’impoverimento di fette crescenti della popolazione, hanno aperto la strada alla vittoria della destra populista e reazionaria. La collaborazione attiva a queste politiche da parte di Rifondazione ha privato i lavoratori di un punto di riferimento per le loro rivendicazioni: la politica concertativa delle burocrazie di Cgil, Cisl e Uil, sul versante sindacale, e quella subalterna agli interessi del padronato sul versante politico, hanno prodotto questo risultato, fatto di due anni di sostegno incondizionato e appassionato a finanziarie lacrime e sangue, all’aumento delle spese militari, al finanziamento delle missioni coloniali, all’aumento dell’età pensionabile, ai tagli alla scuola pubblica e ai finanziamenti alle scuole private, a decreti razzisti.
Naturalmente, questo scenario è ancora di là da venire, ma gli accordi col Pd, quelli no, quelli si potevano fare da subito. E così, Ferrero ha chiuso intese elettorali e di governo locale in tutte le regioni chiamate al voto, ad eccezione delle tre (Lombardia, Marche e Campania) in cui il partito di Bersani l’ha espressamente rifiutato ritenendo Rifondazione del tutto ininfluente rispetto all’esito sperato – o auspicato – del voto.
Sappiamo – lo abbiamo letto su tanti blog, ne abbiamo parlato – che molti di voi hanno mal digerito questa scelta, che, per l’ennesima volta, svendeva le ragioni del Prc alla borghesia liberale in cambio di qualche poltroncina di consigliere o assessore. Eppure, tanti attivisti onesti hanno, anche in questa occasione, masticando amaro, “cantato e portato la croce”. Molti di voi hanno pensato che bisognava ancora soffrire purché il partito potesse “tenere”, passando quest’ulteriore prova elettorale; purché, in un rinnovato slancio militante, Rifondazione potesse invertire la rotta che l’aveva portata sul bordo della totale sparizione.
E invece, il risultato elettorale è stato ancora più crudo: c’è stato un ulteriore dissanguamento in termini di consensi, che ha spinto il Prc ancora più in basso. E non solo laddove si presentava in coalizione col Pd (segno inequivocabile del rifiuto da parte dell’elettorato di una simile opzione e, più in generale, della subordinazione dei comunisti ai liberali), quanto anche nelle regioni in cui si presentava autonomamente (indice della percezione della marginalità e della subalternità che caratterizzavano la scelta – necessitata – di andare da soli).
Chi si aspettava una seria analisi dopo il voto (e quest’ulteriore sconfitta) e, soprattutto, scelte conseguenti, non può che rimanere deluso: il gruppo dirigente del Prc si è sostanzialmente “autoassolto” (come si possa parlare di “tenuta del partito” in presenza di un’emorragia così imponente – 1.400.000 voti persi da Prc e Pdci dalle regionali del 2005; 300.000 in meno rispetto alle europee del 2009 – non è dato sapere). Non solo, ma ha rilanciato sulla proposta di costruzione di un soggetto asfittico (la Federazione della sinistra) e di alleanza con i partiti liberali del centrosinistra: cioè sulle formule che hanno portato alla disfatta e all’attuale quasi completa sparizione di Rifondazione comunista.
E allora è necessario che siate voi stessi a prendere in mano le redini dei vostri destini politici.
Noi, tra mille e mille difficoltà, siamo impegnati nell’impresa di costruire un partito comunista realmente rivoluzionario, nel quadro di un’Internazionale rivoluzionaria nel mondo. Non vi spaventi quest’aggettivo: sappiamo quanto nel Prc sia difficile usarlo, dal momento che il “pensiero unico” che i suoi militanti hanno sempre respirato è quello della riforma del capitalismo attraverso la presenza nelle sue istituzioni. Un progetto, questo, vecchio di oltre 150 anni e che è stato ripetutamente sconfitto dalla storia trascinando con sé la disfatta della classe lavoratrice.
Noi siamo impegnati in un altro progetto: contro quello riformista, un progetto realmente rivoluzionario che muove dal principio dell’indipendenza di classe dei lavoratori dalla borghesia e da tutti i suoi governi – di centrodestra come di centrosinistra – per costruire, nelle lotte e nelle mobilitazioni che soprattutto in questa fase di violenta crisi strutturale del capitalismo si susseguono, il partito comunista di cui realmente c’è bisogno. Quello che lotti contro questo sistema non già per riformarlo, ma per sostituirlo con un altro in cui la classe lavoratrice – che è la grande maggioranza in una società dominata invece da un’infima minoranza – si governi da sé sola.
Naturalmente, non abbiamo la supponenza di proclamarci “questo” partito; e l’organizzazione internazionale a cui ci riferiamo – la Lega internazionale dei lavoratori – non ha la supponenza di proclamarsi “questa” Internazionale. Non abbiamo nessuna vocazione all’autosufficienza.
Al contrario, abbiamo la consapevolezza che quell’embrione di partito che abbiamo sinora costruito nelle lotte quotidiane, nelle rivendicazioni anche minime delle classi sfruttate, è ancora insufficiente allo scopo.
Per questo, abbiamo bisogno dell’aiuto dei sinceri militanti ed attivisti – dovunque finora collocati – che considerino questo un obiettivo degno di essere perseguito, per il quale valga la pena di spendere le proprie energie militanti.
La nostra non è una proposta di “cooptazione” all’interno del nostro partito. Per noi un partito costituisce solo uno strumento, non già un fine: lo strumento indispensabile per la realizzazione di un progetto realmente comunista, realmente rivoluzionario. E la costruzione di un partito rivoluzionario non prevede l’adesione a “fedi”, non siamo una “chiesa”.
Appunto: la nostra è, invece, una proposta di costruzione comune di quel partito, partendo dai principi dell’indipendenza di classe e dell’autonomia dei comunisti rispetto alla borghesia. Perché solo un partito realmente indipendente ed autonomo da questa può combatterla.
La realtà quotidiana ci ha dimostrato che la prospettiva rivoluzionaria è l’unica realistica: il capitalismo, comunque governato, da governi di centrodestra o di centrosinistra, con o senza il concorso della sinistra, si traduce in miseria, guerra, sfruttamento, devastazione ambientale, discriminazioni razziali e sessuali. L’unica difesa possibile dei lavoratori è quella di rovesciare questo sistema economico e sociale, il capitalismo, per dare ai lavoratori il controllo dell’economia e della produzione. Mettiamo insieme le nostre forze per dire no ai governi dei padroni, per una prospettiva comunista.