Partito di Alternativa Comunista

Come rilanciare la lotta dopo l

Come rilanciare la lotta dopo l’11 marzo

 

CONTRO L’ATTACCO PADRONALE

NON BASTANO SCIOPERICCHI DI POCHE ORE


 

di Patrizia Cammarata

 

 

bologna contestazione camusso

"La piazza di Bologna che il 27 gennaio ha contestato la Camusso"

 

 

Dopo la manifestazione di sabato 16 ottobre a Roma organizzata dalla Fiom, dopo il No degli operai di Mirafiori al referendum-ricatto (“o si approva l’accordo o chiudiamo la fabbrica”), dopo lo sciopero del 28 gennaio proclamato dalla Fiom (solo per i metalmeccanici) ed esteso a tutto il mondo del lavoro da una parte del sindacalismo di base (ma non da Usb), e quello generale dell’11 marzo proclamato da Usb e altri sindacati di base (ma non da tutti), dopo innumerevoli momenti di lotte isolate, di manifestazioni e scioperi di categoria, è necessario ripetere ancora una volta che per cominciare a vincere è indispensabile perseguire la vera unità dei lavoratori.
I lavoratori e le lavoratrici, al contrario, sono chiamati alla lotta dalle proprie organizzazioni sindacali con un’attenzione alla frammentazione e alla divisione che pare decisa a tavolino, in modo scientifico. Così succede che i lavoratori immigrati, la parte della classe più esposta allo sfruttamento perché parte della classe più ricattabile, siano costretti spesso ad organizzarsi da soli e da soli porre la questione dei loro gravi problemi, mentre i metalmeccanici, i lavoratori del pubblico impiego, della sanità, della scuola, dei trasporti, sono chiamati alla lotta, dalle loro organizzazioni sindacali, a rotazione. Come se, di fronte alla crisi economica internazionale del capitalismo, che sta mostrando il suo volto più mostruoso con licenziamenti di massa, aumento della povertà, dismissione dello stato sociale, guerre e disastri ambientali, si possa continuare a rispondere con scioperi di categoria allo stesso modo di quando il problema è solo il rinnovo del contratto. Esiste, ed è ogni giorno più chiaro, il tentativo, da parte del capitale e dei suoi governi, di azzerare ogni conquista, anche la più parziale, ottenuta dal movimento dei lavoratori nei decenni passati. Lo scopo è avere le mani libere in qualsiasi campo, potendo disporre, al contempo, di un esercito di riserva di disperati disponibili a lavorare in qualsiasi condizione, pur di sopravvivere.

 

Quale unità?

I lavoratori, invece, sono chiamati all’unità, dalle proprie burocrazie sindacali e dai dirigenti dei partiti di sinistra, solo quando si prefigura all’orizzonte la possibilità di nuove elezioni. In quel momento, e solo in quel momento, la parola “unità” è sventolata con impressionante energia: “tutti uniti per battere Berlusconi”, “unità del centrosinistra e della sinistra radicale”, “l’alleanza democratica e l’unità di tutta la sinistra”. I lavoratori sono così incoraggiati, da sindacati e partiti di sinistra, ad appoggiare, “tutti uniti”, governi e amministrazioni che, come ben ci dimostra anche il recente passato, sono stati e saranno sempre gli artefici e gli esecutori delle peggiori leggi antioperaie e antipopolari: ricordate il pacchetto Treu? la legge Turco- Napolitano con l’istituzione dei Cpt ? l’abolizione dell’equo canone? l’assenso alla costruzione di nuove basi e all’aumento delle spese militari?. L’elenco potrebbe continuare ma grandi e piccoli burocrati sindacali e politici “più realisti del re” continuano ad incoraggiare i lavoratori ad applaudire sindaci di centrosinistra che finanziano le scuole private, a simpatizzare e a partecipare a manifestazioni “in difesa della legalità”. Come se la legalità di questo sistema non consistesse anche nei manganelli della polizia che “legalmente” si abbattono sulla testa dei manifestanti o nella “legalità” degli sgombri d’intere famiglie d’immigrati.
Dobbiamo respingere questo tranello. L’unità che serve non è l’agglomerato di tante liste politiche tese a guadagnare qualche posto in parlamento per servire ed appoggiare un nuovo governo del Pd, partito liberale al soldo di Confindustria, e di precise cordate di potere. Un partito, il Pd, il cui gruppo dirigente, quasi all’unanimità, per quanto riguarda il referendum di Mirafiori, si è schierato a favore del piano Fiat elaborato da Marchionne. Prima ancora il Pd aveva elaborato una proposta di legge firmata dai dirigenti Nerozzi e Ichino, dove dichiarava la sua disponibilità a discutere con Confindustria e Governo la destrutturazione completa dello Statuto dei lavoratori, che sarà sostituito dallo Statuto dei lavori, sposando così la proposta Sacconi, per abolire definitivamente l'art. 18.
Il vero “antiberlusconismo” può essere solo rappresentato dall’unità dei lavoratori e dalla loro consapevolezza di essere una precisa classe sociale con interessi contrapposti a quelli della borghesia.

 

Cgil: piazze interclassiste e sciopero generale di quattro ore

La Cgil, l’organizzazione con il maggior numero d’iscritti nel Paese, attraverso la sua segretaria Susanna Camusso, ha chiamato le donne alla manifestazione interclassista del 13 febbraio “Se non ora, quando?”. La stessa Cgil, però, non le ha chiamate ad un vero grande sciopero quando è stata aumentata l’età pensionabile alle donne del pubblico impiego, molte delle quali (compresa chi scrive) andranno in pensione dopo più di 41 anni di lavoro coincidenti con più di 60 anni d’età, anche se con figli. Una grande e drammatica beffa che la dice lunga sull’ipocrita litania che parlamentari, donne di destra e di centrosinistra recitano sul “ruolo sociale della maternità”. Ma si sa, questi burocrati, anche se donne, dall’alto dei loro privilegi, poco conoscono della fatica quotidiana affrontata dalla maggior parte delle proletarie di questo Paese che sono costrette a dividersi fra lavoro di cura (visto che asili, scuole e ospedali pubblici sono sempre più ridotti alla precarietà e spinti alle privatizzazioni) e un lavoro mal pagato. Susanna Camusso, il 13 febbraio, ha condiviso il palco con donne di destra, come l’onorevole avv. Giulia Bongiorno, la stessa destra che si è resa responsabile di gravissimi attacchi ai lavoratori, quella destra che ha mostrato il suo volto razzista, non tanto per il “caso Ruby”, ma soprattutto per le politiche nei confronti degli immigrati, degli omosessuali e delle donne proletarie.
Qualche settimana prima del direttivo della Cgil nel quale è stato deciso lo sciopero generale, all'assemblea nazionale della Fiom, tenutasi ai primi di febbraio, il responsabile dell'industria della confederazione aveva affermato che lo sciopero generale non era all'ordine del giorno perché la Cgil tentava di ricostruire un dialogo sulla rappresentanza con Cisl e Uil e di arrivare a un patto per la crescita con Confindustria. La realtà, però, avanza e anche la Cgil è stata costretta a piegarsi ad una situazione materiale che si fa sempre più drammatica. Governo, Cisl e Uil hanno firmato l'ennesimo accordo separato per i dipendenti pubblici, mentre Confindustria e Federmeccanica si sono avvicinati sempre più alle posizioni di Marchionne, il cui progetto, dopo Mirafiori e Pomigliano, sta travalicando la stessa Fiat e, con il pretesto della crisi e della concorrenza globale, sta arrivando all’obiettivo di smantellare completamente diritti e tutele sindacali riportando il proletariato italiano indietro di un secolo. Dopo i fischi ricevuti dalla piazza a Bologna il 27 gennaio, quando si rifiutò di annunciare lo sciopero generale, Susanna Camusso ha scelto l’attivo dei delegati provinciali di Modena per annunciare la data dello sciopero “generale” della Cgil: 6 maggio, e sarà solo di quattro ore per i lavoratori del privato. Uno sciopero, inoltre, senza manifestazione nazionale.

 

La Fiom non basta

Lo sciopero generale proclamato dalla segreteria della Cgil si presenta, quindi, come uno sciopero a metà. La burocrazia sindacale Cgil è stata costretta a rispondere alla pressione della base e della piazza ma è evidente che non solo per le sue dimensioni, le quattro ore, ma anche per gli obiettivi, lo sciopero del 6 maggio si presenta come uno sciopero in assoluta continuità con le mobilitazioni precedenti, che per contenuti e modo impediscono il lancio di una mobilitazione veramente radicale e d’unità fra i lavoratori. Ogni giorno le lavoratrici e i lavoratori nativi ed immigrati, i disoccupati, i precari sono di fronte a drammi che si abbattono sulla loro vita. In questi giorni stanno avvenendo in Europa grandi manovre per altri provvedimenti drammatici, quali, ad esempio, l’elevamento dell’età pensionabile a 67 anni. E sempre in questi giorni continua la conta degli operai morti sul lavoro, come la morte di Giuseppe Fazio, 34 anni, siciliano, dipendente di una ditta in appalto, che è stato investito da un camion rimorchio in manovra allo stabilimento Fincantieri di Porto Marghera (Venezia), una morte che ha evidenziato le precarie condizioni di sicurezza del cantiere navale e del suo modello organizzativo fondato su una catena d’appalti e sub appalti.
E’ tempo di reagire. Non è più sufficiente nemmeno la resistenza della Fiom che, pur avendo l’indubbio merito di aver rilanciato e organizzato la lotta dei metalmeccanici a Mirafiori, non sconfessa il suo passato quando il suo gruppo dirigente ha gestito politiche concertative e, ancora oggi, sottoscrive accordi simili a quelli che ha rifiutato per la Fiat. Per fare solo qualche esempio, la Fiom ha sottoscritto l’accordo in cui si sanciva la chiusura dello stabilimento Indesit di Bergamo; alla Thales Alenia Space, la Fiom, inoltre, insieme a Fim e Uilm, ha chiesto all’azienda che nelle commissioni scaturite dall’accordo integrativo aziendale del 2005 siano presenti solo le Rsu di Fim Fiom e Uilm, con la conseguente esclusione delle Rsu Usb perché non firmatarie dell’accordo stesso.

 

Trasformiamo lo sciopero del 6 maggio in uno sciopero generale prolungato

Mentre continua questo gioco al massacro, che tutto persegue tranne l’unità, risulta sempre più evidente agli occhi dei lavoratori che la divisione è una disgrazia e che le mobilitazioni rituali non servono e rischiano di diventare controproducenti. I lavoratori sono stanchi di affrontare il pesante sacrificio, soprattutto economico, per “sciopericchi” che hanno l’unico scopo, per le burocrazie sindacali, di tornare al tavolo della concertazione. Dobbiamo spingere avanti la lotta e renderla radicale affinché si possa cominciare a vincere. E’ necessario aumentare la critica a quei gruppi dirigenti, sia della Cgil sia del sindacalismo di base, che si rifiutano di organizzare i lavoratori in modo conseguente alla dimensione drammatica dell’attacco in atto. La trasformazione dello sciopero del 6 maggio in uno sciopero generale vero è indispensabile: dobbiamo impadronirci di questa data. E’ necessario che si cominci a lanciare la parola d’ordine dello sciopero generale prolungato. Le rivolte arabe ci danno l'esempio: solo con la forza delle masse potremo piegare burocrazie sindacali, governo e padronato. E' urgente che tutti i lavoratori rivendichino presso le loro organizzazioni l'unità della lotta, ed è auspicabile che si organizzino all’interno dei propri sindacati per pretendere questa unità. Auspichiamo che l’esperienza di “Unire le lotte-area classista Usb” che ha portato alla ribalta, nel sindacalismo di base, la necessità di uscire dall’autoreferenzialità, dal settarismo e dall’ambiguità che l’attuale gruppo dirigente sta trascinando l’intero corpo militante, diventi un’esperienza che possa essere d’esempio a tutti i lavoratori, ovunque collocati sindacalmente. L’area “Unire le lotte” – che anche gli attivisti del PdAC presenti in Usb, insieme a tanti altri, sostengono - ha lanciato l’appello alla mobilitazione generale di tutto il mondo del lavoro sia in occasione dello sciopero del 28 gennaio indetto dalla Fiom sia in occasione di quello dell’11 marzo indetto dall’Usb.
I dirigenti sindacali e politici, che qualche anno fa sorridevano con ironica sufficienza alle nostre parole d’ordine quali “occupazione delle fabbriche”, “sciopero ad oltranza”, “esproprio e nazionalizzazione delle aziende in crisi ”, “rivoluzione”, oggi devono fare i conti con la realtà di decine d’occupazioni spontanee delle fabbriche da parte dei lavoratori, di scioperi prolungati che hanno bloccato per settimane gran parte dell’Europa, soprattutto devono fare i conti con la rivoluzione delle masse arabe.
In Italia i lavoratori subiscono un imponente lavoro organizzato di blocco delle lotte, attivato dagli apparati burocratici conservatori, che antepongono i loro interessi di privilegio di casta agli interessi della classe operaia (non è un caso che Emma Marcegaglia ha avuto, la scorsa estate, parole di lode per il ruolo svolto dal sindacato dei metalmeccanici), e le lotte sono state frenate anche a causa del largo uso degli ammortizzatori sociali (in primis la cassa integrazione) che hanno favorito l’espulsione dei lavoratori dalle fabbriche in modo indolore per i padroni.

 

Lotta di classe e sciopero prolungato!

Pierpaolo Leonardi, dell’esecutivo nazionale Usb, all’indomani dello sciopero del 11 marzo ha dichiarato la propria soddisfazione concludendo con la frase: 'bentornata, lotta di classe'. La lotta di classe, per vincere, ha però bisogno di un sindacato che non si candidi ad essere “mezzo di regolazione democratica degli interessi diversi presenti nella società” (come scritto nello Statuto d’Usb, in sfregio al concetto del conflitto insanabile fra capitale e lavoro), ma di un sindacato che fondi la sua azione sullo sviluppo delle lotte nella contrapposizione degli interessi di classe delle masse lavoratrici contro il capitale, nella prospettiva di una società non più divisa in classi e quindi non più basata sullo sfruttamento del lavoro salariato.
Per questo, dopo l’11 marzo, è necessario riaprire un’ampia discussione all’interno dei sindacati, affinché le parole come conflitto e classe possano trovare la dignità che spetta loro e affinché diventi finalmente possibile iniziare la costruzione del sindacato di classe che manca e del quale la classe operaia e i lavoratori salariati hanno un’estrema necessità. E proprio lo sciopero del 6 maggio, indetto senza convinzione dalla Cgil, deve trasformarsi nell’occasione per una sfida da lanciare all’intero mondo dei lavoratori. Sfida a cui anche il sindacalismo di base, se vuole diventare un’alternativa credibile alle politiche concertative dei sindacati confederali, non può sottrarsi.
Lanciamo l’appello affinché il 6 maggio, questa volta, diventi la reale occasione per spingere in avanti la lotta, per svelare gli inganni ed i tatticismi del gruppo dirigente della Cgil, per offrire una nuova prospettiva d’unità ai lavoratori, affinché le lotte non siano più isolate ma riescano a travalicare le sigle sindacali, e si possano collegare con le altre numerose lotte dei lavoratori di tutti i paesi. Trasformiamo lo sciopero del 6 maggio in un vero sciopero generale e prolungato fino a piegare governo e padronato!

 

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