Continuiamo la
lotta
contro l'Europa
borghese
Italia: Salvini
vince nelle urne
ma le piazze
sono contro di lui

Dichiarazione
dell’Esecutivo del Pdac
Pur sapendo che lo strumento elettorale non
ha possibilità di apportare alcun cambiamento qualitativo alle politiche
imperialiste dell’Unione europea, è tuttavia interessante riflettere sul
risultato elettorale in quanto riflesso distorto di movimenti e mutamenti nelle
masse dei vari Paesi dell’Unione.
I risultati ci parlano, a fronte di un’affluenza media del 50% a livello di Ue, di un sostanziale tracollo dei partiti tradizionali del Ppe e del Pse che, se prima si spartivano la maggioranza dei seggi, oggi superano la maggioranza solo se sommati ai seggi ottenuti dai liberali. Al di là delle diversità del processo nei diversi Paesi, questo tracollo dimostra il rifiuto generalizzato delle politiche di austerità imposte da questi partiti su mandato di Bruxelles; con pochissime eccezioni: in Grecia vince il partito conservatore tradizionale Nea dimokratia, per l’evidente motivo che negli ultimi anni ad applicare i piani di tagli della Troika è stata la Syriza di Tsipras, mentre in Spagna i socialisti del Psoe mantengono l’onda della vittoria di Pedro Sanchez alle recenti politiche, dopo gli anni di austerità attuati da Rajoy del Pp spagnolo. A risentire di meno del calo dei partiti tradizionali è la Cdu tedesca di Angela Merkel, anche a fronte del ruolo di imperialismo più forte all’interno dell’Ue, ma anche in Germania calano vistosamente i socialdemocratici mentre avanzano prepotentemente i Verdi (che però in questo Paese sono una presenza politica più radicata che in altri)
Nel Regno unito, scosso dalla gestione conservatrice della Brexit, la coalizione di Nigel Farage (del partito nazionalista Ukip) stravince diventando il primo partito del parlamento europeo (a pari con la Cdu), senza che i laburisti si avvantaggino del calo sotto il 10% del partito conservatore. In Francia vince di poco Marine Le Pen sul presidente Macron, ma crollano completamente i partiti tradizionali, con il Partito socialista ridotto al 6% e la sinistra riformista di Melenchon che perde più di 10 punti percentuali rispetto alle presidenziali del 2017. In Ungheria stravince invece il partito populista xenofobo di Viktor Orban, che al momento è sospeso dal Ppe.
Nel complesso quindi assistiamo a un ridimensionamento forte dei partiti tradizionali e a un’avanzata significativa di movimenti percepiti come nuovi o anti-austerità, sintomo di un profondo malessere delle masse popolari nei confronti delle politiche imperialiste e di austerità promosse dall’Unione europea. Purtroppo, a fronte della mancanza di un’alternativa di classe credibile in Europa, questo malcontento viene generalmente raccolto dalle formazioni di destra, xenofobe e nazionaliste, con però una importante eccezione: la crescita, seppur disomogenea, in tutta Europa dei partiti «verdi» testimonia come vi sia un consistente movimento (frutto anche delle mobilitazioni degli ultimi mesi) di giovani che vogliono salvare il pianeta dai mali di questo sistema. Certo oggi questo non si configura come un movimento classista, e men che mai lo sono i partiti che ne sono stati in questo caso espressione elettorale, tuttavia è sintomo che c’è una parte delle masse, soprattutto studenti ma non solo, che vogliono battersi contro il capitalismo e i suoi effetti sull’ambiente. Anche da queste lotte, oltre che da quelle degli operai come da quelle dei gilet gialli, degli immigrati, delle donne e dalle mobilitazioni antifasciste, deve ripartire la sinistra rivoluzionaria europea: dobbiamo dire con forza a tutti questi settori che l’alternativa non è l’Unione europea degli Orban, dei Salvini e delle Le Pen, ma la lotta per distruzione dell’Unione europea borghese e per la creazione degli Stati uniti socialisti d’Europa.
I risultati ci parlano, a fronte di un’affluenza media del 50% a livello di Ue, di un sostanziale tracollo dei partiti tradizionali del Ppe e del Pse che, se prima si spartivano la maggioranza dei seggi, oggi superano la maggioranza solo se sommati ai seggi ottenuti dai liberali. Al di là delle diversità del processo nei diversi Paesi, questo tracollo dimostra il rifiuto generalizzato delle politiche di austerità imposte da questi partiti su mandato di Bruxelles; con pochissime eccezioni: in Grecia vince il partito conservatore tradizionale Nea dimokratia, per l’evidente motivo che negli ultimi anni ad applicare i piani di tagli della Troika è stata la Syriza di Tsipras, mentre in Spagna i socialisti del Psoe mantengono l’onda della vittoria di Pedro Sanchez alle recenti politiche, dopo gli anni di austerità attuati da Rajoy del Pp spagnolo. A risentire di meno del calo dei partiti tradizionali è la Cdu tedesca di Angela Merkel, anche a fronte del ruolo di imperialismo più forte all’interno dell’Ue, ma anche in Germania calano vistosamente i socialdemocratici mentre avanzano prepotentemente i Verdi (che però in questo Paese sono una presenza politica più radicata che in altri)
Nel Regno unito, scosso dalla gestione conservatrice della Brexit, la coalizione di Nigel Farage (del partito nazionalista Ukip) stravince diventando il primo partito del parlamento europeo (a pari con la Cdu), senza che i laburisti si avvantaggino del calo sotto il 10% del partito conservatore. In Francia vince di poco Marine Le Pen sul presidente Macron, ma crollano completamente i partiti tradizionali, con il Partito socialista ridotto al 6% e la sinistra riformista di Melenchon che perde più di 10 punti percentuali rispetto alle presidenziali del 2017. In Ungheria stravince invece il partito populista xenofobo di Viktor Orban, che al momento è sospeso dal Ppe.
Nel complesso quindi assistiamo a un ridimensionamento forte dei partiti tradizionali e a un’avanzata significativa di movimenti percepiti come nuovi o anti-austerità, sintomo di un profondo malessere delle masse popolari nei confronti delle politiche imperialiste e di austerità promosse dall’Unione europea. Purtroppo, a fronte della mancanza di un’alternativa di classe credibile in Europa, questo malcontento viene generalmente raccolto dalle formazioni di destra, xenofobe e nazionaliste, con però una importante eccezione: la crescita, seppur disomogenea, in tutta Europa dei partiti «verdi» testimonia come vi sia un consistente movimento (frutto anche delle mobilitazioni degli ultimi mesi) di giovani che vogliono salvare il pianeta dai mali di questo sistema. Certo oggi questo non si configura come un movimento classista, e men che mai lo sono i partiti che ne sono stati in questo caso espressione elettorale, tuttavia è sintomo che c’è una parte delle masse, soprattutto studenti ma non solo, che vogliono battersi contro il capitalismo e i suoi effetti sull’ambiente. Anche da queste lotte, oltre che da quelle degli operai come da quelle dei gilet gialli, degli immigrati, delle donne e dalle mobilitazioni antifasciste, deve ripartire la sinistra rivoluzionaria europea: dobbiamo dire con forza a tutti questi settori che l’alternativa non è l’Unione europea degli Orban, dei Salvini e delle Le Pen, ma la lotta per distruzione dell’Unione europea borghese e per la creazione degli Stati uniti socialisti d’Europa.
L’Italia
tra il governo giallo-verde e le piazze in lotta
Per quanto riguarda l’Italia nello specifico, appare evidente l’avanzata della Lega al 34% e il crollo del M5s al 17%, in qualche modo ribaltando le percentuali delle elezioni politiche del 4 marzo 2018, e con il Pd che ritorna a essere il secondo partito al 22%. Tuttavia, se andiamo a guardare i voti reali, quindi al netto dell’astensione, il Partito democratico non solo non recupera, ma perde 100 mila voti e non guadagna niente dallo scioglimento di Liberi e uguali, né dai delusi del M5s.
Per quanto riguarda l’Italia nello specifico, appare evidente l’avanzata della Lega al 34% e il crollo del M5s al 17%, in qualche modo ribaltando le percentuali delle elezioni politiche del 4 marzo 2018, e con il Pd che ritorna a essere il secondo partito al 22%. Tuttavia, se andiamo a guardare i voti reali, quindi al netto dell’astensione, il Partito democratico non solo non recupera, ma perde 100 mila voti e non guadagna niente dallo scioglimento di Liberi e uguali, né dai delusi del M5s.
Il vero cambiamento qualitativo, che assume
la forma di un tracollo, è quello del Movimento 5 stelle, che perde 6 milioni di
voti netti, cioè più della metà dei 10 milioni e 700 mila presi alle scorse
politiche. Ora, i reali numeri ci testimoniano che non c’è un consistente
passaggio di questi voti alla Lega, anche se le percentuali sembrerebbero
dimostrare il contrario: il partito di Salvini avanza, ma più a scapito di altre
forze del vecchio centrodestra, mentre la maggioranza dei voti persi dal M5s
vanno verso l'astensione.
Certamente Salvini ha sfruttato l’esperienza
governativa a discapito del M5s: entrambi avevano vinto le elezioni politiche
capitalizzando il malcontento in particolare della piccola borghesia (ma anche
di strati della classe lavoratrice) per le politiche di austerità di tutti i
governi italiani dal 2011, tuttavia la Lega ha indirizzato più efficacemente dei
5 stelle questo sentimento verso politiche securitarie e xenofobe (dal Decreto
sicurezza alla chiusura dei porti alle navi che salvano gli immigrati in mare),
mentre i grillini non sono riusciti a mantenere la parte presuntamente «sociale»
del loro programma, che pure aveva portato ampi settori di masse popolari a
votarli. La farsa del governo giallo-verde non è ancora finita, e non è escluso
che Di Maio e i suoi provino a recuperare terreno, mentre sicuramente Salvini
tenterà di passare all’incasso, a partire dall’approvazione del Decreto
sicurezza bis e dalla realizzazione del Tav in Val di Susa.
È in questo momento che è assolutamente necessaria una risposta operaia e delle masse popolari. Il rafforzamento politico della Lega non coincide oggi con una «ondata nera» o reazionaria: lo dimostrano le molte piazze combattive e partecipate di questi mesi, dalle mobilitazioni delle donne a quelle antifasciste, dalle proteste degli insegnanti alle decine di contestazioni a Salvini in tutta Italia. Da queste lotte dobbiamo ripartire per creare un ampio fronte contro Salvini e il governo giallo-verde, a partire dalla battaglia contro l’approvazione del Decreto sicurezza bis, testa d’ariete contro il movimento operaio e le lotte in generale.
In questo senso non condividiamo l’analisi che sta facendo in queste ore la sinistra riformista (il Prc di Ferrero e Sinistra italiana di Fratoianni) che cerca di far dimenticare che la causa del proprio disastro è figlia della collaborazione di classe con i governi di centrosinistra. Per questo agitano lo spauracchio dell’«ondata reazionaria», per rilegittimare nuove politiche subalterne al Pd. La stessa analisi sbagliata viene fatta da quei gruppi alla sinistra del Prc che parlano di «deriva reazionaria», così come già facevano pochi mesi fa parlando dell'America Latina e in particolare del Brasile di Bolsonaro, per il quale paventavano un lungo periodo di riflusso delle masse: una previsione già smentita dai milioni di manifestanti contro Bolsonaro nelle piazze brasiliane dello scorso 15 maggio.
Il naturale sviluppo della crisi economica
sta già mettendo il governo giallo-verde a confronto con le rivendicazioni delle
masse (la lotta dei lavoratori del Mercatone uno, solo per fare l’ultimo
esempio in ordine di tempo) e con le sue stesse contraddizioni, e continuerà a
farlo nel prossimo futuro: dobbiamo essere pronti a sbarrare il passo a questo
governo così come a combattere la sua falsa alternativa di centrosinistra, per
preparare un’alternativa di classe a favore dei lavoratori e delle masse
popolari oppresse.
È in questo momento che è assolutamente necessaria una risposta operaia e delle masse popolari. Il rafforzamento politico della Lega non coincide oggi con una «ondata nera» o reazionaria: lo dimostrano le molte piazze combattive e partecipate di questi mesi, dalle mobilitazioni delle donne a quelle antifasciste, dalle proteste degli insegnanti alle decine di contestazioni a Salvini in tutta Italia. Da queste lotte dobbiamo ripartire per creare un ampio fronte contro Salvini e il governo giallo-verde, a partire dalla battaglia contro l’approvazione del Decreto sicurezza bis, testa d’ariete contro il movimento operaio e le lotte in generale.
In questo senso non condividiamo l’analisi che sta facendo in queste ore la sinistra riformista (il Prc di Ferrero e Sinistra italiana di Fratoianni) che cerca di far dimenticare che la causa del proprio disastro è figlia della collaborazione di classe con i governi di centrosinistra. Per questo agitano lo spauracchio dell’«ondata reazionaria», per rilegittimare nuove politiche subalterne al Pd. La stessa analisi sbagliata viene fatta da quei gruppi alla sinistra del Prc che parlano di «deriva reazionaria», così come già facevano pochi mesi fa parlando dell'America Latina e in particolare del Brasile di Bolsonaro, per il quale paventavano un lungo periodo di riflusso delle masse: una previsione già smentita dai milioni di manifestanti contro Bolsonaro nelle piazze brasiliane dello scorso 15 maggio.