Partito di Alternativa Comunista

Contro il referendum di classe

Contro il referendum di classe
 
 
di Valerio Torre
 
Per i marxisti rivoluzionari, un sistema elettorale piuttosto che un altro nel regime capitalistico non configura affatto un modo più o meno “democratico” per la rappresentanza nelle istituzioni, poiché anche il più “democratico” di quei sistemi integra soltanto una finzione che consente alla “finta” democrazia borghese di rappresentarsi come un “valore assoluto”, una forma “neutra” e al di sopra delle classi della struttura giuridica – lo Stato – con cui il capitalismo impone il suo dominio.
D’altro canto, un dato sistema elettorale è il prodotto dei rapporti di forza esistenti nella società borghese in un determinato momento storico: in altri termini, in un’ipotetica scala di valori delle leggi elettorali, quella tendente al proporzionale puro sottintende l’esigenza di una rappresentanza il più larga possibile delle istanze di ampi settori della società; al contrario, quella improntata al maggioritario privilegia le esigenze di una semplificazione delle rappresentanze parlamentari per ottenere una maggiore stabilità dei governi.
È noto che in Italia i sistemi elettorali di tipo proporzionale hanno, nei decenni scorsi, ceduto il passo a quelli di tipo maggioritario da quando l’arretramento complessivo del movimento operaio a partire dai primi anni ’80 ha consentito alla borghesia di imporre la sua ideologia dominante tutta fatta di “stabilità” e di “governabilità”. E così, attraverso le varie riforme elettorali succedutesi nel tempo, con la progressiva cancellazione dei tratti di proporzionalismo presenti nel nostro sistema e l’affermazione del maggioritario, la borghesia ha traghettato l’Italia verso il bipolarismo: il progetto teorizzato è quello per cui due grandi poli contrapposti possano competere tra loro contendendosi il governo del paese allo scopo, poi, di amministrare senza scossoni parlamentari gli interessi dei capitalisti.
 
Perché questo referendum?
La legge elettorale attualmente vigente in Italia (1) attribuisce alla coalizione che ottiene il maggior numero dei voti un robusto premio di maggioranza, fino al 54% dei seggi. Alte soglie di sbarramento per chi non si coalizza e liste bloccate per consentire alle direzioni dei partiti il massimo controllo sugli eletti sono gli ulteriori strumenti su cui si fonda quello che appare come un bipolarismo coatto nel quale una minoranza viene per legge trasformata in maggioranza.
I quesiti referendari sottomessi agli elettori il prossimo 21 giugno sono ulteriormente peggiorativi del già pessimo sistema elettorale in vigore, poiché attribuiscono il premio di maggioranza non più alla coalizione ma solo alla lista singola che otterrà il miglior risultato: cosicché, un solo partito che raggiungesse il 30-35% dei voti avrebbe il 54% dei seggi.
Qual è l’intento dei promotori del referendum? Quello di “stabilizzare” ancora di più il quadro politico, evitando che i partiti siano costretti a ricorrere a coalizioni composite e finanche rissose per poter beneficiare del premio; al contrario, se passasse il Sì, un partito da solo potrebbe di fatto governare senza dover allearsi con nessun altro. È evidente che i referendari vogliono perseguire lo scopo di una maggiore “omogeneizzazione” delle forze politiche in due soli partiti che si contendono periodicamente il governo: il risultato sarebbe, com’è ovvio, il passaggio dal bipolarismo al bipartitismo coatto.
La raccolta delle firme, promossa da Segni e Guzzetta, ha visto impegnato uno schieramento trasversale sia delle forze conservatrici che di quelle “progressiste” in rappresentanza della borghesia e del suo progetto bipartitico, chiarissimo segno – questo – del carattere di classe di una simile riforma elettorale (e del referendum stesso), che tenta di pescare nel diffuso malcontento e nella disaffezione di vasti settori popolari per un sistema in cui i partiti vengono visti come lontani dagli interessi delle persone.

Il posizionamento dei partiti sul referendum
A chi gioverebbe un risultato favorevole che uscisse dalle urne referendarie? È del tutto evidente che, nella situazione politica data dall’ultimo esito elettorale, il solo Silvio Berlusconi beneficerebbe di un meccanismo che porterebbe il suo Pdl nella situazione ottimale di poter governare da solo con un’inattaccabile maggioranza che gli consentirebbe di fare a meno della Lega Nord e dei piccoli satelliti che gli ruotano intorno (Mpa, ecc.).
Ed è proprio questo che induce il partito di Bossi a premere, forte di un consolidamento elettorale ottenuto alle recenti elezioni, perché Berlusconi non sponsorizzi il referendum Segni-Guzzetta: il ricatto della Lega è stato evidente sin dalla richiesta di non fare svolgere la consultazione referendaria al primo turno delle amministrative, quando, con tutta probabilità, il quorum sarebbe stato raggiunto. Ottenuto di confinarla al secondo turno – in cui l’affluenza sarà bassissima a causa dei pochi ballottaggi da celebrare – ha anche preteso l’esplicitazione del mancato appoggio da parte del presidente del consiglio che, per non rompere gli equilibri di governo, ha accolto quella rivendicazione. Fini, invece, che si sta ritagliando un ruolo di figura di riferimento per la costruzione di una destra liberale, ha ribadito il suo appoggio al Sì al referendum.
In questo quadro, merita di essere segnalata la posizione che la direzione del Pd ha assunto per il Sì. La giustificazione ufficiale adottata è che l’approvazione dei quesiti determinerebbe una tale instabilità parlamentare che indurrebbe Berlusconi a sedersi al tavolo negoziale per la modifica per via parlamentare della legge elettorale. Tuttavia, il capo del governo ha già spento ogni illusione al riguardo sostenendo che l’eventuale vittoria del Sì costituirebbe essa stessa il nuovo sistema elettorale, per cui non sarebbe necessaria alcuna ulteriore riforma.
Una risposta tanto scontata da essere assolutamente prevedibile, allora, deve spingerci a indagare le ragioni di una decisione così autolesionista da parte dei democratici, una decisione che ha dato luogo ad un dibattito sopito soltanto dalla necessità di rispettare la tregua interna in vista del congresso. Crediamo di poter dire che il motivo di fondo su cui poggia tale posizione non sta nell’esplicitata intenzione di ottenere per via parlamentare la modifica della legge elettorale, che appare invece solo la giustificazione di facciata, quanto nella compiuta evoluzione in senso liberale del Pd che costituisce la rappresentanza diretta di quei settori della grande borghesia che perseguono un esito bipartitico del progetto bipolare (2) del quadro politico italiano. E, sullo sfondo, si affacciano anche ragioni di mero calcolo di bottega: il bipartitismo coatto che venisse disegnato dalla vittoria dei Sì al referendum potrebbe indurre altre formazioni politiche (3) ad accelerare il processo di confluenza nel Pd: unica strada, per quelle, per rientrare nel gioco della rappresentanza parlamentare; e, per quest’ultimo, per rafforzare un corpo asfittico in vista della prossima sfida elettorale con Berlusconi.
 
La battaglia dei lavoratori
È evidente, dunque, che i lavoratori e le classi sfruttate – che già oggi, in questa finta democrazia borghese, non hanno alcuna rappresentanza politica e manifestano il loro rifiuto per i partiti della sinistra tradizionale e le loro politiche di collaborazione con la borghesia con un sempre più diffuso astensionismo – debbono respingere il tentativo di aggravare quello che già di per sé costituisce un sistema truffaldino. Ciò non significa, ovviamente, che quest’ultimo vada difeso: far fallire il quorum non andando a votare o rifiutando espressamente la scheda del referendum per coloro che volessero esprimere il voto ai ballottaggi (4) deve costituire il primo passo di una battaglia in favore di un sistema elettorale integralmente proporzionale, che consenta la rappresentanza autonoma delle classi subalterne.
Una battaglia, però, che deve essere data nella consapevolezza che nel regime capitalistico nessun sistema elettorale potrà garantire davvero le ragioni dei lavoratori: solo una radicale trasformazione in senso socialista della società, con l’abolizione della classe degli sfruttatori, sarà in grado di assicurare ai lavoratori stessi di potersi rappresentare da soli, con un proprio governo.
 
_________________
 
(1) Legge Calderoli, dal nome del suo estensore, che poi in un impeto di resipiscenza la definì “una porcata”: di qui la definizione di “porcellum”.
(2) Progetto quanto mai in affanno nell’attuale fase politica.
(3) A partire da SeL di Nichi Vendola.
(4) Rifiutare esplicitamente la scheda è un diritto dell’elettore ed equivale all’astensionismo; mentre votare scheda bianca od annullarla innalza il quorum della partecipazione al voto.

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