Partito di Alternativa Comunista

Cosa fa la sinistra governista?

Verso le elezioni
Cosa fa la sinistra governista?
Analisi e aggiornamenti su Sel e Prc

 
di Valerio Torre
 
 

 

sinistra di governo

Ci avviamo ormai verso la fine del mandato del governo Monti. Le elezioni sono dietro l’angolo e tutti i riflettori della stampa sono sempre più puntati sui partiti e sulle possibili coalizioni.
Proviamo a fare il punto della situazione per quel che riguarda il centrosinistra, ferma restando l’incognita più generale della legge elettorale con cui gli elettori saranno chiamati a votare: la scelta, infatti, di uno o un altro modello da parte del parlamento – o la conferma della normativa attualmente in vigore – influirà certamente sulle aggregazioni fra i partiti.

 
Vendola prepara il suo reingresso in parlamento
Il Partito democratico, su cui puntano ampi settori della grande borghesia italiana, è ormai pronto a governare e, per questo, da tempo sta tessendo la trama che dovrebbe portarlo a Palazzo Chigi. Si tratta di un disegno messo a punto definitivamente all’inizio delle scorse vacanze estive, quando Bersani ha strappato la c.d. “foto di Vasto”, cioè l’intesa stretta ormai più di un anno fa per una coalizione con Vendola e Di Pietro. Il motivo di questa rottura sta nella collocazione dell’Idv all’opposizione del governo Monti e nella violenta polemica che lo stesso Di Pietro ha scatenato contro il presidente della repubblica a proposito della “trattativa Statomafia”.
E dunque, poste le basi per un accordo con l’Udc di Casini – in omaggio alla tendenza del Pd a guardare al centro per avere l’appoggio del c.d. “cattolicesimo liberale” – lo scorso agosto Bersani ha gettato un ponte a Vendola, vista la sua necessità di coprirsi a sinistra utilizzando Sel nella sua funzione più classicamente socialdemocratica: quella cioè di esercitare il controllo su un settore di classe lavoratrice, sia pure non di massa ma con importanti legami con la burocrazia della Fiom, chiamandola alla partecipazione al prossimo governo borghese. Tutto questo, allo scopo di contenere le dinamiche sociali rispetto alle future misure di un esecutivo alle dirette dipendenze del capitale.
Ma il fatto che il patto stipulato presupponesse la successiva coalizione con l’Udc ha scatenato i mal di pancia della base di Sel che si è opposta all’intesa con Casini. E allora Vendola ha dovuto far ricorso alle sue doti di equilibrista, iniziando a tuonare contro la possibile alleanza con Casini, rivendicando invece solo quella col Pd. Il leader dell’Udc, dal canto suo, dovendo anch’egli tener conto degli umori dei suoi iscritti rispetto a un futuro governo con chi si è opposto (sia pure solo a voce) al governo Monti, ha cominciato a inveire contro Vendola.
In realtà, tutto quest’agitarsi delle due “ali estreme” della futura coalizione appare un gioco delle parti (o un gioco delle tre carte) organizzato per tenere buone le rispettive platee militanti, dal momento che la strategia di Bersani – che è il fulcro centrale dell’unione – è estremamente chiara ed è stata ripetutamente esplicitata in numerose occasioni pubbliche: Pd e Udc organizzano separatamente i rispettivi campi (il centrosinistra e il centro), per poi coalizzarsi dopo il voto. E, in particolare per quel che riguarda Vendola, il suo iperattivismo sui temi dell’omosessualità – così come il suo appoggio all’iniziativa referendaria sull’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori promosso dall’Idv (sicuramente indigesta al Pd che quella norma ha voluto cancellare) – hanno lo scopo di far apparire la futura coalizione più spostata a sinistra di quanto in realtà non sia e più digeribile ai suoi militanti la collocazione di Sel come “ala sinistra” dello stesso Pd.
In ogni caso, anche su queste finte baruffe fra Vendola e Casini potrebbe influire la futura legge elettorale, nel senso che se fosse previsto un premio di maggioranza al primo partito piuttosto che alla coalizione vincente, potrebbe delinearsi un “listone” unico PdSelPsi che toglierebbe dall’imbarazzo l’Udc. Ma anche se così non fosse, non dubitiamo che Vendola troverà il modo di acconciarsi alla convivenza con Casini evitando di creare troppi problemi: l’importante sarà trovare una collocazione parlamentare per sé e la sua piccola schiera di cortigiani. E la sua partecipazione alle primarie del Pd per aiutare Bersani a contrastare il concorrente Renzi ha esattamente questo significato.
D’altronde, l’esperienza fallimentare delle recenti elezioni siciliane con la lista SelFdsVerdi gli ha sicuramente insegnato qualcosa, vista la sua recente dichiarazione “Fuori dal centrosinistra lo spazio per una sinistra antagonista è solo quello della mera testimonianza” (1).
 
La crisi politica di Rifondazione ne accresce il codismo
Con l’espulsione dal parlamento nel 2008, Rifondazione comunista è un partito in progressiva e profonda crisi verticale, non solo di militanza ma anche economica (2). Il profondo elettoralismo e la subalternità al Pd di tutti i gruppi dirigenti che si sono susseguiti nel tempo sono stati il tratto costante della parabola del Prc.
Per cercare di uscire dall’angolo, Ferrero ha dapprima avanzato al Pd, dal congresso di Napoli del dicembre 2011, la proposta di un “patto democratico” pur di tentare di ottenere qualche parlamentare che viene visto come una boccata d’ossigeno per le esangui casse del partito. Di fronte al rifiuto di Bersani (che ha un altro progetto politico), ha insistentemente sollecitato Sel a fare un cartello elettorale elemosinando l’attenzione di Vendola attraverso patetiche “videolettere” che sono rimaste platealmente ignorate.
L’isolamento in cui il Prc si è trovato – anche per effetto dell’intesa che Vendola ha stretto con Bersani – lo ha portato negli ultimi tempi ad abbandonare a malincuore l’idea di un’alleanza, sia pure subalterna, col Pd (nonostante governi insieme ad esso a livello locale) e a proporre a indeterminati soggetti politici e di movimento che convergono sull’opposizione a Monti, un blocco elettorale definito “Syriza italiana”. Ferrero si è spinto addirittura oltre il suo stesso partito, dichiarando che sarebbe perfino disposto ad abbandonarne il simbolo (3) pur di realizzare questo blocco.
Soprattutto oggi, dopo le vicende che stanno dilaniando l’Idv con gli attacchi mediatici a Di Pietro e la fronda interna di una parte del personale politico di quel partito, l’invito di Ferrero potrebbe trovare una convergenza con lo stesso Di Pietro, particolarmente se si dovesse profilare una scissione nell’Idv da parte della corrente “moderata” che mira al rapporto con il Pd. Fino a ieri non era così, dal momento che il leader del partito del gabbiano stava tentando – con i buoni uffici di Nichi Vendola – di ritessere il rapporto con Bersani: un Bersani che ora si sta fregando le mani per aver contribuito a indebolire Di Pietro, casomai sottraendogli un pezzo di partito (4). Tuttavia, è prematuro (e sarebbe azzardato) fare una previsione circa l’evoluzione della situazione dell’Idv, ad oggi molto fluida.
In ogni modo, mentre il segretario del Prc snocciola la sua disperata proposta, un pezzo della Federazione della Sinistra – il Pdci e lo sconosciuto ai più Partito del lavoro di Salvi e Patta – dichiara che invece no, bisognerebbe senz’altro fare un accordo col Pd. E non è finita, perché i mal di pancia si sviluppano anche all’interno della stessa Rifondazione, come testimonia un documento firmato per ora da una trentina di membri del Prc e della Fds. Insomma, guai addirittura in casa per il povero Ferrero, amplificati dal fatto che dirigenti di primo piano di Rifondazione come Grassi e Burgio stanno avanzando dei distinguo verso la segreteria riguardo al rapporto con il Pd, giungendo fino ad invocare la riaffermazione della linea politica emersa dal congresso di Napoli del dicembre 2011 (l’iniziativa unitaria verso il centrosinistra) rispetto alla linea patrocinata oggi dal segretario, considerata “isolazionista”.
Intanto, proprio mentre scriviamo, si è concluso il Consiglio nazionale della Fds, che ha confermato la profonda frattura fra le due componenti di Diliberto e PattaSalvi da un lato e Ferrero dall’altro. Al termine dell’organismo, immediatamente Diliberto ha esposto ai giornalisti la linea del suo partito: accordo con il centrosinistra e partecipazione alle primarie con il voto per Vendola. Insomma, si profila l’esplosione in mille pezzi della già malconcia Federazione. E se questa divaricazione nella Fds e persino nel Prc non è direttamente orchestrata dal Pd, quantomeno Bersani si sta fregando le mani.
E dunque, non resta a Ferrero che aggrapparsi a qualsiasi formazione gli si muova intorno pur di tentare di rientrare nei giochi. Solo a titolo d’esempio, ha dichiarato che sarebbe pronto a collaborare con Grillo poiché non ci sarebbero differenze programmatiche con il M5S. E infatti, persino nel linguaggio e nei contenuti trattati, il segretario del Prc sta virando sempre più verso il vocabolario del grillismo, introducendo i temi della “casta” e dei “privilegi” in un’impressionante deriva codista. Il ragionamento che Ferrero fa è questo: il senso comune maturato in questi anni è l’odio per “la casta”; noi abbiamo lasciato in secondo piano la questione sui privilegi della politica per cui siamo stati percepiti come “interni” al sistema; dobbiamo dunque recuperare su questo terreno avanzando persino una proposta di carattere “neopuritano” (5) circa le indennità degli eletti; in tal senso, dobbiamo presentare alle prossime elezioni una lista che venga percepita come utile per superare i privilegi di casta.
È perciò in questa direzione che vanno letti i grotteschi appelli del Prc a Di Pietro e oggi a Grillo: all’isolamento politico derivante da una politica totalmente subalterna alla borghesia e ai suoi partiti e da una proposta tutta interna al sistema capitalistico si dà una risposta di accodamento al senso comune del pensiero dominante (non dimentichiamo che sul ferro della “casta” e dei “privilegi” hanno battuto importanti settori di borghesia).
 
Le incognite della prossima fase
Il quadro appena delineato di quanto sta accadendo nel campo della sinistra socialdemocratica è, come abbiamo detto, in continua evoluzione: le incognite sono moltissime e potrebbero aggiungersene altre.
Resta però il fatto che quei partiti riformisti cercano di far fronte alla crisi in cui si dibattono – che è dipendente dalla crisi del capitalismo, nel cui quadro essi vedono ridotta la loro funzione – investendo tutte le loro residue risorse nel campo del parlamentarismo e dell’elettoralismo. Continueremo a seguirne l’evoluzione e a darne conto ai militanti di una sinistra che, invece, pensa che altra sia la strada da percorrere per la costruzione di un partito rivoluzionario che rovesci il sistema capitalista.
 
 
__________
(1) L’Unità, 31 ottobre 2012.
(2) Periodicamente, il Prc è costretto a mettere in vendita le sedi acquistate durante gli anni delle “vacche grasse” per far fronte alla gigantesca situazione debitoria accumulata e mantenere l’apparato burocratico costruito negli anni, sia pure ormai ridotto ai minimi termini a causa della crisi del partito.
(3) Http://web.rifondazione.it/home/index.php/12-home-page/12480-ferrero-lista-unica-degli-anti-monti-anche-senza-falce-e-martello.
(4) Di Pietro pare essere schiacciato da una manovra a tenaglia: da una parte, Bersani che cerca di attrarre la corrente dell’Idv che fa capo al capogruppo alla Camera, Donadi, oltre a tentare l’alleanza con la futura “lista arancione” di De Magistris; dall’altra, Grillo che, lanciando Di Pietro come candidato alla presidenza della Repubblica, sembra volergli dare il bacio dello scorpione per eliminare un concorrente sullo stesso terreno.
(5) Per quanto possa sembrare incredibile, la definisce proprio così: http://web.rifondazione.it/home/index.php/prima-pagina/15539-riflessioni-sul-voto-siciliano.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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