Partito di Alternativa Comunista

Crisi economica mondiale

Crisi economica mondiale
UNA PARTITA CHE NON FINIRA’ CON UN PAREGGIO
 
di Alberto Madoglio

Nel gergo sportivo, e più precisamente in quello rugbistico, il terzo tempo è quando giocatori e tifosi delle due squadre avversarie si incontrano alla fine di un match, per festeggiare insieme. Simboleggia il massimo del fair play, in quanto dimostra che al di fuori della tensione sportiva si può e si deve mantenere il rispetto dell’avversario.
 
Sfortunatamente, il terzo tempo della crisi mondiale non fa venir in mente nulla di altrettanto piacevole.
 
crisi economica2010
Un nuovo rischio per l'economia globale: il fallimento del debito sovrano degli Stati
Se i primi due tempi della Grande Recessione, come viene comunemente chiamata la crisi ancora in corso, avevano riguardato il mondo della finanza e della produzione propriamente detta portando l’economia mondiale sull’orlo del collasso, il terzo tempo, quello del rischio fallimento degli Stati, prepara uno scenario dalle conseguenze ancora ignote ma per un certo verso peggiori di quelle che fino ad oggi abbiamo conosciuto.
Le prime avvisaglie si sono avute alla fine del 2009, quando il debito “sovrano” (cioè pubblico) dell’emirato di Dubai è stato ad un passo dall’insolvenza (evitata all’ultimo dall’intervento di un altro stato fantoccio limitrofo, Abu Dhabi). A rischio sono sembrati essere il Venezuela, l’Argentina e l’Ucraina.
Ma è adesso, quando il timore di insolvenza sta riguardando Paesi di uno dei due poli imperialisti mondiali, l’Europa, che una nuova ondata di panico sta attraversando le borse, cancellerie di mezzo mondo e istituzioni di ogni livello, ordine e grado.
Quattro sono i Paesi, appartenenti all’area dell’euro, che sono attualmente nell’occhio del ciclone. Vengono definiti in modo spregiativo PIGS (maiali), acronimo composto dalle loro iniziali (Portogallo, Irlanda che ha sostituito al momento l’Italia nel non proprio edificante nomignolo, Spagna e Grecia). A giorni alterni arrivano alla ribalta delle cronache, perché sembra che da un momento all’altro siano costretti ad ammettere di non poter più rimborsare il loro debito pubblico.
Alcuni di questi fino a poco tempo fa erano il fiore all’occhiello dei sostenitori della globalizzazione capitalistica: sembrava che la crescita della loro economia non dovesse avere fine. Il migliore di questi Paesi era l’Irlanda, paragonata anche in passato ad un animale, certamente più nobile nell’immaginario collettivo di un semplice suino: la “tigre celtica” (termine che ricorda per assonanza Paesi dell’estremo oriente protagonisti di una performance simile, appunto chiamate “tigri asiatiche”).
 
Il sole della crescita non splende più sull'Europa mediterranea
Attualmente, le situazioni più in pericolo sembrano essere quelle della Grecia e della Spagna. Come tutte le economie mondiali, hanno chiuso il 2009 con una forte contrazione del Pil, e per l’anno in corso si prevede una modesta ripresa per la prima, o altri 12 mesi di contrazione della crescita per la seconda. Sul lato dei conti pubblici, il deficit rapportato al Pil supera ampiamente il 10% e il debito pubblico, sempre rapportato al Pil, sta crescendo a ritmi vertiginosi.
 
La tragedia greca...
Atene è al centro di uno scandalo internazionale in quanto si è scoperto che per anni ha falsificato i propri conti per poter entrare nell’area euro (su suggerimento della banca d’affari Goldam Sachs, di cui è stato alto dirigente Mario Draghi, prima di diventare Governatore della Banca d’Italia).
 
... e il disastro spagnolo
Madrid, che fino a qualche mese fa pensava di vivere in un sogno fatto di benessere e prosperità, si è accorta, al contrario di aver vissuto in un incubo. La crescita degli ultimi anni è stata quasi totalmente favorita dal mix infernale fatto di speculazione immobiliare e creditizia. Nel 2007 il numero di nuove abitazioni in Spagna era superiore alla somma di quelle costruite in Francia, Germania e Inghilterra, e il mercato spagnolo assorbiva la metà di tutta la produzione europea di cemento. Le banche spagnole hanno sfruttato fino in fondo questa crescita folle del mercato immobiliare, concedendo prestiti a privati e imprese, che le hanno fatte diventare tra le più grandi istituzioni finanziarie del mondo.
Quando la bolla del credito e del settore immobiliare è scoppiata, l’economia spagnola  è stata travolta: la disoccupazione è raddoppiata nel giro di 12 mesi, arrivando alla stratosferica cifra di 4 milioni, il mercato immobiliare si è nei fatti fermato; nel 2009 le vendite di abitazioni sono crollate del 50%, nonostante in alcune zone del Paese venissero praticate offerte del tipo “compri 2 case e ne paghi 1”.
Banche del calibro di Santander e BBVA si trovano ad avere in portafoglio crediti verso imprese del settore edilizio pari a 350 miliardi di euro e nessuna sa quanti di questi potranno mai essere riscossi.
 
Debolezze strutturali amplificate nella crisi
Davanti a questo quadro, la speculazione finanziaria globale è partita all’attacco: per Grecia e Spagna diventa sempre più difficile e costoso chiedere nuovi prestiti statali; così come sta aumentando il costo che chi sottoscrive titoli del debito pubblico greco e spagnolo, deve sostenere se vuole garantirsi contro il rischio di un fallimento di questi Paesi.
E’ utile inoltre sottolineare un altro fatto. Ben prima che la crisi iniziasse (2005) queste due economie continuavano a perdere competitività rispetto alle altre economie europee. Secondo dati riportati dal sito lavoce.info nel loro caso il tasso di cambio dell’euro risulta essersi apprezzato maggiormente del suo valore, mentre per la Germania, ad esempio, è avvenuto il contrario. Se la peseta e la dracma fossero ancora le valute nazionali, una loro svalutazione permetterebbe di sistemare parzialmente le cose, ma ora che la sovranità monetaria è nelle mani della BCE, la sola via percorribile è quella di una sorta di “svalutazione interna”: per la Grecia si parla della necessità di un taglio dei salari pari al 20%.
 
Il pugno di ferro del Capitale...
Per evitare un crollo sistemico dell’euro, tutte le istituzioni europee, così come le cancellerie di Berlino e Parigi, hanno imposto a questi Paesi di rientrare entro 3 anni nei parametri di Maastricht, portando cioè il deficit al 3% del Pil, e allo stesso modo hanno individuato chi deve farsi carico di questa cura draconiana: i lavoratori.
Taglio o congelamento degli stipendi e delle pensioni, aumento della tassazione diretta e indiretta (iva), riduzione del welfare state, aumento della precarietà lavorativa, questa la ricetta che dovrebbe riportare la situazione sottocontrollo.
Tuttavia questo piano di correzione dei conti si trova ad affrontare varie complicazioni. Alcuni economisti sostengono che cure così draconiane rischiano di avere l’effetto contrario a quello previsto, rendendo più difficile un’eventuale ripresa nella crescita economica.
 
… e la corazza d'acciaio dei lavoratori
Ma l’ostacolo maggiore a questo “piano quasi perfetto” lo pongono le masse lavoratrici. Mentre scriviamo si sono svolti in Grecia, per la seconda volta in due settimane, e in Spagna, per la prima volta da quando governa Zapatero, scioperi generali e manifestazioni contro tali scelte di austerità: scelte avanzate, è bene ricordarlo, da due esecutivi di centrosinistra. I lavoratori di Paesi che hanno salari tra i più bassi del continente non sono certo d’accordo nel dover pagare il costo delle politiche di aggiustamento finanziario proposte (per la Spagna si parla di tagli alla spesa pubblica di 50 miliari di euro).
Il match è appena iniziato, e alla fine non ci saranno abbracci e fraterne bevute tra i contendenti, ma solo vincitori e vinti.
I proletari di Grecia e Spagna stanno giocando la “partita della loro vita”, e i lavoratori del resto d'Europa devono tifare per loro... entrando in campo contro la medesima squadra avversaria: i governi borghesi di tutto il continente.
 
 

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