Dopo il voto sul
rendiconto finanziario dello Stato, Berlusconi ha dovuto prendere atto di non
avere più una maggioranza parlamentare che lo supportasse, annunciando così le
sue imminenti dimissioni. Si aprono ora diversi scenari politici, tutti permeati
da un elemento inconfondibile: la crisi di governo viene formalmente pilotata da
Napolitano, ma sono le istituzioni internazionali del capitalismo (Bce, Ue e
Fmi) e la grande borghesia italiana a decidere effettivamente la risoluzione
della questione. Appare quasi certo che Napolitano affidi un mandato esplorativo
a Monti (uomo dell'Ue, già commissario comunitario alla Concorrenza), e che
quest'ultimo riesca a raggruppare intorno a sé un'ampia maggioranza trasversale
che gli consenta di tradurre in realtà l'ennesimo massacro sociale che
Berlusconi aveva prefigurato qualche settimana fa, nella lettera inviata a
Bruxelles.
Un governo “tecnico”,
che di tecnico non ha proprio nulla, se si pensa che le ricette proposte per
uscire dalla crisi capitalistica saranno nel segno di quelle imposte dalle
istituzioni del capitalismo internazionale. Abolizione delle pensioni di
anzianità, allungamento dell'età pensionabile, disarticolazione della già labile
rete di tutela dei diritti dei lavoratori, pareggio di bilancio con la scure dei
tagli che si abbatterà su quel che resta dello stato sociale italiano. Questi
saranno solo alcuni dei provvedimenti che il prossimo Esecutivo adotterà per
riuscire in ciò in cui Berlusconi non ha mostrato la dovuta affidabilità: far
pagare la crisi ai lavoratori, ai disoccupati, ai pensionati, ai precari ed ai
giovani.
A fronte di questo
governo in gestazione, la Sel di Vendola, che è ormai il principale partito di
una socialdemocrazia sempre più a destra, apre, criticamente (s'intende) "a
determinate condizioni". In questo modo Vendola, così come la restante
parte della sinistra governista, Rifondazione, aspetta senza dare troppo
fastidio nell'attesa di rientrare nei giochi nel successivo governo di
centrosinistra che probabilmente si costituirà dopo le elezioni (siano esse nel
2012 o nel 2013): Sel con un ruolo di primo piano sulla tolda di comando,
Rifondazione (sempre che la riprendano) come mozzo.
Altro scenario, meno
probabile, è quello che si vada a elezioni in tempi brevi. Dall'altro versante
si presentrebbe un centrosinistra formato dall'alleanza Pd-Sel-Idv, con Prc e
Pdci ad elemosinare qualche briciola per ottenere seggi parlamentari o posti nel
sottobosco governativo. Entrambi gli schieramenti, è evidente, si paleseranno
(ma lo hanno già fatto in un passato più o meno recente) come dei fedeli
esecutori dei diktat dei poteri forti italiani (Confindustria in testa) e delle
istituzioni monetarie e finanziarie internazionali.
Come si vede, che si
vada a elezioni subito o dopo un intermezzo con Monti, l'attacco ai lavoratori
prosegue, mentre le burocrazie sindacali e politiche si adoperano solo per
fermare la crescita di quelle lotte che servono per fermare l'attacco.
La
sola alternativa è, in sintonia con quanto avviene in tante parti d'Europa,
rilanciare un movimento contro tutti i governi capitalistici; avanzare
un programma di rottura
rivoluzionaria rispetto ad ogni tipo di soluzione offerta-imposta dalla
borghesia nazionale ed internazionale e dalle sue istituzioni; costruire da
subito un grande sciopero generale unitario.
Soltanto lo sviluppo delle
mobilitazioni, con l'acquisizione da parte di larghe masse della consapevolezza
dell'irriformabilità del capitalismo in tutte le sue forme (finanziario,
industriale, ecc.), potrà garantire un'uscita dalla crisi in cui a saldare
il conto siano coloro che l'hanno provocata: industriali, banchieri, mercati
finanziari ed i loro maggiordomi "di sinistra".