Partito di Alternativa Comunista

Dopo il 15 ottobre

Dopo il 15 ottobre
La nostra proposta
per far crescere il movimento
Serve un programma realistico, cioè rivoluzionario
 
 
 
di Francesco Ricci
(editoriale di Progetto Comunista di dicembre)
 
Scrivevamo nell'editoriale del numero precedente che lo sviluppo delle lotte in Italia continua a essere frenato più che altrove perché, più che altrove, qui è ancora forte l'influenza delle burocrazie sindacali e politiche, della Cgil ma anche della Fiom, così come della socialdemocrazia: Sel in testa e, a seguire, Rifondazione. Al contempo non emergono per ora alternative in grado di contrastare la burocrazia Cgil e, nel campo politico, non risulta sufficientemente forte una alternativa rivoluzionaria al riformismo.
Ma tutte le barriere erte dalle burocrazie sono destinate a essere incrinate da una prevedibile crescita delle lotte operaie e studentesche: prevedibile perché le lotte, pur con ritmi anche molto differenti, coinvolgono ormai tutta l'Europa e il movimento degli "indignati" contro le miserie del capitalismo sta incendiando pure altri continenti. Ovunque - dall'Europa agli Stati Uniti - fortissima continua a essere l'influenza delle rivoluzioni che divampano nel Nord Africa e in Medio Oriente.
 
Un movimento internazionale
Mentre la Grecia rimane la punta più avanzata delle lotte di classe in Europa, il contagio delle piazze egiziane, tunisine, libiche si è esteso anche nel Paese imperialista che da alcuni decenni sembrava immune da lotte di questa portata: gli Stati Uniti.
Nelle ore in cui scriviamo questa nota, diverse piazze statunitensi vengono sgomberate dalla polizia di Obama. Cariche a cavallo e scontri si susseguono. Sono la risposta della borghesia alla preoccupante (per loro) crescita di una lotta che non è ormai più solo studentesca e giovanile ma che coinvolge i lavoratori che entrano in campo e lo fanno con i loro metodi: a partire dagli scioperi. Come è il caso, esemplare e bellissimo (da studiare), di Oakland (San Francisco), dove dall'occupazione delle piazze si è passati allo sciopero che ha paralizzato tutto: uffici, trasporti, porto. Uno sciopero in cui (secondo quanto scrivono i giornali borghesi) sono comparsi cartelli con richiami... a Lenin e alla rivoluzione.
 
La particolarità italiana
Se il quadro in Italia rimane arretrato non è perché non ci sia necessità di una risposta di massa all'attacco borghese ma perché, come dicevamo, non si è ancora riusciti ad infrangere le barriere, strappare la camicia di forza imposta al movimento dalle burocrazie. Con la Cgil che usa gli scioperi, sporadici, come valvola di sfogo per far abbassare la pressione delle lotte. Con la Fiom che, per bocca del suo principale dirigente, Landini, parla della necessità di "raffreddare il conflitto". Con i sindacati di base che continuano a marciare separati, costruendo scioperi distinti a distanza di pochi giorni (in questo si contraddistingue il sindacato Usb, purtroppo orientato in questa logica folle dal micro-gruppo stalinista della Rete dei Comunisti che lo eterodirige dall'ombra).
Sul piano politico le cose non cambiano. Le due principali forze di quanto resta della socialdemocrazia aspettano solo il turno per imbarcarsi, dopo le elezioni, in un futuro governo di centrosinistra, basato sul programma degli industriali e dei banchieri esattamente come l'attuale governo Monti. E' questo che spiega la linea tanto della Sel di Vendola come del Prc di Ferrero di fronte al nuovo governo in servizio temporaneo. Nessuna delle due forze ha parlamentari e quindi non è costretta ad assumere nell'immediato delle responsabilità dirette con Monti. Così Sel (che vuole accreditarsi definitivamente agli occhi della borghesia come una forza "responsabile") alterna timide aperture a critiche superficiali. Mentre Rifondazione si colloca formalmente all'opposizione: di Monti ma senza farsi troppo notare, per non apparire come una forza indegna di essere assunta a servizio nel prossimo governo a guida Pd: governo a cui fornirà un appoggio esterno in nome della "alleanza democratica" contro Berlusconi (oops, pardon: contro le destre, visto che nell'attesa Bersani sostiene proprio insieme a Berlusconi il governo di "unità nazionale").
 
Il dibattito nel movimento dopo il 15
Intanto, nel movimento, che pure ha saputo mettere in campo una forza notevole sia nelle manifestazioni studentesche di questi mesi, sia negli scioperi operai (seppure convocati con altre finalità dalle burocrazie), sia nella grande piazza del 15, il dibattito è paralizzato sugli incidenti di quella manifestazione e inchiodato a piattaforme arretratissime che si scontrano con le esigenze di contrastare realmente e subito l'attacco anti-operaio.
Sul 15 ottobre non aggiungiamo nulla a quanto abbiamo già scritto sul nostro sito. La manifestazione è stata volutamente caricata dalle "bande armate del Capitale", cioè dalle polizie, con l'intento di soffocare sul nascere una piazza che si annunciava imponente. A questo scopo sono stati utilizzati (ma se non ci fossero stati li avrebbero inventati, come le polizie di tutto il mondo fanno da sempre) gli infantilismi dei vari gruppetti pseudo-anarchici che pensano di distruggere il capitalismo mandando in pezzi qualche vetrina.
Non a caso, mentre noi difendiamo dalla repressione dello Stato borghese tutti i giovani arrestati (inclusi gli sfascia-vetrine, verso cui non abbiamo nessuna simpatia politica), la gran parte della sinistra con aspirazioni governiste si è schierata, più o meno apertamente, con l'ordine borghese. Il più scandaloso è stato Vendola che, dopo aver elogiato "il poliziotto che accarezza un manifestante" (traduzione poetica di una prosa densa di pestaggi bestiali), ha chiesto "un più efficace intervento preventivo dei servizi segreti": cosa davvero di cattivo gusto in un Paese in cui i servizi, coadiuvati dalle forze in divisa, hanno dimostrato per decenni la loro efficacia mettendo bombe nelle piazze e nelle stazioni. Ma non tanto diverso è stato l'atteggiamento di Rifondazione che è tornata, con Ferrero, ad alzare osanna agli dei della non-violenza (purtroppo rivelatisi negli ultimi secoli piuttosto distratti e del tutto inefficaci di fronte alle cariche dei celerini). Così la massa dei manifestanti si è trovata in piazza priva di qualsivoglia organizzazione di autodifesa.
Non è un caso. La sinistra aspirante governista deve dimostrare di riconoscere come unico uso legittimo della forza quello dello Stato, nelle loro fantasie organo metafisico sopra le classi, nella realtà strumento repressivo dei padroni. Niente di strano per chi aspira a rivestire in quello stesso Stato le grisaglie ministeriali (o perlomeno, come è il caso di Ferrero, quelle parlamentari).
 
Serve un programma realistico, cioè rivoluzionario
Al centro della discussione, oltre alla questione che diventerà sempre più importante, a misura che crescerà il movimento, di come difenderci nelle piazze e negli scioperi, restano due aspetti decisivi. Primo, il programma con cui far crescere il movimento. Secondo, l'organizzazione del movimento.
L'assenza di una direzione rivoluzionaria con influenza di massa si riflette nel fatto che anche alle lotte più avanzate che già si stanno sviluppando in alcuni Paesi non corrispondono programmi altrettanto avanzati. Il problema è tanto più forte qui da noi dove la lotta non è ancora ai livelli di quella greca. E' così che le piattaforme programmatiche messe in campo dalle forze della sinistra riformista o da quella semi-riformista o centrista riflettono solo un insieme di pregiudizi anti-comunisti. Un vero paradosso per un movimento che nasce e si sviluppa contro i mali inemendabili del capitalismo ma che non riesce ad opporre a questa società in putrefazione l'unica società in grado di sostituirla, quella basata sul potere degli operai e sulla proprietà collettiva dei mezzi di produzione e di scambio.
Questi pregiudizi (che in definitiva onorano il capitalismo del titolo di unico sistema possibile) fioriscono nei vari programmi in "cinque punti" (o quattro o sei) proposti dai vari leader e strutture, ad esempio dal "coordinamento 1 ottobre" in cui si accodano a Cremaschi e a Usb settori che si auto-considerano più radicali, come Sinistra Critica, Pcl, ecc., tutti pronti ad accettare nei fatti (pur con distinguo, precisazioni, postille, premesse e pinzillacchere) una piattaforma che si presenta come "discriminante" e dunque che deve da tutti essere accettata e poi (solo poi) al più arricchita da chi lo desideri, con glosse marginali. Una piattaforma ordinata attorno all'obiettivo di "una rivoluzione democratica" per imporre... i valori della Costituzione repubblicana (quella, per intenderci, che santifica la proprietà privata dei mezzi di produzione). Altre piattaforme non molto dissimili nell'essenziale stanno girando nel movimento. Sono tutti programmi che, al di là della loro non condivisibilità, non si prefiggono nemmeno di far crescere le lotte in vista di una realizzazione degli obiettivi limitati che contengono. Sono solo parole in libertà la cui funzione è ingabbiare un movimento ancora confuso dentro a un programma di obiettivi che non diano fastidio a nessuno perché sono minimali o astratti (o le due cose insieme). Nessun serio borghese si spaventa davanti a simili programmi: anzi, ne ride in privato e pensa a come meglio utilizzare al suo servizio chi li propone. Anche un Ferrero, elettoralmente dato a un misero 1%, può rivelarsi utile per indirizzare le lotte verso le secche del riformismo.
Un ostacolo da infrangere sono allora tutti i tabù imposti dai riformisti (e accettati dai gruppi centristi, con dosi variabili di critica). In una società in cui una ristrettissima minoranza si appropria delle ricchezze prodotte dalla maggioranza che lavora; in un mondo in cui di 6.800 milioni di abitanti 3.000 (tre miliardi!) sono denutriti e il 40% della popolazione vive con meno di 2 dollari al giorno; in un Paese (l'Italia) in cui il 38% della popolazione in età lavorativa è tenuta fuori dal lavoro; si può parlare o no di esproprio e nazionalizzazione sotto controllo dei lavoratori delle grandi aziende e delle banche? Altro che "beni comuni" e "referendum sul debito" (ecco l'ultima trovata) o slogan vuoti e pieni solo di un misero keynesismo! Altro che i "rigorosi vincoli pubblici alle multinazionali" di cui parlano Cremaschi e il suo variegato seguito!
Siamo il 99%: è uno degli slogan del movimento. Certo: ma finché il potere politico ed economico rimane saldamente in mano all'1%, finché non si lotta per rovesciare le politiche dei governi di centrodestra e di centrosinistra, finché non si sostiene con le lotte un piano operaio contro la crisi (che passi attraverso l'esproprio degli espropriatori), finché non si fa tutto questo la forza che ci viene dal nostro essere la maggioranza dell'umanità rimarrà inutilizzata.
Diverso è il programma che secondo Alternativa Comunista corrisponde oggi alle necessità reali. Un programma da articolare ulteriormente ma che abbia come punti fondamentali:
- No al pagamento del debito! Questo non è il nostro debito: è il debito dei padroni, dei banchieri e dei loro governi!
- Ritiro delle manovre finanziarie di Tremonti e Berlusconi! Diminuzione dell’età pensionabile, no al licenziamento dei lavoratori pubblici, no alla privatizzazioni dei servizi!
- No agli ammortizzatori sociali (cassa integrazione, mobilità, contratti di solidarietà, ecc): i lavoratori hanno diritto ad uno stipendio dignitoso e a un posto di lavoro sicuro!
- Assunzione a tempo indeterminato di tutti i lavoratori precari! Scala mobile delle ore di lavoro!
- Chiusura dei Cie! Permesso di soggiorno per tutti gli immigrati!
- Scuola laica, pubblica e gratuita! Piano di finanziamenti per la scuola pubblica!
- Esproprio delle banche private e creazione di un'unica banca di Stato messa al servizio dei lavoratori!
- Esproprio sotto controllo dei lavoratori delle aziende che chiudono e licenziano!
- Opposizione di classe al governo Monti! Cacciamolo con uno sciopero generale! Per un governo dei lavoratori che realizzi queste misure! Per un’Europa socialista!
 
L'organizzazione democratica della lotta
A un differente programma deve corrispondere, questa è la nostra opinione, anche una differente strutturazione della lotta, che consenta di unificare i comitati locali (sorti in occasione del 15 ottobre o da costituire dove mancano) in una grande comitato nazionale in cui le decisioni vengano assunte democraticamente. Respingendo forme del tutto anti-democratiche come le "decisioni per consenso", che in realtà, come la pratica ci insegna, nascondono decisioni assunte dai auto-nominati leader alle spalle delle assemblee. Ogni partito, sindacato o associazione della sinistra deve poter intervenire con le proprie posizioni in ogni manifestazione, lotta, assemblea, così come deve poterlo fare ogni singolo compagno non facente parte di nessuna struttura organizzata. Ma poi le decisioni si devono prendere non con accordi tra organizzazioni (accordi spesso fatti col bilancino, in virtù di "pesi" che prescindono dalla reale rappresentanza in una assemblea). Non si deve decidere sopra la testa di coloro che effettivamente si mobilitano ma sulla base del consenso reale che ogni posizione guadagna in assemblea. Dunque: una testa, un voto.
E' questa la proposta organizzativa diversa che noi sosteniamo e che ha un senso in relazione alla proposta programmatica diversa che avanziamo.
Un programma per far crescere le lotte, forme di autodifesa del movimento e delle sue piazze, e un'organizzazione democratica che corrisponda a questo scopo. Ecco ciò di cui abbiamo bisogno per arrivare, come dicono i francesi, jusqu'au bout. Fino in fondo.

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