LA NUOVA CORSA GOVERNISTA DEL PRC,
IL PDAC UNICA LISTA DI CLASSE
In direzione esattamente opposta va invece il gruppo dirigente del Prc. Nulla di nuovo: almeno per noi e chi ci legge. Non avevamo creduto l'altro ieri alla "svolta a sinistra" di Ferrero; abbiamo denunciato e denunciamo ieri e oggi il vero corso, immutabile, organicamente riformista e quindi teso alla collaborazione di classe della direzione riformista.
Dopo quello che abbiamo definito il "calo della maschera" da parte di Ferrero nei mesi scorsi (con l'apertura esplicita a un'alternanza post-berlusconiana che veda nuovamente il Prc fungere da sgabello di un governo del Pd, financo accettando un governo a guida Casini), la linea tenuta dal Prc alle regionali costituisce solo una conferma.
Come sempre, il gruppo dirigente di Rifondazione aveva specificato nei mesi scorsi che avrebbe considerato le alleanze col Pd "una per una", verificando in ogni situazione l'esistenza di possibili "accordi di alto livello programmatico". Immancabilmente, gli accordi "di alto livello programmatico" sono stati raggiunti in tutte le regioni d'Italia, con l'eccezione di Lombardia, Marche e Campania.
Davvero difficile per Ferrero far credere a chiunque sia dotato di buon senso che le tre eccezioni confermerebbero il "rigore programmatico" del Prc. A meno di non voler credere che uno dei principali partiti della borghesia italiana, il Pd, si sia improvvisamente trasformato in un partito che difende i lavoratori in tutte le regioni (la maggioranza) in cui il Prc si è alleato col centrosinistra. A meno, ancora, di non voler credere che Emma Bonino nel Lazio, leader di uno dei partiti più reazionari, più filo-imperialisti e guerrafondai, alfiere persino di crociate contro i diritti sindacali dei lavoratori (l'articolo 18), "liberale e liberista", incarni in qualche modo, seppure vagamente, un programma compatibile con gli interessi anche minimi dei lavoratori.
E l'esempio della Bonino valga per tutte le altre regioni dove -ovviamente- il centrosinistra è lo stesso che ha gestito nazionalmente per due volte con Prodi (e col Prc) gli interessi dell'imperialismo italiano; è lo stesso che ha gestito gli affari della borghesia nelle regioni, nelle provincie e nei comuni (spesso con l'ausilio degli assessori del Prc). E' lo stesso di Lombardia, Campania e Marche, con una sola differenza: in queste tre regioni il Pd ha scaricato Rifondazione (che fino all'ultimo ha implorato un accordo).
Ecco perché all'interno del Prc, tra gli attivisti, si sono espresse molte voci di dissenso (come sempre ignorate dai dirigenti).
Dunque le elezioni regionali non sono per i ferreriani quello che dovrebbero essere per i comunisti: un'occasione di rilanciare le lotte, l'occupazione dei tetti, gli scontri degli operai dell'Alcoa con la polizia, gli scioperi di Termini Imerese, ecc; non sono un momento in cui propagandare l'opposizione alle misure anti-crisi volute dalla borghesia di ogni colore politico e avanzare un programma di classe per risolvere la crisi: no, per i dirigenti di Rifondazione le elezioni sono solo un tentativo di rientrare nei giochi, guadagnare qualche poltroncina, in vista di un rilancio su scala nazionale dell'accordo di governo con la borghesia. Da questo punto di vista, il risultato per Ferrero è buono e le regionali possono davvero diventare una prova generale del nuovo grande abbraccio con i banchieri per il post-Berlusconi. Sempre che le cifre elettorali della Federazione non scendano ulteriormente. Viceversa, un ulteriore crollo elettorale porterebbe a nuove crisi e strappi interni alla burocrazia dirigente di quei partiti (un "si salvi chi può"), a un ulteriore indebolimento dell'ormai esangue corpo militante, e di conseguenza renderebbe il Prc uno strumento socialdemocratico (cioè di contenimento delle lotte) scarsamente credibile e utilizzabile per i padroni.
L'altro dato che emerge dalla presentazione delle liste per le regionali (se si trascurano i divertenti incidenti del Pdl in Lazio e Lombardia) è il clamoroso flop del Pcl ferrandiano, con annessa recita di presentazioni simulate, immaginarie.
Come è noto a tutti (e non da oggi) le leggi per partecipare alle elezioni borghesi sono confezionate per garantire un minimo di credibilità a una presunta competizione "democratica" e un massimo di esclusione delle liste esterne al gioco dell'alternanza tra i due schieramenti. E' questo uno dei motivi per cui come Pdac, anche in occasione di queste regionali, avevamo pubblicamente proposto alle altre organizzazioni che come noi si collocano a sinistra del Prc, incluse quindi Sinistra Critica e Pcl, di discutere di una presentazione congiunta che, pur senza voler cancellare le tante (e profonde) differenze, rendesse possibile presentare in tutta Italia liste di esplicita opposizione ai due poli guidati da Pd e Pdl, utilizzando la campagna elettorale per rendere più visibile le ragioni di classe dei lavoratori e delle masse proletarie, ragioni contrapposte a quelle di industriali e banchieri equamente ripartiti tra Pd e Pdl.
Sinistra Critica ha gettato subito la spugna e ha rimosso le elezioni, manifestando un disinteresse che assomiglia molto a quello della volpe con l'uva. Confermando così di non essere in grado di organizzare una presentazione nazionale: esattamente come il Pdac e il Pcl, essendo tutti e tre della stessa piccola taglia (anche se gli unici a riconoscerlo siamo noi).
Il Pcl invece ha iniziato mesi fa a diramare comunicati altisonanti. Ferrando ha spiegato che essendo il suo (a differenza degli altri, tanto più del Pdac, definito "piccola setta") un partito "radicato in ogni regione e provincia", "dell'1%" (cifra calcolata con una aritmetica esoterica), "di tremila militanti", si sarebbe presentato in tutta Italia: "in campo nonostante le leggi anti-democratiche", titolava infatti ancora qualche ora fa l'ultimo dei comunicati. Lasciando intendere (nel comunicato precedente) che solo in due regioni (Veneto e Puglia) non ci sarebbe stata la lista Pcl. A loro volta, la dozzina di gruppi effettivamente attivi del Pcl hanno annunciato con comunicati locali la presunta presentazione.
Dobbiamo riconoscere (sarà un nostro limite) che continua a sfuggirci la sottile astuzia di questa tattica. L'invenzione dei numeri ha infatti reso un po' di spazio mediatico al Pcl negli anni scorsi: ma alla lunga gli imbrogli sui numeri, oltre a rappresentare una presa in giro nei confronti dei lavoratori, vengono scoperti anche dai giornalisti più tonti. In questo caso, poi, la verifica era a stretto giro. Scaduti i termini per la presentazione delle liste cosa si è scoperto? Che il Pcl non si presenterà in nessuna regione. Ma con un nuovo comunicato Ferrando sorvola sul fatto che le presentazioni annunciate erano inventate e protesta invece (invocando giudici e tribunali) sulla esclusione del Pcl... in Calabria (mentre l'eventuale accoglimento del ricorso in quella regione non modificherebbe la mancata presentazione in tutte le altre (1).
Ecco a quali grotteschi disastri conduce un'idea tutta mediatica e virtuale della costruzione del partito: un approccio che rimuove il problema di costruire quel partito comunista con influenza di massa che oggi ancora manca.
Come Pdac, dopo aver preso atto della consueta scelta autoreferenziale delle due organizzazioni che definiamo centriste (cioè oscillanti tra pratica riformista e dichiarazioni rivoluzionarie), Pcl e Sc; consapevoli dell'impossibilità di presentarci su scala nazionale, abbiamo concentrato gli sforzi per presentarci in una delle regioni su cui vi è maggiore attenzione: la Puglia. Qui si presenteranno tre candidati di schieramenti borghesi (centrosinistra, Pdl, Udc), uno dei quali, Vendola, sostenuto dai frammenti della sinistra governista (Prc, Pdci, Sel). La ricandidatura di Vendola (strappata contro una parte degli apparati del Pd) non ha nessun carattere progressista: Vendola ha governato in questi anni per conto del grande capitale in regione: non a caso ha il pieno sostegno dei principali esponenti borghesi (alcuni dei quali sono direttamente candidati nella sua lista).
La nostra ottica non è quella di raccogliere voti. Noi, che pure abbiamo raccolto in ogni elezione in cui ci siamo presentati la stessa media delle altre due forze a sinistra del Prc (circa un mezzo punto), a differenza degli altri non abbiamo mai ingigantito questo modesto risultato elettorale. Essendo marxisti crediamo che le elezioni borghesi siano solo un possibile strumento accessorio della battaglia nelle piazze e nei luoghi di lavoro. Per questo facciamo una campagna elettorale su un programma di rivendicazioni transitorie, che cerchino cioè di legare le esigenze primarie dei lavoratori in questa fase a una prospettiva rivoluzionaria e socialista, una prospettiva di potere dei lavoratori.
La stessa cosa faremo in Puglia, candidando Michele Rizzi a presidente della regione, in una lista composta da operai di fabbriche in lotta, precari, disoccupati. Tutti protagonisti dei movimenti di questi anni, di opposizione alla giunta Vendola: lotte in cui il Pdac è stato partecipe e protagonista.
Essendo l'unica lista che si presenta a sinistra del Prc (anche se purtroppo in una sola regione), e dunque l'unica realmente fuori e contro i due poli dell'alternanza borghese, pur consapevoli della scarsità dei nostri mezzi cercheremo di utilizzare questo mese di campagna elettorale non per nostri fini particolari o elettorali (non ne abbiamo) ma come cassa di risonanza delle lotte operaie che attraversano la Puglia e tutto il Paese. Sarà un mese di propaganda su un programma rivoluzionario, attorno alle parole d'ordine: la crisi la paghino i padroni, l'unica soluzione sono le lotte dei lavoratori, l'occupazione delle fabbriche che chiudono o licenziano. Non semplici slogan: ma obiettivi che gli operai e i giovani pugliesi della nostra lista stanno già praticando.