Sciopero ad oltranza, occupazioni e blocco degli scrutini!
Per spiegare in poche parole in che cosa consiste questa "riforma", vogliamo citare uno degli spot pubblicitari usati in internet dal Ministero dell'Istruzione per sponsorizzarla: "il numero delle ore di lezione si riduce in tutti gli indirizzi per rendere più sostenibile il carico orario delle lezioni per gli studenti" (vedere per credere: www.nuovesuperiori.indire.it). Al di là dell'involontaria ironia e degli esercizi di retorica, il senso della "riforma" è evidente: tagliare risorse alla scuola pubblica, con un risparmio di molti milioni di euro sulla pelle degli insegnanti e degli studenti.
Dopo la "riforma" delle elementari, ora è la volta dell'istruzione superiore. Nel complesso, sono più di 150 mila i posti di lavoro che, in tre anni, verranno sacrificati, con grande gioia del ministro Tremonti: un piano di licenziamento che - è bene ricordarlo - è stato avviato dal precedente governo Prodi (sono più di 50 mila i tagli predisposti dal ministro Fioroni col benestare di tutti i partiti che allora sostenevano l'esecutivo di centrosinistra, dal Pd a Rifondazione Comunista).
L'innalzamento del numero di alunni per classe (le classi di 35 alunni diventeranno la norma), la riduzione delle ore di quasi tutte le discipline in tutti gli istituti, la totale cancellazione di alcuni insegnamenti da alcuni indirizzi, il ridimensionamento generale dei quadri orari, la chiusura delle scuole serali per i lavoratori, comporteranno disagi per tutto il personale: persino molti insegnanti di ruolo saranno costretti a trasferirsi in altri istituti o andranno in esubero.
I primi a essere colpiti saranno i lavoratori precari (circa 200 mila) che - dopo anni o decenni di lavoro, concorsi, corsi di abilitazione o perfezionamento - si troveranno in una condizione peggiore, se possibile, dell'attuale: l'assunzione a tempo indeterminato diventerà un miraggio, la disoccupazione una certezza.
Questo pesantissimo attacco all'Istruzione e ai lavoratori della scuola avviene in un contesto già deteriorato da altre misure volute dai ministri Brunetta e Gelmini: innalzamento dell'età pensionabile per le donne, approvazione del decreto Brunetta (che comporterà la definitiva trasformazione delle scuole in aziende, con l'introduzione di una gerarchia tra i dipendenti della pubblica amministrazione sulla base di criteri aziendalistici), tagli ai finanziamenti per i servizi amministrativi.
Per capire lo stato di degrado in cui già ora versano gli istituti pubblici vogliamo citare due esempi di ordinaria follia. Primo: il Ministero ha deciso di tagliare del 25% i fondi per le pulizie nelle scuole che già da tempo vengono appaltate alle ditte esterne. Alcuni uffici scolastici regionali consigliano di "pulire a giorni alterni" (sic!), con la conseguente trasformazione degli istituti in immondezzai. Secondo: le scuole, che versano in uno stato di degrado permanente, devono spesso anticipare i soldi che non arrivano dal ministero (in media ogni scuola ha un credito con lo Stato pari a varie decine di migliaia di euro), cosa che si traduce nella richiesta di contributi alle famiglie anche per pagare i supplenti (che in alternativa non vengono pagati).
Tutto questo avviene mentre continuano ad aumentare i finanziamenti pubblici alle scuole private (in gran parte di matrice confessionale). Si cita spesso - sulla stampa vicina al centrosinistra e in alcune trasmissioni televisive critiche nei confronti del governo - il caso della Lombardia, che ha aumentato i bonus per gli studenti che vogliono frequentare le scuole private. Ma si dimentica che è stata una Regione di centrosinistra, l'Emilia Romagna, a introdurre per la prima volta i finanziamenti pubblici alle scuole private (con la Legge regionale Rivola, poi riconfermata e peggiorata dalla Legge regionale Bastico). Similmente, le amministrazioni locali - comunali, provinciali, regionali - di qualsiasi colore non mancano di elargire fior fior di contributi pubblici alle scuole private delle curie (a partire dalle materne). Non solo: è stato un governo di centrosinistra (il governo D'Alema) a varare nel 1999 la famigerata legge sulla Parità scolastica, che ha equiparato le scuole private a quelle pubbliche, con la conseguente apertura ai finanziamenti dello Stato. E, sempre per rinfrescare la memoria, ricordiamo che sono stati prima Berlinguer negli anni Novanta e poi Bersani nel 2007 a permettere - ben prima di Brunetta - la definitiva trasformazione di tutte le scuole in "Fondazioni di diritto privato".
Lo smantellamento dell'istruzione pubblica si inserisce infatti in un più generale piano di privatizzazione dell'istruzione voluto dalla borghesia e di cui entrambi gli schieramenti politici (centrodestra e centrosinistra) sono gli esecutori materiali. Il fatto che oggi il governo Berlusconi regali aumenti di stipendio solo agli insegnanti di religione (nominati dalle curie) è la ciliegina su una torta cucinata con ricetta bipartisan per la gioia del Vaticano.
Al di là della perdita dei posti di lavoro, la "riforma" della scuola superiore si tradurrà anche in un immediato scadimento dell'offerta formativa (già ridotta all'osso per il taglio dei finanziamenti pubblici) per gli studenti. E' prevedibile che, in virtù dell'automomia finanziaria degli istituti, aumenteranno sempre più le spese a carico delle famiglie. Non solo: la netta distinzione fra percorsi liceali da una parte e percorsi tecnici e professionali dall'altra tende ad accentuare, fin nel percorso formativo, le differenze di classe. La scuola di eccellenza sarà riservata alle istituzioni private (inaccessibili ai figli dei lavoratori), i licei statali rappresenteranno un tassello intermedio, mentre l'istruzione tecnica e professionale subirà uno scadimento in quanto ricettacolo dei figli di proletari. Verranno, in generale, cancellate o ridotte in tutti gli istituti discipline importanti come la storia e la geografia, le ore di laboratorio e le conversazioni in lingua straniera. Ma si tratta solo di pochi esempi tra i tanti che si potrebbero fare.
Anche e soprattutto i figli dei lavoratori immigrati - in gran parte iscritti negli istituti tecnici e professionali - faranno le spese di questa ristrutturazione. Il governo ha infatti imposto un tetto massimo del 30% per gli studenti stranieri nelle classi. Un fenomeno reale - cioè quello della presenza nelle scuole di studenti immigrati privi spesso di una buona conscenza della lingua italiana a causa dell'assenza di adeguati servizi a loro rivolti, come i corsi di alfabetizzazione - diventa l'occasione per fomentare fenomeni di esclusione e attuare politiche razziste. L'ipocrisia di questo provvedimento è evidenziata dal fatto che, anziché potenziare i corsi pomeridiani di alfabetizzazione, semplicemente li si smantella.
A tutto ciò va aggiunto il decreto che consente di sostituire l'ultimo anno obbligatorio a scuola (16 anni) attraverso contratti di apprendistato nelle aziende: una manna dal cielo per le aziende che, mentre licenziano milioni di lavoratori, potranno attingere a questa risorsa a basso costo; un danno per gli studenti, che si vedranno privati anche del diritto a un'istruzione di base.
Se si è arrivati a tutto questo è anche perché, nelle scuole, nonostante la generosa ondata di lotte studentesche dello scorso anno, non c'è stata un'adeguata risposta - soprattutto negli istituti superiori, che proprio per questo sono i più colpiti ora dalla mannaia del governo - da parte dei lavoratori. Di questo sono responsabili anzitutto le burocrazie dei principali sindacati, incluse quelle della Cgil, che pure ora si colloca su un terreno di opposizione di facciata. La straordinaria riuscita dello sciopero unitario del 30 ottobre 2008 e la volontà di lotta da parte dei lavoratori della scuola emersa in quell'occasione è stata tradita o dispersa dalle burocrazie sindacali. Se la Cisl e gli altri sindacati filogovernativi hanno gettato acqua sulla protesta nella speranza di raccogliere qualche briciola dal tavolo del governo, la direzione della Cgil (sindacato che nella scuola conta una buona presenza in termini di iscritti) non ha fatto nulla per creare uno stato di agitazione nelle scuole, preferendo alimentare illusioni su una improbabile bocciatura della riforma da parte degli organismi della magistratura borghese. Al contempo, anche alcuni settori del sindacalismo di base hanno oscillato tra pulsioni settarie (per esempio rifiutandosi di partecipare a scioperi e mobilitazioni di massa perché indette da sindacati concertativi) e battaglie al ribasso (centrate sulla "resistenza individuale" nelle scuole).
Chi ha pagato sono i lavoratori, in primis i precari, che si sono visti precipitare addosso un macigno. Sono nati o stanno nascendo in tutta Italia coordinamenti o comitati di lotta di precari della scuola (spontanei o legati alle organizzazioni sindacali), che chiedono il ritiro dei tagli e della riforma. Soprattutto, dai coordinamenti di lotta precari della scuola esce la richiesta alle organizzazioni sindacali di dare risposte forti, come il blocco degli scrutini di fine anno.
In occasione dello sciopero della Cgil del 12 marzo - "sciopericchio" insufficiente sia per le modalità con cui è stato proclamato (solo 4 ore), sia per la piattaforma rivendicativa centrata sugli aspetti fiscali (una presa in giro dei milioni di lavoratori che stanno perdendo il posto di lavoro) - i Cobas della scuola hanno indetto uno sciopero di 8 ore e lanciato una manifestazione nazionale a Roma rivendicando il ritiro della riforma. E' un momento di lotta importante che occorre costruire fin da subito in ogni scuola, ma è evidente, anzitutto ai lavoratori, che lo sciopero non basta a scongiurare centinaia di migliaia di licenziamenti e un futuro di precarietà eterna per i precari della scuola. Servono risposte forti. Fin da subito occorre bloccare l'attività didattica nelle scuole (sono già iniziate le prime occupazioni di istituti da parte degli studenti insieme con i precari), costruire comitati di lotta in tutte le scuole per chiedere il ritiro della riforma, chiedere ai sindacati di trasformare lo sciopero di marzo in uno sciopero ad oltranza e di minacciare fin da subito il blocco degli scrutini di giugno.
Solo un'azione di massa che abbia come protagonisti i lavoratori della scuola, al fianco degli studenti, potrà respingere la distruzione in corso. Le burocrazie di quei sindacati che, facendo orecchie da mercante alle richieste dei coordinamenti di lotta dei precari della scuola, si rifiuteranno di sostenere un percorso di lotta dura (anche al di fuori delle compatibilità imposte dal sistema) si assumeranno la responsabilità di essere complici del governo nella distruzione della scuola pubblica e del licenziamento di migliaia lavoratori.
* coordinamenti di lotta dei precari della scuola