ESPLODE LA PROTESTA DI STUDENTI E RICERCATORI
La lotta contro i tagli all’istruzione pubblica ritorna a farsi sentire con forza
di Fabiana Stefanoni
Due anni fa per alcuni mesi le scuole e le università sono state attraversate in Italia da un movimento di protesta che, per la rapidità con cui si è diffuso, ha preso il nome di “Onda studentesca”.
Centinaia di atenei e istituti superiori occupati, assemblee permanenti, presidi di protesta pressoché quotidiani: era questo il volto che già allora assumeva la lotta contro i tagli all’istruzione pubblica. Pagando il conto per l’assenza di un’incisiva iniziativa da parte delle direzioni sindacali, il movimento, non riuscendo a saldarsi con le lotte dei lavoratori, si è in parte arenato. Ma, come scrivevamo due anni fa, in una fase come quella attuale caratterizzata dalla tendenza all’acuirsi dello scontro sociale, la fine di una mobilitazione può essere l’annuncio di una nuova ripresa, con un’aggiunta di forza e consapevolezza. Questo succede oggi nelle mobilitazioni contro il famigerato ddl Gelmini, che smantella quel poco che resta dell’università pubblica.
Il ddl Gelmini e le lotte dei ricercatori
In
realtà, la lotta contro il ddl Gelmini non si è mai veramente fermata. I
ricercatori – vittime sacrificali di un decreto che cancella per loro ogni
prospettiva di assunzione a tempo indeterminato – hanno dato vita a una rete
nazionale (la rete 29 aprile) per tentare di respingere l’attuazione del
decreto. Il gesto dei ricercatori che sono saliti sul tetto della facoltà di
architettura a Roma è un atto simbolico che viene dopo mesi di assemblee,
riunioni nazionali, proteste nei vari atenei. L’avvio dell’anno accademico in
tante città è stato rimandato a causa del blocco della didattica: ricercatori,
borsisti, assegnisti si sono rifiutati per settimane di svolgere esami e corsi
di insegnamento.
Ma
anche questa mobilitazione ha scontato l’assenza di una direzione politica e
sindacale in grado di rendere incisiva la lotta. I ricercatori su indicazione
delle burocrazie sindacali (Cgil in
primis) si sono illusi di poter fermare il decreto con appelli al
Presidente della Repubblica o con petizioni ai parlamentari affinché
“modificassero” il decreto. Il fatto stesso che i ricercatori sul tetto a Roma
abbiano accolto con stretta di mano i vari Bersani, Vendola, Di Pietro, Ferrero
e anche il finiano Granata (ovverossia i diretti responsabili della loro
precarietà) la dice lunga sul livello di consapevolezza di quelle che
dovrebbero essere le avanguardie di questo movimento. Il risultato è che il ddl
sta per essere approvato in Parlamento, con Bersani che, dopo essere stato sul
tetto, chiede alla Gelmini di ritirarlo solo per… “ridiscuterlo” con il Pd.
Occorre
che i lavoratori dell’università, così come quelli della scuola, prendano
coscienza che i partiti del centrosinistra stanno, esattamente come quelli del
centrodestra, dall’altra parte della barricata. Da Berlinguer a De Mauro, da
Fioroni fino al recente decreto Bersani (quello che trasformava gli istituti
scolastici in fondazioni di diritto privato), i governi di centrosinistra (con
il sostegno di tutti i rappresentanti della cosiddetta “sinistra radicale”,
inclusa la nuova speranza della sinistra Nichi Vendola) hanno inferto i colpi
più pesanti all’istruzione pubblica. Se oggi il ddl Gelmini trasforma definitivamente
le università in aziende (con consigli di amministrazione con una forte
presenza di soggetti privati come banche e industrie) è perché i governi del
centrosinistra, con le leggi sull’autonomia degli atenei, hanno iniziato
l’opera di privatizzazione.
Le lotte degli studenti: un salto di qualità
Due
anni di sconfitte sono servite alla crescita del movimento studentesco. Le
illusioni iniziali, instillate dalle organizzazioni studentesche vicine al Pd,
hanno lasciato il posto a una nuova consapevolezza: l’attacco del governo
merita una sola risposta, la lotta dura. Come dimostrano le manifestazioni
oceaniche di Londra, Parigi e Roma, le mobilitazioni degli studenti sono
anzitutto l’espressione di una generazione che assume consapevolezza di non
avere più alcun futuro nell’era del capitalismo in putrefazione. Il fatto
stesso che in Italia il gesto finora più forte e significativo – l’assalto al
Senato – sia stato compiuto da giovanissimi ci indica che sarà proprio dagli
elementi più giovani del proletariato che verranno le battaglie più dure.
Come
già successo in passato, la mobilitazione studentesca può essere la spia che avvisa
che anche da noi sta per crescere una mobilitazione di più ampie dimensioni che
coinvolgerà la classe lavoratrice. Se ad oggi, a differenza che in altri Paesi
(Grecia, Francia, Spagna) la protesta operaia non è ancora scoppiata è grazie
anzitutto all’azione combinata di governo, burocrazie sindacali, Confindustria
che, con la ricerca forzata della pace sociale e con gli ammortizzatori
sociali, mirano a prorogare l’esplosione del conflitto. Ma, se già l’ammontare
degli ammortizzatori risulta ridicolo di fronte al costante aumento del costo
della vita, la riduzione progressiva dei già miseri trattamenti (del 10% nel
caso di prima proroga, del 30% e del 40% nel caso di seconda e terza proroga)
senza alcuna prospettiva di riassunzione, renderà sempre più chiaro agli operai
che non è questa la risposta di classe alla crisi economica.
Unificare le lotte per un’alternativa di sistema
Tra le rivendicazioni del movimento studentesco positivamente compare quella dello sciopero generale, che le organizzazioni sindacali, inclusa la Cgil, si rifiutano di indire (preferendo dare garanzie di affidabilità al governo per strappare qualche rendita di posizione). E’ una rivendicazione che occorre portare non solo nelle università, ma in tutti i luoghi di lavoro. A partire dallo sciopero generale si possono creare le condizioni per un percorso di lotte ad oltranza che sfoci nell’occupazione delle fabbriche e nella costruzione di comitati di lotta in tutti i luoghi di lavoro: sono queste le condizioni oggettive per scardinare il potere borghese. L’istruzione pubblica, così come la Sanità e gli altri servizi, non hanno possibilità di sopravvivenza in un contesto capitalistico: oggi la borghesia intende riprendersi tutto quello che ha dovuto concedere negli anni Sessanta e Settanta su pressione delle lotte operaie. Se oggi una nuova stagione di lotte si apre, nasce con una nuova consapevolezza: che non bisogna svendere le lotte per qualche briciola che cade dal tavolo dei miliardari. Parafrasando uno slogan degli studenti di questi giorni noi diciamo: riprendiamoci il futuro, costruiamo il socialismo!