FARE COME LA FRANCIA!
In questo quadro generale – su cui ripetutamente ci siamo soffermati sia nel nostro sito web sia sul nostro giornale, Progetto Comunista – le lotte in Europa stanno riprendendo vigore.
A partire dalla Grecia, i lavoratori europei stanno dimostrando una disponibilità sempre più radicale a scendere nelle strade per opporsi alle politiche antipopolari e antioperaie dei rispettivi governi: l’autunno, insomma, è già molto caldo.
Subito dopo le vacanze estive, uno sciopero generale in Francia, proclamato il 7 settembre contro la riforma delle pensioni, ha registrato una massiccia adesione, con due milioni di manifestanti nelle strade di varie città: una protesta che è stata considerata la più grande delle quattro realizzate quest’anno e paragonabile alle storiche giornate di lotta del 1995 (contro la riforma Juppé) e del 2003 (contro l’aumento dell’età pensionabile), tanto che i sondaggi indicavano una percentuale d’appoggio da parte della popolazione pari al 70%, registrando al contempo il più basso indice di popolarità del governo Sarkozy.
Pochi giorni dopo – 11 settembre – è stata la volta dei lavoratori greci. Migliaia di manifestanti hanno protestato a Salonicco contro le durissime misure adottate dal governo socialdemocratico Papandreu, che, a fronte del prestito di 110 miliardi d’euro ottenuto dall’Unione Europea per “evitare la bancarotta” – in realtà per scongiurare il pericolo del fallimento delle banche francesi, tedesche e inglesi, creditrici del debito pubblico greco – ha deciso di tagliare di oltre il 20% gli stipendi dei lavoratori del pubblico impiego, di procedere alla privatizzazione del sistema sanitario, delle ferrovie, dei porti, del servizio postale e dell’acqua. Alla protesta si sono associati centinaia di camionisti, che, incolonnando i propri mezzi, hanno paralizzato il paese per diciassette giorni (le perdite stimate ammontano a circa 1,5 miliardi di euro).
Il 23 settembre i lavoratori sono scesi in piazza ancora una volta in Francia: circa tre milioni di lavoratori hanno partecipato alle manifestazioni in 230 città contro la riforma pensionistica (oltre 300.000 nella sola Parigi). Gli slogan indicavano la volontà di un settore dei manifestanti di unificare le lotte e di estenderle proclamando lo sciopero generale ad oltranza; ma le burocrazie sindacali concertative hanno ancora una rilevante influenza sulla maggioranza dei lavoratori e puntano invece sull’ipotesi di manifestazioni di un solo giorno nella prospettiva della negoziazione col governo per smussare gli aspetti più deleteri della riforma.
In Spagna i lavoratori hanno dimostrato che è possibile organizzare un forte sciopero generale (peraltro contro un governo di centrosinistra), nonostante le oscillazioni e i continui rinvii delle principali centrali sindacali (Cc.Oo. – Comisiones Obreras; Ugt – Unión General de Trabajadores) che sempre hanno appoggiato Zapatero. Infatti, la pressione della base, inferocita contro la riforma pensionistica (aumento a 67 anni dell’età pensionabile) e quella del mercato del lavoro (facilitazioni per i licenziamenti) è stata talmente forte da indurre le burocrazie a convocare lo sciopero generale.
Il 29 settembre scorso, la Spagna è stata paralizzata: il 70% dei lavoratori (dieci milioni) ha incrociato le braccia, soprattutto nel settore industriale. Le principali fabbriche di automobili si sono fermate, mentre nell’industria catalana si è registrato un picco di adesione di quasi il 100%. In tutto il paese hanno scioperato il 65% dei lavoratori dell’energia, il 92% degli addetti alle pulizie, il 56% degli insegnanti, il 79% dei lavoratori delle poste. Inoltre, in tutte le principali città vi sono state massicce manifestazioni (100.000 a Madrid, 75.000 a Barcellona, 30.000 a Valencia) in cui il sindacalismo di base combattivo è stato protagonista. La polizia ha violentemente attaccato i manifestanti e si sono registrati feriti ed arresti.
Naturalmente, le direzioni burocratiche dei sindacati concertativi sono rimaste spiazzate dalla forte carica antagonistica dei lavoratori contro il “governo amico” di Zapatero e hanno cercato di depotenziare la protesta specificandone la natura esclusivamente sindacale e non “politica”, guardandosi bene dal chiedere le dimissioni del premier, chiedendo di poter ridiscutere le riforme al tavolo delle trattative. Dal canto suo, Zapatero si è mostrato disponibile a un dialogo di facciata, nel frattempo rassicurando i mercati (nel cui interesse governa) che le riforme non sono modificabili anche attraverso una battuta di pessimo gusto: “Io oggi ho lavorato”.
La Spagna ci indica la necessità di continuare le mobilitazioni unificando tutte le lotte che si registrano in Europa, poiché è su scala continentale l’attacco che la borghesia sta portando ai lavoratori nel tentativo di salvare i suoi profitti. In Italia la manifestazione più grande, finora, è stata quella del 16 ottobre scorso, indetta dalla Fiom, una manifestazione durante la quale la classe lavoratrice ha invocato l’urgenza dello sciopero generale. In Portogallo già si preannuncia, per il 24 novembre prossimo, lo sciopero generale contro i provvedimenti del governo socialista di Socrates.
L’estensione della resistenza dei lavoratori alle politiche antipopolari esige, appunto, che le lotte siano approfondite e unificate, rifuggendo da tentazioni conciliazioniste, fino alla convocazione di uno sciopero generale in Europa sulla base di un programma di rivendicazioni transitorie, nella prospettiva di un radicale cambiamento del sistema che governa oggi il Vecchio continente: solo il rovesciamento del regime capitalistico e l’insediamento di governi dei lavoratori potrà porre fine alle ingiustizie contro cui le masse lavoratrici europee hanno finalmente cominciato a reagire.