Partito di Alternativa Comunista

FALCE ED ORPELLO

FALCE ED ORPELLO
Perché Ferrero si candida a presidente della Campania
(e si paragona a Maradona)
 
di Valerio Torre
 
Ancora pochi giorni e si voterà per le regionali. Ed ancora una volta, il Prc correrà dappertutto a rimorchio del Pd. Tutto questo alla faccia della declamata “svolta a sinistra” con cui Ferrero – “il più obbediente nel Consiglio dei Ministri” del governo Prodi, come ebbe a dichiarare D’Alema – ed il gruppo dirigente di Rifondazione hanno ingannato e continuano ad ingannare i pochi militanti onesti ancora iscritti ad un partito sull’orlo dell’implosione.
 
 
Di fronte ai malumori della base per l’ennesimo accordo col partito di Bersani, i leader del Prc hanno “tuonato” che si sarebbe stretta l’alleanza solo sulla base di accordi programmatici “di alto profilo”. Ma, allora, forse il “comunista” Ferrero è riuscito nell’impresa di strappare a Mercedes Bresso l’impegno a… bloccare la costruzione della Tav, o ad Emma Bonino quello di… difendere l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, ed anzi di estenderlo anche alle imprese con meno di 15 dipendenti? O forse, grazie al “rigore programmatico” con cui i dirigenti del Prc sono stati caparbiamente seduti fino a notte fonda ai tavoli delle trattative con i liberali del Pd, sono stati strappati risultati tali da far sventolare, all’indomani delle elezioni, la bandiera rossa su tutte le regioni italiane dove le estenuanti trattative hanno portato a termine gli “accordi di alto livello programmatico”?
 
Tutte meno tre: da falce ed orpello a falce e zimbello
Probabilmente, come si usa dire, “ci siamo persi qualcosa”. Oppure no. Appare evidente che nelle coalizioni sorte nella gran parte delle regioni italiane chiamate al voto, i ferreriani vengono utilizzati dal Pd come un orpello con cui guarnire le coalizioni, a beneficio di una militanza sempre più disorientata.
E a riprova della tesi con cui vanno ad ingannare per l’ennesima volta la base, i dirigenti del Prc tentano di sbandierare il fatto che in tre regioni (Lombardia, Marche e Campania) l’accordo non è stato concluso per la non condivisione del programma, sicché in quei tre posti Rifondazione si candida autonomamente. Ma è davvero così?
In realtà, basta prendere un po’ di giornali delle settimane scorse e leggerne le cronache politiche per verificare che in questi tre casi l’accordo non è stato concluso solo perché il Prc è stato scaricato dal Pd in quanto ritenuto completamente ininfluente rispetto all’esito elettorale auspicato o atteso: sicché, se guardassimo alle tre regioni in questione potremmo tranquillamente intitolare questa nota “Falce e zimbello”. Già: perché questa obbligata presentazione autonoma caratterizza il partito di Ferrero come lo zimbello della sinistra italiana.
 
L’eccezione della Campania
In Campania, il Prc non ha raggiunto l’accordo col Pd, in quanto non gradiva la candidatura di Vincenzo De Luca (attuale sindaco di Salerno), definito “un uomo di destra”, ed ha invano chiesto ai bersaniani di indicare un altro candidato. Dunque, la divergenza non era sul programma (del resto, De Luca dice no al nucleare e sì all’acqua pubblica), bensì sul candidato presidente: il programma andava bene (com’è andato bene a quell’altro pezzetto di socialdemocrazia governista che è Sinistra e Libertà, dopo che per settimane Vendola aveva detto no a De Luca), l’uomo no.
Il “piccolo problema” per Ferrero è che De Luca non è più di destra di quanto non lo sia una Mercedes Bresso che ha affossato le lotte dei valsusini imponendo la costruzione della Tav: eppure, con lei il Prc ha stretto l’accordo. O non lo è più di Emma Bonino, sostenitrice del sionismo, liberista dichiarata e nemica dei lavoratori contro cui ha utilizzato il referendum per l’abolizione dell’art. 18, attuale datrice di lavoro dei pluricondannati terroristi fascisti Giusva Fioravanti e Francesca Mambro, impiegati nella sua segreteria politica: eppure, con lei il Prc ha stretto l’accordo.
Cerchiamo, allora, di andare un po’ più in profondità nelle ragioni della presentazione autonoma nella regione Campania.
 
Commissariamento di fatto del Prc campano
Innanzitutto, una radiografia del Prc campano ci parla di una federazione completamente evaporata, e che pure nell’epoca d’oro del bertinottismo era la colonna portante del partito nazionale, la cui giovane e rampante burocrazia (De Cristofaro, Migliore, Gabriele, Riccio) ha rivestito importanti ruoli, conoscendo gli agi della relativa condizione (le cronache politiche dell’epoca ironizzavano sulle spese folli in abiti nei negozi di lusso della Roma ministeriale). Oggi, l’opportunismo tipico delle caste burocratiche ha portato questi agenti della borghesia in seno al movimento operaio fuori dal Prc, a veleggiare verso altri lidi (il partito di Vendola o lo stesso Pd).
Subita la scelta del Pd di scaricarlo, Rifondazione doveva candidare un proprio uomo alle elezioni. Impresa difficile, visto che siamo in presenza di un partito che non è in grado di esprimere una candidatura appena riconoscibile dall’elettorato. E, dunque, in mancanza di un personale politico minimamente presentabile, la scelta è ricaduta sul segretario nazionale.
Ingenuamente, alcuni militanti onesti hanno lanciato la proposta di candidare un operaio per tentare almeno di dare un significato politico alla presentazione autonoma. Ma non sapevano di avere a che fare con una fantasia senza pari del gruppo dirigente del partito. Che, infatti, ha replicato andando a ripescare un improbabile passato da “operaio” di Paolo Ferrero. Probabilmente, quei dirigenti si riferivano ad una vita precedente del segretario, prima della reincarnazione, dal momento che già dall'adolescenza l’ex ministro del governo imperialista Prodi era avviato alla carriera politica; né le sue mani paiono segnate dai calli della catena di montaggio.
E dunque, la candidatura di Ferrero assomiglia, molto più verosimilmente, al commissariamento “de facto” del Prc campano, sventrato dagli abbandoni di cospicui pezzi di burocrazia, con risultati addirittura involontariamente comici.
Basti pensare alla recentissima uscita di Corrado Gabriele, assessore in carica della giunta Bassolino, potentissimo uomo della federazione regionale di Rifondazione (definito dai più “il cacicco”) e sostenitore della mozione Vendola all’ultimo congresso: circostanza, questa, che avrebbe dovuto portarlo ad una coerente confluenza in Sel. Ma, si sa, la coerenza è sempre più un optional in politica. E dunque, Gabriele, pensando che sarebbe stato molto più proficuo – anche in vista delle imminenti regionali – gestire il simbolo e le risorse del partito, non seguì Vendola nella scissione rimanendo saldamente alla guida del Prc in Campania: nella prospettiva, naturalmente, di un accordo col Pd. Ma, non appena se ne è profilato il fallimento, non ci ha pensato su due volte ad uscire dal partito, candidandosi – ça va sans dire – nelle liste del Pd. O basti pensare all’indefinibile vicenda di Massimo Cariello, già assessore provinciale di Salerno e sodale politico del già citato Corrado Gabriele, che, in disaccordo con la linea del partito di non fare l’accordo con il Pd, dichiara che sosterrà De Luca alle regionali e si “autosospende” dal Prc. E cosa fa Rifondazione? Mentre il segretario provinciale tuona: “Cariello è fuori dal partito!”, gli  concede tranquillamente l’uso del simbolo con il quale il Nostro si candida a sindaco della città di Eboli insieme all’Udc (che, in Campania, appoggia la coalizione di Berlusconi!) e ad altre liste di destra.
 
Deluchismo, malattia infantile del ferrerismo
Per darsi un tono, Ferrero ha proclamato a più riprese che la candidatura di De Luca è inaccettabile per la “sinistra” perché, come già riferito, questi è “un uomo di destra”.
Il segretario del Prc ha, da questo punto di vista, più di uno scheletro nell’armadio, in quanto vorrebbe far dimenticare di essere stato per anni, insieme alla sua corrente, l’alfiere del deluchismo a Salerno e provincia.
Sul finire del 2003, infatti, la Direzione nazionale del Prc commissariò la Federazione provinciale di Salerno, che, su impulso della sinistra del partito (quella che nel 2006 sarebbe uscita da Rifondazione fondando il Partito di Alternativa Comunista), aveva iniziato un percorso che stava per portare al ritiro della fiducia alla giunta comunale (in cui si esprimeva l'assessore al Lavoro) ed all'uscita dalla coalizione all’epoca guidata dal sindaco De Biase, maggiordomo di De Luca. De Biase, che governava la città da vero e proprio prestanome di quest’ultimo (impossibilitato dalla legge sul divieto del doppio mandato a svolgere le funzioni di sindaco), era il fedele esecutore delle politiche deluchiane fatte di esternalizzazioni e privatizzazioni dei servizi, assunzioni di lavoratori interinali nelle municipalizzate, varianti urbanistiche finalizzate alla realizzazione di faraoniche opere di cementificazione della città ed a speculazioni edilizie della borghesia palazzinara salernitana, finanziamenti ad imprese private, premiando chi deindustrializzava il territorio licenziando la manodopera: tutto ciò a scapito delle fasce sociali deboli e dei lavoratori.
Di fronte alla possibilità che una federazione mettesse in discussione a livello locale l’accordo con Prodi e l’Ulivo che Bertinotti e Ferrero andavano costruendo in vista del futuro governo nazionale, il Prc avviò un rapido processo per il commissariamento. L’ingenuo segretario provinciale dell’epoca, confidando nella passata comune militanza in Dp con Paolo Ferrero ed approfittando della sua presenza a Salerno per un’iniziativa pubblica fianco a fianco con Tiziano Treu (!), gli chiese di intercedere perché la federazione non fosse commissariata. Ma era assolutamente evidente che il futuro ministro del governo Prodi aveva tutto l’interesse a prepararsi il terreno per indossare la grisaglia ministeriale. E così fu: Ferrero votò in Direzione nazionale a favore del provvedimento punitivo che doveva salvaguardare il deluchismo per spianare la strada all’ingresso del Prc nel nascente governo Prodi.
E l’anno successivo (giugno 2004), quando la commissariata (leggasi: “normalizzata”) federazione salernitana entrò nella maggioranza e nella giunta dell’altrettanto deluchiana Provincia di Salerno (con il già citato Cariello come assessore), non si sono sentiti gli strepiti ferreriani contro “l’uomo di destra” che da anni governa da padrone l’intero territorio salernitano fondando il suo potere attraverso l’occupazione di ogni ente possibile con i suoi uomini e l’alleanza ferrea con l’imprenditoria locale e regionale.
Ma l’ausilio al deluchismo da parte di Ferrero non si dispiegò solo territorialmente: come ministro della solidarietà sociale del governo Prodi, egli fu il coautore del “pacchetto sicurezza” che ha attribuito ai sindaci poteri eccezionali: poteri che De Luca – frattanto ritornato ad essere sindaco della città – ha utilizzato a piene mani facendo retate contro gli immigrati e scorribande notturne contro le prostitute.
E allora, caro Paolo, è di destra solo il De Luca del 2010 che sfratta senegalesi dal “salotto buono della città” grazie ai poteri che tu, da ministro, gli hai conferito? Era di sinistra, invece, quello del 2003, che, grazie alla tua politica di sostegno attivo, concludeva gli incontri pubblici con gli imprenditori con l’imperativo: “Arricchitevi!”?
 
Lasciate in pace Maradona!
Dunque, la candidatura di Ferrero non ha affatto il significato che il gruppo dirigente allo sbando del Prc tenta di attribuirle: in realtà, il segretario-candidato deve cercare di “stringere a coorte” una militanza ormai allo sbando, le residue forze di un partito sfilacciato per responsabilità dei gruppi dirigenti che, dalla sua fondazione ad oggi – col ruolo determinante dello stesso Ferrero – hanno dissipato un patrimonio di energie militanti per creare e dare spazio ad una burocrazia parassitaria. È questa, e solo questa, la ragione della scelta del Prc di candidare il proprio segretario nazionale alla regione Campania.
Paolo Ferrero ha tentato di presentare in pompa magna la propria candidatura a presidente coprendosi di ridicolo col piagnucolio (finanche in conferenza stampa) dell’implorare un accordo cercato fino all’ultimo col Pd campano e da quest’ultimo non voluto. E lo ha fatto definendosi, poi, addirittura come il… “Maradona” di queste elezioni regionali. Dubitiamo senza tema di smentite che il segretario del Prc, al di là delle piroette – in cui pare riuscire altrettanto bene quanto il Pibe de Oro – sia in grado di compiere in politica quelle prodezze con cui il campione argentino ha deliziato gli amanti del bel calcio. È il sogno di tutte le “schiappe” quello di paragonarsi ai grandi del calcio. Il problema è che resta un sogno: dopo, c’è solo l’amaro risveglio.
 

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