Ferrero e Bertinotti sostenitori
dell'autonomia di classe?
Scusate... avevamo letto
male
il corsivo di Franco Crisecci
Leggiamo Liberazione e -da autentici eroi del socialismo- lo facciamo tutti i santi giorni, per seguire il dibattito che travaglia quel partito. Lo abbiamo fatto anche questa mattina, 13 giugno. Subito dopo il primo caffè.
Nello sfoglio, l'occhio si ferma pagina 7, una foto di
Bertinotti, un titolo a tutta pagina: "Le ragioni di una sconfitta storica. Il
ritorno riflessivo di Bertinotti"
Si racconta del ritorno dell'ex presidente della Camera che ha organizzato, con
la sua frazione (secondo documento congressuale, quello di Vendola), un
dibattito a Roma, molto partecipato, specialmente dai dalemiani.
Il titolo dell'articolo è promettente anche perché "le ragioni della sconfitta storica" sono a noi note: la socialdemocrazia ha strategicamente fallito (storicamente è proprio il termine esatto), nel suo tentativo (o finzione di tentativo) di conciliare gli interessi inconciliabili dei padroni e dei lavoratori in un governo di diretta emanazione dei padroni.
Ahinoi, delusione arriva subito perché l'occhio (forse ancora pigro, forse ancora assonnato) sale e scende tra le righe senza trovare questa semplice, banalissima ragione della storica sconfitta. L'occhio passa rapidissimo sui "terreni del conflitto con il capitalismo nel suo nuovo carattere cognitivo“, si impiglia sulla "Gerusalemme che può anche essere non solo rimandata", si chiude stanco sulla "lunga e strisciante crisi della democrazia come progressiva sostituzione della rappresentanza col governo". Ma è un occhio allenato, sa che la vera essenza di un discorso bertinottiano non sta nella prima parte e nemmeno nella seconda (tutte parti che possono essere saltate senza perdere nulla). A differenza di quanto capita col buon vino, è sul fondo che si trova l'essenziale. Eccolo: bisogna, dice Bertinotti, "lavorare alla ipotesi oggi lontana del governo riformatore".
In altre parole, sintetizza il nostro pigro cervello (si è svegliato da poco), tutta la storia della "costituente della sinistra" è solo una impalcatura dentro cui si costruisce il rilancio di governo dei bertinottiani. Vuoi vedere che è per questo che Repubblica ha messo in prima pagina l'articolo di Bertinotti e i dalemiani sono così interessati?
Il titolo dell'articolo è promettente anche perché "le ragioni della sconfitta storica" sono a noi note: la socialdemocrazia ha strategicamente fallito (storicamente è proprio il termine esatto), nel suo tentativo (o finzione di tentativo) di conciliare gli interessi inconciliabili dei padroni e dei lavoratori in un governo di diretta emanazione dei padroni.
Ahinoi, delusione arriva subito perché l'occhio (forse ancora pigro, forse ancora assonnato) sale e scende tra le righe senza trovare questa semplice, banalissima ragione della storica sconfitta. L'occhio passa rapidissimo sui "terreni del conflitto con il capitalismo nel suo nuovo carattere cognitivo“, si impiglia sulla "Gerusalemme che può anche essere non solo rimandata", si chiude stanco sulla "lunga e strisciante crisi della democrazia come progressiva sostituzione della rappresentanza col governo". Ma è un occhio allenato, sa che la vera essenza di un discorso bertinottiano non sta nella prima parte e nemmeno nella seconda (tutte parti che possono essere saltate senza perdere nulla). A differenza di quanto capita col buon vino, è sul fondo che si trova l'essenziale. Eccolo: bisogna, dice Bertinotti, "lavorare alla ipotesi oggi lontana del governo riformatore".
In altre parole, sintetizza il nostro pigro cervello (si è svegliato da poco), tutta la storia della "costituente della sinistra" è solo una impalcatura dentro cui si costruisce il rilancio di governo dei bertinottiani. Vuoi vedere che è per questo che Repubblica ha messo in prima pagina l'articolo di Bertinotti e i dalemiani sono così interessati?
Continuiamo a leggere Liberazione e abbiamo un
sussulto, tale da far tremare il polso e la tazzina del caffè. Nella pagina a
fianco si dà conto del convegno organizzato lo stesso giorno, alla stessa ora,
dall'ex ministro (alla Solidarietà Sociale nel governo imperialista) Paolo
Ferrero, con la sua frazione (primo documento congressuale, quello con Grassi).
Il titolo è un po' più piccolo (Liberazione la dirigono i
bertinottiani) ma sensazionale: "Ferrero: 'Mai più al governo".
L'occhio si dilata dietro le lenti, un secondo sorso di
caffè, la pagina piegata in due scorriamo rapidamente le righe. Eh, sì, perché
come sanno i nostri lettori, c'è un Appello che gira in queste settimane,
promosso da lavoratori e giovani, un Appello che anche Alternativa Comunista
sostiene, il cui titolo è proprio "Mai più al governo con i padroni!". Vuoi
vedere che Ferrero ha deciso di aderire? Finalmente ha capito che i lavoratori
non possono governare insieme ai padroni, che l'esperienza è stata tentata per
due secoli e ha solo fatto ingrassare qualche burocrate, a qualche ministro di
sinistra è venuto il doppio mento, i lavoratori hanno fatto invece sempre altri
buchi per stringere la cinta. Il fondamento del comunismo è l'indipendenza di
classe del movimento operaio dalla borghesia e dai suoi governi, l'opposizione
di principio per guadagnare la maggioranza dei lavoratori alla necessità di
rovesciare il capitalismo, aprendo così la strada a un governo dei lavoratori.
E' l'abc del marxismo.
Vuoi mai vedere che Ferrero ha finalmente letto il Manifesto di Marx e lo ha capito? L'occhio sale e scende tra le righe, balza di colonna in colonna, arriva infine alla sintesi dell'intervento dell'ex ministro alla Solidarietà Sociale (nel governo che ha scatenato la caccia ai Rom). "Non è la traversata del deserto". Meno male, apprezziamo. "Piuttosto siamo dentro una giungla: possiamo finire nelle sabbie mobili oppure uscirne". Sorridiamo, la giungla è proprio la metafora adatta al gruppo dirigente del Prc. "Occorre fare un salto in basso nella società e un salto in alto per recuperare i riferimenti simbolici". Ma sì, due salti si possono anche fare, se servono a recuperare l'essenza del comunismo. "Bisogna tornare all'inchiesta". Sbadigliamo. "Bisogna guardare all'esperienza del bilancio territoriale sociale di Lodi"; di quel centro sociale che "organizza tornei di calcio e corsi di ceramica". E qui l'occhio strabuzza, altro sorso di caffè, cosa c'entra questa litania tipicamente bertinottiana?, quand'è che Ferrero spiega il ritorno all'indipendenza di classe? L'occhio si perde in un labirinto di "feste e comunioni", la "viabilità e la difesa degli spazi verdi", la "collaborazione con la parrocchia", "esperienze concrete di mutualismo", "una postura relativista per imparare a conoscerci reciprocamente". Arrivati all'ultima riga ricontrolliamo rapidamente, scorrendo di sotto in su: niente. Solo allora l'occhio (ormai sveglio) risale al titolo e si accorge di aver saltato la seconda riga. Dopo la prima, "Ferrero: 'Mai più al governo", ce n'è una seconda: "finché non si modificano i rapporti di forza nella società."
Al mattino presto, si sa, il cervello funziona in modo binario: sonno e sveglia, tazza su e tazza giù. Non sa apprezzare le metafore a incastro multiplo, la sociologia revelliana, il mutualismo e il ritorno al villaggio d'origine, confonde la rinascita orizzontale e il conflitto verticale, insomma tutto quanto è distinzione e vanto della prosa di ogni autentico dirigente bertinottiano e ferreriano. Ma il cervello abituato alla lettura della prosa dei dirigenti di Rifondazione traduce simultaneamente, disbosca le frasi, capovolge l'ipotassi in paratassi. Per farla breve, ignora lo slancio lirico e traduce quella dichiarazione di Ferrero (ex ministro nel governo che ha aumentato le spese militari per le missioni coloniali), e la traduce così: abbiamo governato con i banchieri fino all'altro ieri e non ci è dispiaciuto (è stato proprio Grassi a dire di recente che con due ministri invece di uno le cose sarebbero andate meglio); siamo usciti dal governo non per scelta nostra ma perché Prodi è caduto (per lo sgambetto di Mastella); continuiamo a governare col Pd in tutte le città dove possiamo; appena scende Berlusconi torniamo al governo un'altra volta; a quel punto spiegheremo che governare con i banchieri si può e si deve, per cacciare la destra, far pesare i movimenti, condizionare le scelte, aprire una prospettiva di alternativa per la fase successiva, quella che segue il risanamento, quella in cui anche i ricchi piangono; ma per adesso, visto che governa Berlusconi, torniamo un po' nelle piazze e vediamo di battere Bertinotti al congresso di Rifondazione, non perché proponga qualcosa di sostanzialmente diverso, ma perché lo spazio a tavola si è ristretto e bisogna usare i gomiti per stare più comodi. Così va letto quel titolo che dice "Mai più al governo" ma subito sotto aggiunge: "finché non si modificano i rapporti di forza nella società."
Vuoi mai vedere che Ferrero ha finalmente letto il Manifesto di Marx e lo ha capito? L'occhio sale e scende tra le righe, balza di colonna in colonna, arriva infine alla sintesi dell'intervento dell'ex ministro alla Solidarietà Sociale (nel governo che ha scatenato la caccia ai Rom). "Non è la traversata del deserto". Meno male, apprezziamo. "Piuttosto siamo dentro una giungla: possiamo finire nelle sabbie mobili oppure uscirne". Sorridiamo, la giungla è proprio la metafora adatta al gruppo dirigente del Prc. "Occorre fare un salto in basso nella società e un salto in alto per recuperare i riferimenti simbolici". Ma sì, due salti si possono anche fare, se servono a recuperare l'essenza del comunismo. "Bisogna tornare all'inchiesta". Sbadigliamo. "Bisogna guardare all'esperienza del bilancio territoriale sociale di Lodi"; di quel centro sociale che "organizza tornei di calcio e corsi di ceramica". E qui l'occhio strabuzza, altro sorso di caffè, cosa c'entra questa litania tipicamente bertinottiana?, quand'è che Ferrero spiega il ritorno all'indipendenza di classe? L'occhio si perde in un labirinto di "feste e comunioni", la "viabilità e la difesa degli spazi verdi", la "collaborazione con la parrocchia", "esperienze concrete di mutualismo", "una postura relativista per imparare a conoscerci reciprocamente". Arrivati all'ultima riga ricontrolliamo rapidamente, scorrendo di sotto in su: niente. Solo allora l'occhio (ormai sveglio) risale al titolo e si accorge di aver saltato la seconda riga. Dopo la prima, "Ferrero: 'Mai più al governo", ce n'è una seconda: "finché non si modificano i rapporti di forza nella società."
Al mattino presto, si sa, il cervello funziona in modo binario: sonno e sveglia, tazza su e tazza giù. Non sa apprezzare le metafore a incastro multiplo, la sociologia revelliana, il mutualismo e il ritorno al villaggio d'origine, confonde la rinascita orizzontale e il conflitto verticale, insomma tutto quanto è distinzione e vanto della prosa di ogni autentico dirigente bertinottiano e ferreriano. Ma il cervello abituato alla lettura della prosa dei dirigenti di Rifondazione traduce simultaneamente, disbosca le frasi, capovolge l'ipotassi in paratassi. Per farla breve, ignora lo slancio lirico e traduce quella dichiarazione di Ferrero (ex ministro nel governo che ha aumentato le spese militari per le missioni coloniali), e la traduce così: abbiamo governato con i banchieri fino all'altro ieri e non ci è dispiaciuto (è stato proprio Grassi a dire di recente che con due ministri invece di uno le cose sarebbero andate meglio); siamo usciti dal governo non per scelta nostra ma perché Prodi è caduto (per lo sgambetto di Mastella); continuiamo a governare col Pd in tutte le città dove possiamo; appena scende Berlusconi torniamo al governo un'altra volta; a quel punto spiegheremo che governare con i banchieri si può e si deve, per cacciare la destra, far pesare i movimenti, condizionare le scelte, aprire una prospettiva di alternativa per la fase successiva, quella che segue il risanamento, quella in cui anche i ricchi piangono; ma per adesso, visto che governa Berlusconi, torniamo un po' nelle piazze e vediamo di battere Bertinotti al congresso di Rifondazione, non perché proponga qualcosa di sostanzialmente diverso, ma perché lo spazio a tavola si è ristretto e bisogna usare i gomiti per stare più comodi. Così va letto quel titolo che dice "Mai più al governo" ma subito sotto aggiunge: "finché non si modificano i rapporti di forza nella società."
Insomma, il lettore attento lo ha ormai capito. Le due
frazioni che hanno prodotto il disastro si sono riunite in due sale diverse, con
due pubblici differenti, due titoli distanti. Ma, pur senza saperlo, discutevano
della stessa identica cosa: non di costruire un partito per la lotta di classe
ma di come la burocrazia riformista può tornare a svolgere il suo ruolo
supino in un prossimo governo dei padroni, quando il pendolo dell'alternanza
tornerà a segnare il centrosinistra.
Avevamo letto male. Scusate.
Avevamo letto male. Scusate.