Gli attacchi dei capitalisti alla Sanità
di Mario Avossa
La sanità pubblica in Italia è a un momento critico della sua recente storia. Da Sistema sanitario nazionale di qualità dignitosa è stata tramutata in uno dei tanti servizi pubblici svenduti e condotti al disastro. La politica sanitaria dei capitalisti ne è la causa. Ne pagano le conseguenze i pazienti, le classi subalterne e tutti i lavoratori, a partire da quelli della Sanità.
Qual è la situazione reale oggi
Il Sistema sanitario nazionale era una conquista delle lotte del movimento operaio degli anni settanta; come ce lo ricordavamo fino a pochi anni fa non esiste più.
Fino agli albori di questo secolo i maggiori ospedali nazionali godevano della fama di centri di cura di alta affidabilità; lì si sono formate generazioni di ottimi clinici e professionisti sanitari, provenienti da anni di studi. Gli ospedali centrali erano circondati da una rete di ospedali semi-periferici e periferici che garantivano la risposta sanitaria territoriale delle specialità di base: pronto soccorso, chirurgia, medicina, ortopedia e traumatologia, ostetricia e ginecologia. Tutto questo è stato ridimensionato, impoverito, svenduto o cancellato.
La rete territoriale dei distretti è stata resa inefficiente, la prevenzione sanitaria è quasi inesistente, affidata a iniziative occasionali di volontariato e beneficenza, la medicina di base convenzionata è stata ridotta all’impotenza. Gli ambulatori e i reparti di psichiatria sono quasi azzerati. I Pronto soccorso, destinati specificamente alle emergenze e urgenze, sono rimasti l’unico avamposto di frontiera per ogni richiesta sanitaria, di qualsiasi natura. Questi, sottodimensionati, in assenza di posti letto nei reparti di destinazione e di fronte alla pressione di folle di ammalati in panico, hanno ceduto di schianto in tutta Italia e non sono in grado di far fronte alla domanda che ivi si concentra. I direttori generali di Asl e Aziende ospedaliere fanno finta di nulla.
Nelle regioni meridionali e insulari la situazione è ancora più grave: il regionalismo differenziato è una realtà non solo amministrativa ma anche geopolitica.
I privati ringraziano; e abdicano però ai servizi di emergenza e urgenza che sono fonte di dispiaceri e di alto contenzioso. I Pronto Soccorso sono il fronte di guerra, in trincea, dei lavoratori per una difesa disperata della salute del proletariato.
Pandemia e collasso dei Pronto Soccorso
Due eventi sentinella hanno segnato il crollo strutturale della Sanità pubblica.
Il primo è la pandemia Covid-19, che in poche settimane ha rivelato a tutti l’insufficienza del Ssn. I tre principali errori sono stati la sottovalutazione della gravità dell’infezione e del suo rapido propagarsi; la deliberata inerzia sanitaria di fronte ai focolai di Alzano e Nembro in provincia di Bergamo, cui Confindustria si è mostrata particolarmente indulgente: il presidente era ed è un industriale locale, Carlo Bonomi, mentre il ministro Speranza taceva passivo; la rapida saturazione dei pochi posti letto in rianimazione, nei reparti infettivi e in quelli di medicina respiratoria. Sotto la pressione della pandemia, tale era l’incongruenza fra domanda e offerta sanitaria che per curare i contagiati sono state utilizzate tumultuosamente le sale operatorie; e contestualmente tralasciate le diagnosi e le cure di patologie gravi, con ritardi di molti mesi (1),
Il secondo è Il collasso funzionale dei Pronto Soccorso, descritto poche righe sopra. Qui lavora personale sottopagato, spesso precario, con piante organiche ridotte al minimo, carichi di lavoro intollerabili e pressioni anche violente di molti proletari arretrati; lavoratori che sono esposti a continue denunce penali e che sono abbandonati al loro destino in sede forense dai direttori generali, diretti responsabili amministrativi di questo disastro (2).
Come si è giunti a questo
Nei piani di sottrazione dei servizi pubblici al proletariato e delle loro rispettive privatizzazioni rientra anche quello per la sanità. I capitalisti non fanno troppe distinzioni etiche, badano al profitto: da un lato, consegnano nelle mani dei privati la maggior parte dei pazienti, che assumono il profilo commerciale di clienti; dall’altro, permettono uno storno di ingenti finanziamenti pubblici, interni al bilancio dello Stato, verso il sostegno a banche e aziende private.
Questi flussi di affari e di finanziamenti spiegano il taglio di 37 mld di euro alla sanità pubblica nel decennio 2009 – 2019. Il processo è tuttora in corso e comprende tagli di posti letto e compressioni dei salari e dei diritti dei lavoratori della sanità di ogni profilo professionale. Durante questo decennio i tagli alla Sanità sono stati operati dai capitalisti per il tramite dei loro governi di qualsiasi colore e maggioranza e grazie alla solerzia della Pubblica amministrazione, struttura colossale e capillare, serva muta dei disegni dei capitalisti.
In questi anni trascorsi sarebbe stato necessario contrapporre alla politica di economia sanitaria del capitale una reazione operaia, proletaria e popolare pari alla forza del progetto di smantellamento della Sanità. Ma così non è stato. Non era da aspettarselo dai partiti dei capitalisti né dai residuali partiti della cosiddetta sinistra riformista, per convergenti interessi. Avrebbero dovuto scendere in campo i sindacati, che sono le organizzazioni storiche della classe lavoratrice, per tutelare i diritti dei lavoratori, il cui diritto alla tutela della salute è primario. Bisognava convocare assemblee dei lavoratori, eleggere comitati di lotta e indire una serie di scioperi fino a confluire nello sciopero generale nazionale. Durante il decennio 2009 -2019 nulla si è fatto, se non operazioni di facciata, sporadiche, innocue. Di fronte allo smantellamento concreto della Sanità pubblica le direzioni delle centrali sindacali maggiori hanno dimostrato una complice inerzia. È inquietante notare che, nel decennio in cui i capitalisti procedevano allo smantellamento della Sanità pubblica, la massima carica dirigente della Cgil, la sigla maggiormente rappresentativa della classe lavoratrice, è stata Susanna Camusso, che ora si trova a occupare un seggio nel Parlamento borghese.
Di fronte alla politica di sfascio della Sanità pubblica le organizzazioni sindacali si sono divise in tre fronti:
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Cgil Cisl Uil, i cui vertici hanno mantenuto silenzio e inerzia;
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le sigle del sindacalismo di base, Cub, Usb, SiCobas e altre che, pur denunciando la demolizione della Sanità e invocando lotte incisive, si ostacolano fra loro con una condotta settaria che discende a meschinità dispettose, come la proclamazione di microscioperi monosigla in contrapposizione fra loro: di conseguenza l’indebolimento delle lotte e lo scoraggiamento dei lavoratori;
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un firmamento di sigle corporative che partono dalla denuncia a tinte forti degli attacchi alla Sanità, limitandosi poi però a proporre soluzioni imbelli, parziali o irrilevanti; salvo fomentare i contenziosi di categoria e individuali.
Una serie di operazioni politiche e sindacali hanno così decretato la vittoria dei capitalisti e la sconfitta della classe lavoratrice, che si vede tolto un diritto conquistato con le lotte operaie degli anni settanta. Nessun diritto è mai conquistato per sempre, nel capitalismo.
Cosa sta succedendo ora
Pochi giorni orsono è stato pubblicato il 5° rapporto della fondazione Gimbe (3). Rappresenta una situazione drammatica, benché faccia ricorso a toni moderati, poggiati su eufemismi e vocabolario tecnico. La politica sanitaria voluta dai capitalisti è stata eseguita dai loro governi centrali sferrando quattro colpi mortali al Ssn:
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il taglio di 37 mld di euro 2010 – 2019;
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la neutralizzazione dei Lea (livelli essenziali di assistenza: indicatori di servizi e prestazioni dovuti uniformemente a tutta a popolazione);
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un ampio inventario di abusi e rapine affaristici, associati a sprechi e inefficienze;
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espansione incontrollata dei privati in Sanità.
Questo disegno si è articolato con il gioco delle tre carte fra Stato, Regioni e Asl, con la conseguenza di frammentare e depotenziare il Ssn e realizzare le attuali ineguaglianze sanitarie interne allo Stato; e con la propaganda sanitaria operata dalla stampa asservita al capitale che induce «aspettative irrealistiche nei confronti di una medicina mitica e di una sanità infallibile, alimentate da analfabetismo scientifico ed eccessi di medicalizzazione, che fanno lievitare la domanda di servizi e prestazioni sanitarie» (3): a tutto vantaggio dei privati e che stimolano il contenzioso forense. Quest’ultimo è un pascolo generoso di interessi economici e corporativi.
Nonostante i proclami dei vari ministri della Sanità non ci sono stati aumenti significativi per la Sanità pubblica: la pandemia da Covid-19 ha assorbito risorse in modo veloce ed estemporaneo, senza lasciare traccia strutturale. Piuttosto, ha alimentato sprechi e inefficienze, precariato e appetiti di privati.
Anche osservando il contesto internazionale l’Italia è in una posizione arretrata, dai dati recentissimi riferiti dallo studio. Il rapporto Pil/spesa sanitaria è nella media Ocse (9,5%) ma l’Italia si pone come fanalino di coda quantitativo rispetto ai Pesi nord e mitteleuropei. La spesa sanitaria pro-capite totale colloca l’Italia fra i Paesi poveri dell’Ue. Rispetto ai Paesi del G7, l’Italia è rimasta piatta mentre gli altri aumentavano le risorse per la Sanità pubblica.
Un limite del rapporto Gimbe è che non prende in considerazione gli organici sottodimensionati della Sanità, i trattamenti economici e gli assetti normativi, i profili professionali e i demansionamenti, il sovraccarico di lavoro che genera ore non retribuite ma effettivamente lavorate e il peso asfissiante degli innumerevoli adempimenti amministrativi da cui il personale di corsia è vessato, vicariante personale d’ufficio che manca. Tutti aspetti di politica economica sanitaria che però non sfuggono ai capitalisti e ai loro governi. (3 – 4)
Lo sfruttamento e le carenze di servizio: due facce della stessa medaglia
Gli organici sono sottodimensionati rispetto ai parametri neoliberisti imposti dal capitale. Il fabbisogno reale è maggiore. Tuttavia, in Sanità come in altri apparati organizzati dei servizi e nelle Forze armate, non si può limitare l’osservazione al semplice fabbisogno di lavoratori, perché i singoli non lavorano in proprio né da soli, come lascerebbero intendere i nudi contratti di lavoro, ma inseriti in un contesto organizzativo in cui le attività di prevenzione, diagnosi, clinica, cura e riabilitazione dipendono da come si impiegano le risorse in termini di logistica, tecnologia e organizzazione sanitaria. Cioè non solo dalla quantità della spesa ma dalla sua qualità.
Nonostante la mole di cifre riscontrabili sulla stampa, non è facile farsi un’opinione delle carenze d’organico in Sanità, perché la base di computo delle piante organiche è condizionata da impostazioni parametriche finalizzate ai piani di rientro delle Regioni, come imposto dalle politiche sanitarie governi borghesi, sia di centro-destra che di centro-sinistra. Nel documento in nota gli autori presumono che i medici lavorino sei giorni su sette quando si sa che gli ospedali lavorano 7/7 H24 e al lavoro infermieristico è assegnato un astratto minutaggio come fanno i privati per i loro dipendenti (5).
Il sindacato corporativo medico Anaao Assomed denuncia che entro il 2024 mancheranno 40.000 medici; secondo la Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi) mancano 63.000 infermieri. Entrambe le associazioni propongono soluzioni parcellizzate e privatistiche senza rivendicare il ripristino né il potenziamento del Ssn universale, pubblico e gratuito. Il maggior fabbisogno di infermieri si ha in Lombardia (9368), Lazio (6992) e Campania (6299).
La contrazione degli organici è funzionale al risparmio sul monte salari. Ma i lavoratori della sanità pubblica sono retribuiti con stipendi irrisori. Questi alimentano una fuga dalla corsia e una rincorsa a posizioni da scrivania, con implicazioni clientelari. Le retribuzioni sono ferme da molti anni e perdono di potere d’acquisto di mese in mese per l’incalzare dell’inflazione. Il quadro normativo si complica perché ai contratti della dirigenza sanitaria sia di ruolo che precaria sono applicate clausole privatistiche che bloccano le carriere e le rendono subalterne a condizioni di ricatto della pubblica amministrazione; anche nelle professioni sanitarie iniziano a articolarsi forme di contrattazione con caratteristiche privatistiche che dividono i lavoratori.
La realtà è lo sfruttamento dei lavoratori della sanità, sia in forma palese, con la contrazione di salari e diritti; sia in forma occulta, quando, sotto la spinta dell’etica professionale, la condotta dei lavoratori genera ore di lavoro aggiuntivo non retribuito. A conti fatti, la retribuzione oraria dei lavoratori di corsia si riduce a pochi euro l’ora.
La carenza di organico nel Ssn è un fattore quantitativo ma vi sono anche limiti qualitativi: i lavoratori della sanità non possono lavorare a mani nude e in condizioni precarie: è quello che è successo nelle settimane iniziali della pandemia da Covid-19 e hanno pagato in termini di malattia e morte da contagio; hanno il diritto di rivendicare un contesto sanitario organizzato e efficiente e si tratta dello stesso diritto del proletariato di ricevere cure adeguate in strutture in cui tecnologia e organizzazione sono la base della qualità dell’offerta sanitaria.
I medici cubani in Calabria
La Regione Calabria è sede di una sorta di collaudo sociale di sottrazione definitiva dell’assistenza sanitaria pubblica. Ha un disavanzo mai colmato dal 2009 nonostante le continue iniezioni di fondi pubblici, a fronte di un’assistenza sanitaria scadente o assente. Grave l’esempio della chiusura dell’ospedale di Cariati, centrale per l’assistenza regionale. In aprile 2019 il disavanzo sanitario della Regione Calabria ammontava a 168,898 milioni di euro, mentre il punteggio dei Lea si attestava a 136, lontano dalla soglia minima di sufficienza che è 160.
Situazione che ha condotto nel 2019 al commissariamento governativo della sanità calabrese e alla pantomima del Consiglio dei Ministri del governo Conte convocato a Reggio Calabria. Nel frattempo erano e sono inaccessibili i libri contabili delle Asl calabresi, gli alti funzionari della pubblica amministrazione omettevano controlli e verifiche; l’Asl di Reggio Calabria veniva sciolta nel 2019 per infiltrazioni mafiose, assenza di gare d’appalto, funzionari pregiudicati e lo sperpero di fatto di circa un miliardo di euro di denaro pubblico (6 – 7).
Dal 2019 a oggi si sono dimessi o sono stati destituiti quattro commissari governativi l’uno dopo l’altro. I bandi vanno deserti e i giovani neolaureati in medicina e chirurgia o in scienze infermieristiche emigrano il più presto possibile. Attualmente il 118 privatizzato è sottodimensionato: manca il personale per le ambulanze.
Questo è il contesto in cui la Regione Calabria assume i medici cubani. In questi giorni è stato stipulato un accordo commerciale con Cuba per l’assunzione di 497 medici (8). La Regione Calabria ha esordito con la chiamata di Emergency all’ospedale di Crotone per fronteggiare la pandemia da Covid-19 nel dicembre 2020, sulla scorta dell’esempio di Bergamo, dove l’associazione filantropica era stata ingaggiata (9). Questa operazione preliminare di sanità surrettizia ha delineato un precedente pericoloso; è stata dissimulata all’interno dell’emergenza sanitaria calabrese della pandemia. Non avendo incontrato ostacoli né politici né sindacali, i commissari si sono addentrati in una nuova operazione, questa volta più esplicitamente destinata ad attaccare i lavoratori della Sanità: l’assunzione di medici cubani (10).
L’attacco ai diritti dei medici pubblici dipendenti da parte di Roberto Occhiuto, presidente della Regione Calabria, muove da una provocazione: i medici calabresi non avrebbero voglia di lavorare. Nella situazione appena descritta, non si tratta di non aver voglia di lavorare ma del fatto che, con ruolo precario e stipendi miserrimi, a fronte di grave disorganizzazione, fatiscenza delle strutture, carenze di posti letto, condizioni di sovraccarico e di pericolo per la propria e altrui salute per le aggressioni, è illusorio ritenere che qualcuno possa partecipare ai concorsi per medici di Pronto Soccorso: si tratta di bandi che propongono condizioni capestro inaccettabili per chiunque sia sano di mente.
I medici cubani sono altresì oggetto di condizioni capestro da parte di Cuba. Essi sono pubblici dipendenti dello Stato, inviati in diversi Paesi
in giro per il mondo. A fronte di un certo vantaggio economico, però essi sono sottoposti a numerosi vincoli e limitazioni della loro libertà personale e dei loro stipendi. Cuba ne trae vantaggi e interessi: sia propagandistici, per alimentare il mito della sanità cubana, sia per motivi di politica estera e commerciale (11 – 12).
La Regione Calabria, di fatto, ingaggia crumiri.
Due osservazioni: la motivazione filantropica individuale dei singoli volontari esterni per il supporto alle carenze sanitarie nel mondo è lodevole ma è insufficiente di per sé a ristabilire i diritti democratici delle classi oppresse; indipendentemente dalle intenzioni soggettive dei singoli medici cubani, l’introduzione in Regione Calabria di volontari esterni configura un crumiraggio oggettivo, un attacco all’occupazione sanitaria e alle condizioni contrattuali di lavoro, contestualizzato nei piani di rientro regionale e nel quadro generale dello smantellamento del Ssn.
Occorre una risposta di lotta
I piani di smantellamento della sanità pubblica procedono in tutta Italia, con caratteristiche che delineano un regionalismo differenziato di fatto già operante perché i bilanci delle Regioni sono costituiti dal 50 – 60% da fondi per la sanità. Le privatizzazioni complementari allo smantellamento procedono con geometrie regionali variabili: più strutturate al nord, più sporadiche al sud, dove la raccolta di capitali è spesso di dubbia provenienza.
Il dissenso sociale contro lo smantellamento della sanità pubblica è evidente nei comitati locali di lotta contro la chiusura di ospedali periferici, nelle posizioni dei sindacati di base, nelle varie associazioni democratiche a difesa della sanità pubblica. Ma tutto questo non basta.
L’attacco è sferrato contro il diritto alla salute delle masse popolari e la risposta dev’essere di massa: occorre la mobilitazione dei lavoratori, con lotte di fronte unico che vedano alleati i lavoratori della Sanità con quelli delle altre categorie produttive, da costruire ospedale per ospedale, Regione per Regione, fino a confluire nello sciopero generale nazionale che rivendichi, insieme a tutti gli altri, i diritti democratici di una sanità unica, nazionale, non regionalizzata, universale, gratuita e di qualità.
Sono diritti che si strappano ai capitalisti inchiodandoli negli scioperi. Ogni altro surrogato è inutile.
Neanche ci illudiamo che quelle conquiste siano date una volta e per sempre, sotto il giogo dei capitalisti. Nei momenti di reflusso e di vulnerabilità del movimento operaio essi rapidamente si riprenderanno ciò che ci avevano a malincuore concesso.
Occorre essere consapevoli che solo nella società socialista sarà possibile una sanità universale collettiva libera da qualsiasi condizionamento.
Socialismo o barbarie.
Note
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https://www.salviamo-ssn.it/var/contenuti/5_Rapporto_GIMBE_Sostenibilita_SSN.pdf
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https://www.avvenire.it/attualita/pagine/sanita-dimenticata-si-spende-poco-e-male-per-la-salute
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https://www.aogoi.it/notiziario/archivio-news/commissariata-sanita-calabrese/
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https://www.panorama.it/news/cronaca/sanita-calabria-commissario-problemi-ospedale
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https://www.ilsole24ore.com/art/medici-cubani-calabria-ferrara-m5s-la-regione-li-sfrutta-occhiuto-nessuna-violazione-AEsjzi8B?refresh_ce=1