E’ ormai abitudine diffusa quella di quadruplicare i numeri delle manifestazioni. Stavolta si è sorpassata però ogni prudenza aritmetica. Senza nemmeno preoccuparsi che qualche giornalista un po' più scrupoloso potesse fare due conti con una semplice calcolatrice, gli organizzatori del corteo del 20 hanno parlato di “un milione” di manifestanti fornendo al contempo cifre di pullman (circa 600), treni e navi (rispettivamente 10 e 1) che, se fossero stati tutti pieni fino all’ultimo posto, sommati a una gigantesca partecipazione di manifestanti arrivati in auto dalle zone limitrofe, avrebbero portato alla somma di circa 60 mila manifestanti. Salvo che, come in quelle gare da guinness dei primati, su ogni pullman non siano salite 1500 persone ad occupare i tradizionali 60 posti...
La piattaforma della manifestazione del 20 ottobre era truffaldina. Il senso vero della manifestazione, ripetuto alla stampa borghese dai Giordano e dai Diliberto, era la richiesta di piccole e secondarie modifiche al pacchetto sul welfare e alla politica del governo. Cioè le uniche modifiche che la maggioranza di governo è eventualmente disposta a valutare: quel poco di “cipria” di cui ha parlato Dini. Con ben altra intenzione, certamente, sono invece scesi in piazza tanti manifestanti. Il loro spirito era così riassumibile: non crediamo più in questo governo che abbiamo ormai visto alla prova ma diamo un’ultima volta fiducia ai partiti della sinistra di governo per vedere se davvero possono e vogliono cambiare qualcosa. Era cioè la richiesta di investire quella forza potente che ha consentito nelle scorse settimane, pur in un gioco truccato, una così grande affermazione del No al referendum sindacale.
Giordano e Diliberto non hanno aspettato nemmeno la fine del corteo per tradire la fiducia dei manifestanti e si sono precipitati a confermare la piena fedeltà al governo, preparandosi a ricevere da Prodi solo un po’ di cipria.
La traduzione politica della manifestazione, ripetuta in coro da Giordano, dal Manifesto, da Liberazione e anche dall’ottuagenaria incarnazione del tradimento dei lavoratori che fa di nome Pietro Ingrao, è chiara: bisogna accelerare i tempi della “cosa rossa”, cioè della costruzione di un nuovo partito socialdemocratico che rimuova persino nel nome ogni riferimento alla classe operaia e al comunismo (come richiede la borghesia), facendo corrispondere alla pratica governista una simbologia adeguata.
Giordano già parla di tesseramento costituente e ha avviato, di fatto, lo scioglimento del suo partito, senza nemmeno aspettare i crismi dell’annunciato congresso della primavera prossima. C’è già un nome (la Sinistra), un leader che nega e si fa pregare (Niki Vendola, apprezzato dalla borghesia e dalle gerarchie cattoliche per come sta ben gestendo i “loro” affari in Puglia) e, quanto al simbolo, è noto che già circolano bozzetti diversi ma tutti, rigorosamente, privi di falce e martello. La nascita del nuovo partito non è semplice perché si scontrano gli interessi di divese burocrazie ma la minaccia dei sondaggi elettorali (che danno i partiti della sinistra di governo al lumicino) e il parallelo rafforzarsi del Pd veltroniano convinceranno anche i più riluttanti a seguire le indicazioni di Bertinotti e a sveltire la pratica di archiviazione di quanto rimane dei partiti originari: lasciando solo Salvatore Cannavò -come si evince dall'ordine del giorno presentato da Sinistra Critica al recente Cpn di Rifondazione- a sognare un ritorno a un presunto bertinottismo delle origini (quello del 2001, quando Bertinotti giocava al movimentismo, con il sostegno di Cannavò, preparandosi in realtà a investire la presenza nei movimenti in un salto al governo).
Il terzo tradimento è anch’esso già consumato, anche in questo caso senza che il gallo abbia avuto il tempo di cantare due volte dopo la fine del corteo. Le aspirazioni di cambiamento radicale contenute nel No referendario, la speranza di modifiche reali e di un riscatto espresse da una buona parte dei manifestanti del 20, la forza e la combattività che -nonostante tutti i tradimenti- continuano a esprimere i lavoratori, sarà utilizzata (o almeno questo è quanto cercheranno di fare) dai Giordano e dai Diliberto per continuare a governare con la borghesia garantendo la sottomissione operaia, cioè la “pace sociale”. Questo è il compito che già è assegnato a “La Sinistra” ancor prima che nasca. E mentre un settore della borghesia continua a volere che Prodi prosegua il suo (sporco) lavoro almeno per un po’ (è l'ala che fa capo a Bazoli e si pronuncia attraverso il Corriere della Sera), un altro settore preme perché si vada, dopo una modifica della legge elettorale, a nuove elezioni, non aspettando un ulteriore logoramento del centrosinistra (che comunque tutta la borghesia continua a preferire a Berlusconi); questo secondo settore (che usa Repubblica come portavoce) spera in un possibile consenso d’immagine di figure non logorate, i Veltroni e i Vendola, il Partito Democratico e La Sinistra, nomi nuovi per proseguire la loro vecchia politica.
Sapendo che questo sarebbe stato l’uso che i burocrati socialdemocratici avrebbero fatto della manifestazione del 20, il PdAC non ha aderito ad essa. Anche nelle prossime settimane continueremo, nella modestia delle nostre forze ma forti della combattività di militanti impegnati nei luoghi di lavoro e di studio, a batterci per una prospettiva diversa, priva di inganni. Una prospettiva di classe, che punti a sconfiggere le politiche del governo della borghesia, ripartendo dalla grande forza operaia che si è espressa nel No al referendum, lavorando ad allargare lo sciopero del 9 novembre indetto dai sindacati di base, impegnandoci nella costruzione di un grande sciopero generale unitario che paralizzi il Paese, sconfigga e cacci il governo. Tutti obiettivi che richiedono, in primo luogo, un forte partito comunista e rivoluzionario: lavoro in cui siamo impegnati in questi mesi, anche con l'imminente lancio del tesseramento per il 2008 al PdAC, un partito che compirà a fine anno il suo primo anno di vita e di lotta.