A pochi giorni dal voto una cosa è certa: la borghesia italiana vincerà le elezioni e dalle urne uscirà un nuovo "governo amico" dei padroni. Molto probabilmente si tratterà di un governo dell'Unione, sicuramente (qualunque dei due schieramenti elettorali vinca) di un governo anti-operaio. |
Se i giornali -inclusi quelli di sinistra- possono riempire pagine intere di analisi e dissertazioni sui "coglioni" di Berlusconi e sul colore delle cravatte o sulla gestualità dei candidati leader nei confronti TV è proprio perché sul resto non c'è molto da dire, non essendoci differenza sostanziale tra i programmi dei due schieramenti. Non solo nel senso -a noi evidente- che entrambi presentano un programma liberale il cui scopo naturale è far pagare la crisi del capitalismo ai lavoratori; ma anche nel senso che persino sulle indicazioni immediate di politica economica, fiscale, estera, trovare la differenza è più difficile che in quel vecchio gioco della Settimana Enigmistica.
Dal 9-10 aprile non esce quindi nessuna possibile soluzione positiva per i lavoratori e per i giovani precari e disoccupati. Viceversa -se non sapremo contrastare questa ipotesi mettendone in campo una alternativa- si profila una sconfitta sostanziale: battuto Berlusconi sul campo elettorale, si aprirà la strada a un governo che ha già il sostegno e la tutela della Confindustria e che, imbarcato il Prc di Bertinotti e assicuratosi la collaborazione concertativa della Cgil di Epifani, mira a sferrare un attacco pesantissimo ai salari, ai servizi, alle pensioni. Per poi, dopo qualche anno di "lacrime e sangue", lasciare nuovamente la strada a un prevedibile ritorno delle destre, nella logica dell'alternanza.
Quando Bertinotti agita lo spettro delle gigantesche manifestazioni di piazza francesi e ammonisce i suoi interlocutori liberali: "non vorrete che finisca così?", si fa appunto garante, con il Prc, della tutela di quella "pace sociale" di cui i padroni fanno richiesta. "Non fare come la Francia" è lo slogan implicito del Prc e il motivo per cui viene arruolato con un ruolo di complemento da Prodi e Montezemolo.
Per questo tutti gli ammiccamenti delle varie minoranze interne al Prc (L'Ernesto, Erre), le sottili tattiche (davvero molto sottili!) che progettano l'attesa dell'"esplodere delle contraddizioni" o che comunque invitano a sedersi sulla sponda ad aspettare che passi nel fiume il cadavere del governismo bertinottiano, non fanno i conti con le necessità politiche urgenti del movimento operaio. Mentre Grassi e Cannavò si dilettano col vecchio gioco del "più uno" su ogni dichiarazione di Bertinotti; mentre insistono -oltre il finale di partita- con la litania del "più programma" o "più movimenti", l'elemento vero -che loro non contrastano e quindi contribuiscono a facilitare- è che il movimento operaio viene abilmente disarmato, privato di strumenti politici e sindacali per organizzare e rendere efficaci le prossime lotte.
Quanto a Ferrando pare ormai vittima della spirale liderismo-opportunismo - ben descritta da Valerio Torre nell'articolo pubblicato su questo sito. La bussola politica del ferrandismo (malattia narcisista del liderismo) ha come polo nord la visibilità mediatica del Capo, non la costruzione di un'organizzazione rivoluzionaria di militanti. Dopo la minaccia di querelare Fassino alla magistratura borghese, il duello in piazza con il democristiano Rotondi (con Funari come testimone) e la sfida a Pannella... aspettiamo con qualche imbarazzo il prossimo tentativo di guadagnarsi dieci righe su un giornale.