IL FALLIMENTO DELLA
SINISTRA DI GOVERNO
E ORA RIPARTIAMO DALLE LOTTE DI
OPPOSIZIONE
(e da un possibile blocco elettorale a
sinistra della "cosa rossa" governista)
di Francesco
Ricci
Mentre scriviamo queste righe non è ancora certo l'esito
della crisi, anche se ormai pare largamente probabile un ritorno a breve alle
urne. In ogni caso, gli esiti possibili (governo pre-elettorale o elezioni a
breve) non cambieranno la sostanza delle cose dal punto di vista delle classi
subalterne. Proviamo allora qui a riassumere il nostro punto di vista (già
sviluppato in due dichiarazioni del nostro Comitato Centrale pubblicate sul
nostro sito web), anche precisando quella proposta elettorale, da noi avanzata
nei giorni scorsi, che è stata sintetizzata giornalisticamente da alcuni organi
di stampa (Repubblica).
1. Quando nell'aprile del 2006 con altre centinaia di
militanti abbiamo dato vita alla prima scissione dal Prc (a cui sono seguite,
analoghe per dimensioni, quella di Ferrando e di Sinistra Critica) era
impopolare fare previsioni su quale sarebbe stato l'esito della nuova
partecipazione al governo dei principali partiti della sinistra. Quando dicevamo
che per due secoli (e in condizioni sociali più avanzate) non si è data una sola
esperienza progressiva di governo comune di borghesi e operai, ci veniva
risposto che era necessario fare la "prova del budino". Quando replicavamo che
il cucchiaio è stato affondato infinite volte nel budino di governo e ogni volta
il movimento operaio si è allontanato da una prospettiva di alternativa
strategica -e ha dovuto persino rinunciare a piccole riforme- ci veniva risposto
che la forza dei movimenti avrebbe stavolta fatto la differenza. La parola
d'ordine era: "nasce una grande svolta riformatrice".
2. La "grande svolta riformatrice" è finita come sappiamo:
tra sputi e ministri inquisiti. Non senza averci fatto passare per due anni di
attacchi senza precedenti ai lavoratori, ai disoccupati, agli immigrati. Non è
il caso di compilare una lista che ogni lettore del manifesto conosce e che è
riassumibile in poche parole. Prodi ha avviato una duplice guerra: militare, in
un rilancio dell'impegno neocoloniale dell'imperialismo italiano; sociale,
contro le condizioni di lavoro e di vita di milioni di salariati e disoccupati.
Quanto ai movimenti: proprio la sinistra al governo ne ha ostacolato la
crescita.
3. Non contenti del budino avvelenato con cui hanno sfamato i
lavoratori, i dirigenti di Rifondazione ci stanno spiegando in questi giorni che
la "grande redistribuzione sociale", che hanno annunciato per due anni, in
realtà era proprio dietro l'angolo, bastava aspettare qualche giorno: se non c'e
stata non è a conferma della legge storica dell'inconciliabilità tra gli
interessi di classi mortalmente nemiche ma a causa dei problemi giudiziari di
Mastella e di sua moglie Sandra e della congiura di settori borghesi desiderosi
di far fallire il piano degli astuti riformisti di governo.
Le cose non
stanno così e si capisce vedendo le reazioni compatte di Confindustria, Chiesa
(e financo Confcommercio) che chiedono "disperatamente" (Montezemolo) un rinvio
delle elezioni. E lo fanno non solo perché esigono una legge elettorale che
renda più stabili i governi di alternanza e dunque più efficaci le loro
politiche contro i lavoratori. Lo fanno anche perché una buona parte dei grandi
industriali e dei banchieri continua a preferire il centrosinistra e vuole
salvarlo dal fallimento certo in elezioni immediate. Perché solo il
centrosinistra si è dimostrato in grado di garantire lo sviluppo dei profitti e
l'inasprimento dello sfruttamento operaio nella "pace sociale", con un crollo
delle ore di sciopero: grazie al ruolo di cuscinetto svolto dalle burocrazie
sindacali e politiche.
Ciò che preferisce oggi la grande borghesia non è dunque un
ritorno di Berlusconi (a cui pure si adeguerebbe, se necessario) ma piuttosto il
rilancio di una nuova coalizione tra il Partito Democratico di Veltroni e il
futuro partito socialdemocratico che dovrebbe nascere dalla "cosa rossa". Di qui
lo spazio e l'attenzione dedicati da gran parte della stampa borghese ai primi
passi della riunificazione delle forze socialdemocratiche (Prc, Sd, Pdci, Verdi)
le quali stanno discutendo, in caso di elezioni a brevissimo termine, di una
lista comune (probabilmente con i quattro simboli) che si candida, se vince il
centrosinistra, a governare nuovamente con i banchieri; mentre nel caso (più
probabile) di una vittoria berlusconiana, si preparerebbe alla successiva
occasione di governo con la borghesia, nel frattempo continuando a governare con
essa nelle grandi città e in tante regioni.
4. Chi voglia ragionare sulla "alternativa di sistema" deve
guardare allora soprattutto fuori da quel parlamento che Rosa Luxemburg
chiamava, con formula attuale, "pollaio della democrazia borghese".
La grande
rivoluzionaria, uccisa ottant'anni fa da un governo socialdemocratico a cui si
opponeva da sinistra, sosteneva che il ruolo dei comunisti nel capitalismo è
sviluppare l'opposizione a ogni governo per preparare i rapporti di forza
necessari a rovesciare questo sistema sociale e aprire la strada a un governo
degli operai per gli operai.
E' una strada lunga e difficile ma, come si
vede, non ci sono scorciatoie tra le poltrone vellutate del Palazzo. Il
baricentro va ricercato nelle piazze e nei luoghi di lavoro, nella ripresa della
conflittualità operaia che è stata soffocata in questi due anni per l'assenza di
un grande sindacato di classe e di un partito comunista con influenza di massa.
Occorre unire i lavoratori, i precari, i disoccupati, attorno a una piattaforma
rivendicativa che rovesci tutte le politiche sociali e militari dei governi di
centrodestra e centrosinistra che si sono alternati in questi anni.
5. Affermare che il baricentro della lotta di classe è fuori
dal parlamento non significa precludersi la possibilità di utilizzare anche le
prossime elezioni per propagandare una soluzione diversa alla crisi: una
soluzione operaia.
Come Alternativa Comunista abbiamo avanzato fin dalle
scorse settimane una proposta a tutte le organizzazioni che si collocano a
sinistra della "cosa rossa" e che sono indisponibili a governare col Pd: nessuna
di queste forze (dovrebbero riconoscerlo tutti, anche se qualcuno, inebriato da
qualche comparsata televisiva, si dichiara "autosufficiente") è oggi in grado,
da sola, di ottenere risultati elettorali visibili. Insieme è invece possibile:
i nostri compagni del Pstu brasiliano (con cui condividiamo la costruzione della
Lega Internazionale dei Lavoratori) lo hanno fatto alle scorse elezioni,
candidando con altre forze anticapitalistiche Heloisa Helena in contrapposizione
a Lula e al candidato del centrodestra.
Provarci non significa rinunciare ai rispettivi progetti: noi
non condividiamo, ad esempio, i progetti di partito leggero, di semplici
iscritti, a cui lavorano altri; o la diluizione dei comunisti in "reti
anticapitaliste", come sta facendo la Lcr in Francia e in Italia Sinistra
Critica, e proseguiremo nella costruzione di un partito di militanti impegnati
in ogni lotta. Ma ciò non impedisce di formare un blocco elettorale attorno a un
programma di opposizione di classe. Gli eventuali eletti si impegnino fin d'ora
all'opposizione intransigente in parlamento (senza oscillazioni). In questo
quadro, la presentazione elettorale potrà diventare un sostegno di una lotta
che, ancora una volta, andrà condotta nei luoghi di lavoro e nelle piazze. Gli
unici luoghi da cui può nascere una alternativa di sistema.