Partito di Alternativa Comunista

Il Primo Maggio a Milano e le prospettive della lotta

Il Primo Maggio a Milano
e le prospettive della lotta
 

 
Dichiarazione del Comitato Centrale Pdac
1 maggio milano
 
 
La giornata del Primo Maggio a Milano quest’anno ha avuto un’importanza che le mancava da anni: da tempo infatti la MayDay del pomeriggio non aveva quei chiari contenuti politici, né soprattutto quella carica di attrattività che ha contraddistinto la preparazione di quella che avrebbe dovuto essere, nelle intenzioni degli organizzatori e della maggior parte dei partecipanti, una giornata di festa e di lotta. Le cose però sono andate diversamente ed è necessario interrogarsi sul perché e dare delle risposte chiare, altrimenti alla giornata del NoExpo non solo non seguirà un rilancio del movimento come molti auspicavano, ma sarà solo un altro ostacolo allo sviluppo delle lotte sociali e dei lavoratori.
 
Chi era in piazza?
Bisogna innanzitutto partire da una precisazione, soprattutto per chi non è di Milano: le manifestazioni nella giornata sono state due; la mattina c’era la manifestazione “istituzionale”, organizzata cioè dai sindacati confederali e a favore di governo ed Expo; al pomeriggio la MayDay NoExpo contro la grande manifestazione dei padroni e delle multinazionali, a cui erano presenti movimenti sociali, i sindacati di base e la sinistra Cgil e infine diversi movimenti politici, alcuni partiti e diversi gruppi di centri sociali e di antagonisti. Assenza significativa quella dei soggetti che stanno costruendo la “coalizione sociale” landiniana, assenza che indica una scelta di campo chiara, quella interna al sistema capitalista, come “altra faccia” del regime renziano. Come Alternativa comunista rivendichiamo con forza la partecipazione alla manifestazione del pomeriggio, contro il modello Expo e il sistema capitalistico di cui Expo incarna quasi tutti i mali, ma crediamo che le pratiche di alcuni siano esiziali per la crescita e il rafforzamento delle lotte sociali e operaie.
 
Infiltrati o politicamente sprovveduti?
Noi non ci uniamo al coro degli ipocriti borghesi e di quanti, per giustificare la loro assenza, denunciano gli “infiltrati” black block e dicono che non sono scesi in piazza perché sapevano che sarebbe finita così, cercando di mascherare la loro subordinazione alle logiche e ai progetti del capitale. Ma è necessario comprendere chi sono questi black block e capire quali sono le loro pratiche e concezioni.
Sono frange che credono che si possa riaccendere il conflitto sociale inducendo artificialmente a scontri con la polizia spaccando vetrine e bancomat oppure incendiando macchine. Si concepiscono di fatto come “avanguardie” del conflitto sociale, che vogliono gestire artificialmente e al di fuori dei movimenti reali di lotta sociali o dei lavoratori, al di fuori di qualsiasi modalità democratica di gestione del movimento. E pensare che questa gente critica ferocemente i partiti di tipo leninista perché manovrerebbero i movimenti!
Questo “blocco nero” non è composto da “infiltrati” nel senso borghese del termine, cioè da professionisti della devastazione, ma da persone che hanno una concezione della lotta di classe totalmente opposta alle sue leggi reali. C’è però una verità che non si può negare e che tutta l’esperienza storica del movimento ci conferma: questo tipo di frange sono assolutamente permeabili alle infiltrazioni e provocazioni che gli apparati repressivi dello Stato mettono sistematicamente in atto contro tutte le organizzazioni che si oppongono a vario titolo al sistema dominante. E' la natura stessa di questi gruppi li rende più facilmente soggetti dei partiti rivoluzionari alle infiltrazioni.
I black block non sono tutti infiltrati, ma tra i black block vi sono degli infiltrati e probabilmente non pochi. Le azioni violente compiute dal “blocco nero” sono quindi opera dei provocatori della polizia o solamente della loro erronea concezione avanguardista della lotta, della loro estetica della violenza? Non lo sapremo mai, e in un certo senso non abbiamo bisogno di saperlo con certezza, quello che conta sono gli effetti sulla manifestazione e sul movimento.

Quali prospettive c’erano per la MayDay NoExpo?
Per i black block e per i gruppi attigui a quell’area la gente in piazza era solo una “massa di manovra” per le loro azioni: gente da mandare impreparata al macello nella speranza che lo scontro con la polizia riaccenda gli antagonismo di classe. Per questi gruppi non esiste la dinamica della lotta di classe, non esistono momenti di flusso e riflusso, non esistono gli umori delle masse: esistono solo loro, cioè l’unica parte cosciente del movimento “rivoluzionario”, e tutti gli altri che devono essere indotti con artifici a lottare. Questa è la concezione comune a tutti questi gruppi, sebbene con sfumature diverse tra di loro. Ecco perché nei loro comunicati si leggono spesso espressioni come “esercizio della forza”, “pratica dell'obiettivo”, “rottura della compatibilità di sfilate sempre uguali”: credono che il movimento non abbia senso se non si esprime attraverso la violenza.
Ma qual è lo stato attuale del movimento? Secondo noi in Italia le lotte vivono un momento di riflusso, di atomizzazione: vi sono lotte anche radicali, ma rimangono per ora purtroppo isolate tra loro. È come se mancasse un “tessuto connettivo” sociale numericamente rilevante che le supporti. In questo quadro generale si iscrive il movimento NoExpo, che però non viveva una fase di crescita, ma semplicemente un “colpo di coda” dovuto all’inizio del grande evento. Non si poteva certo pensare, con le forze in campo, di bloccare l’Expo come nei mesi scorsi propagandavano certi gruppi. Il corteo del 1° maggio doveva quindi essere una occasione per cercare di rafforzare i legami tra le varie realtà di lotta presenti in piazza e per cominciare a ricostruire un blocco sociale di sostegno a queste lotte sociali e operaie. I black block, invece, astraendo completamente dalla fase della lotta di classe, credevano che fosse importante fare azioni simboliche perché il corteo non fosse semplicemente il “solito corteo”. Non concepiscono che la differenza tra un “corteo istituzionale” e un corteo di opposizione al governo, in una fase come questa, non passa dalle violenze di piazza, ma dalle parole d’ordine che il movimento riesce a concordare, dalle prospettive di lotta che si riescono a costruire. Non riescono a capire come le forme delle lotte operaie devono in primo luogo avere l’obiettivo di fortificare la lotta degli operai stessi, la loro coesione, la loro determinazione e la loro fiducia nelle possibilità di vittoria. Non possono essere calate dall’alto. In una fase come questa anche una manifestazione molto partecipata e unitaria su parole d’ordine radicali può servire a questi scopi. La violenza messa in atto dai black block invece non ha fatto altro che dare un colpo all’unità dei lavoratori, staccando quelli più arretrati dalle avanguardie delle lotte, indebolendo queste ultime. 
 
Violenza minoritaria o violenza rivoluzionaria?
Come rivoluzionari non siamo moralisti: noi non siamo contro la violenza, siamo contro la violenza inutile. La violenza di piccoli gruppi minoritari, senza alcuna connessione con il reale corso della lotta di classe, è dannosa per il movimento quandanche non fosse strumentale alla provocazione della polizia. E di provocazione a nostro avviso si è trattato: i padroni, e probabilmente lo stesso Renzi in prima persona, hanno dato ordine di lasciare sfogare le “teste calde” lontane dall’Expo ma vicinissime al centro della città, alle sue banche, alle agenzie interinali e immobiliari, obiettivi dichiarati dei black block. Queste frange hanno svolto il ruolo di utili idioti nella pantomima organizzata dal governo Renzi per criminalizzare il dissenso sociale.
La sola violenza che per noi è concepibile è quella rivoluzionaria, cioè una violenza di massa che si esprime attraverso le decisioni degli organismi di lotta democratici delle masse in lotta contro questo sistema. È questa la unica violenza che ammettiamo, ma devono esservi le condizioni per metterla in atto: non può mai essere una scelta avanguardista! Questo anche perché soltanto la violenza di massa può spezzare quella che è la violenza quotidiana della società capitalista, la violenza economica dei padroni e quella dei loro organi di repressione, mentre la violenza minoritaria, non essendo in grado di cambiare realmente e durevolmente le cose, serve solo a dare un bersaglio alla repressione che può così scatenarsi sull’insieme del movimento, intimorendo gli strati più arretrati che prima partecipavano alle lotte e che poi si ritraggono, non condividendo prospettive sbagliate e che non sono proprie del movimento operaio.
 
Le prospettive dopo il Primo Maggio e i compiti dei rivoluzionari
Dobbiamo quindi rispondere a una domanda essenziale e invitiamo tutti a fare una riflessione su questo punto: le lotte sociali e dei lavoratori saranno più forti o più deboli dopo la giornata del NoExpo? Quando ci saranno degli sgomberi di case occupate a Milano o in altre città ci saranno più o meno persone a sostenere gli occupanti? Quando i lavoratori della logistica dovranno lottare contro la serrata padronale della Sda avranno più o meno sostegno dai lavoratori italiani e dai vari solidali? Secondo noi le azioni di violenza minoritaria del  Primo Maggio mettono in pericolo il già esiguo blocco sociale di opposizione al governo e alle politiche di austerità che da questo vengono portate avanti. E comunque si è persa un’occasione per rafforzare le lotte e la loro unità.
Il vero problema è che queste dinamiche dannose non si esauriranno, ma continueranno a perpetuarsi in una sorta di “eterno ritorno”, e fino a che i sindacati conflittuali saranno così deboli e così divisi non sarà semplice evitare che certe pratiche prendano il sopravvento, anche se messe in atto da parti minoritarie dei cortei.
Bisogna battere politicamente questi gruppi, con un programma rivoluzionario chiaro e conseguente, con pratiche democratiche che tengano conto della coscienza delle masse in lotta e soprattutto dei lavoratori, lavorando per rafforzare le lotte e l’unità delle lotte, per far comprendere come l’unico cambiamento sociale possibile possa avvenire attraverso un impegno cosciente dei lavoratori per costruire un altro sistema economico e sociale, e non utilizzandoli come “massa di manovra” o peggio come “carne da cannone”. In questo, estremismo e riformismo sono due facce della stessa medaglia. I rivoluzionari invece devono intervenire in ogni lotta, anche in quelle parziali, per rafforzarle, rafforzando al contempo il partito e portando nelle lotte quella coscienza socialista che da sole non possono raggiungere.
Bisogna costruire un partito veramente rivoluzionario, che possa difendersi il meglio possibile contro le infiltrazioni e le provocazioni della polizia, che sappia dare una prospettiva politica ai lavoratori che si radicalizzano, che sappia cementare un blocco sociale attorno alle sue parole d’ordine e rilanciare le pratiche di lotta operaie sempre più radicali, al fine di rovesciare per sempre la violenza e il dominio dei padroni. Gli sfoghi passeggeri non ci interessano.

 

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