Partito di Alternativa Comunista

Iniziamo la costruzione di un nuovo partito comunista

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Bertinotti va al governo con i banchieri e i nemici dei lavoratori e dei movimenti
di Francesco Ricci
 
Abbiamo fatto la scissione da Rifondazione e iniziamo la costruzione di un nuovo partito comunista.
Questa frase riassume un fatto che è di importanza fondamentale non solo per ognuno di noi. Riassume una scelta collettiva di migliaia di compagni e di compagne che dopo aver animato per quindici anni il Prc oggi si preparano a ricominciare il lavoro della rifondazione separandosi dalla scelta governista e anti-operaia di Bertinotti.

Mentre scriviamo queste righe, allontanandoci per qualche decina di minuti dal lavoro incessante che abbiamo iniziato e che assorbe ogni attimo di queste giornate frenetiche ma entusiasmanti, possiamo fermarci a osservare quanto sta succedendo, e questo momento che (noi estranei a ogni retorica) definiamo senza esitazione: storico.

La necessità della scissione per salvaguardare l'opposizione di classe
 
Non disponiamo ancora dei risultati definitivi delle elezioni (avremo modo di esaminarli altrove, in articoli di aggiornamento sul nostro sito web) ma un dato è certo: la sconfitta elettorale di Berlusconi apre la porta al secondo governo Prodi, con il pieno coinvolgimento del Prc. Rifondazione Comunista abbandona il ruolo (seppur occupato spesso più che altro simbolicamente) di partito di opposizione e diventa un'appendice di un governo borghese. Non un qualsiasi governo liberale: un governo di una potenza imperialista che si impegnerà da subito in una guerra sociale interna contro i lavoratori e contro i giovani, per fare pagare alle classi subalterne la crisi del capitalismo; e che proseguirà le guerre militari contro i Paesi dipendenti.
Abbiamo tante volte analizzato su questo giornale il programma, le forze sociali e politiche che sostengono questo progetto di alternanza. Volendo qui riassumere tutto potremmo dire: dalla padella alla brace. Dalla padella di Berlusconi, cioè di un governo liberale con venature reazionarie, che ha difeso per anni principalmente gli interessi di un settore borghese, alla brace di un governo liberale ispirato e direttamente sostenuto dalle classi dominanti, che si propone di difendere meglio gli interessi "del Paese", cioè della borghesia nel suo insieme.
La sconfitta di Berlusconi -a cui tutti abbiamo lavorato per anni nelle lotte e nei movimenti- avviene dunque non per aprire lo spazio di una "grande riforma", come sostiene Bertinotti, ma lasciando il posto a un governo di banchieri che già dalle prossime settimane avvierà manovre "correttive" e una finanziaria di "lacrime e sangue", un "governo amico" di Montezemolo e dunque un governo nemico degli operai.
La sconfitta di Berlusconi e del centrodestra non coincide insomma in nessun modo con una vittoria dei lavoratori: a vincere sono ancora una volta i padroni del Paese. Non c'è bisogno di alcuna "prova del budino" per affermare questo. Basta guardare al sostegno senza precedenti fornito da tutta la stampa padronale a questo ricambio di governo e le stesse dichiarazioni delle prime ore dopo il voto.
Si tratta allora non di affondare il cucchiaio nel budino avvelenato cucinato da Prodi e Bertinotti (quest'ultimo nelle vesti, in realtà, di sguattero di cucina) ma piuttosto di garantire da subito la costruzione di una forte e nuova opposizione all'attacco che il governo Prodi si prepara a sferrare al proletariato; un attacco reso mille volte più insidioso dalla rimozione dell'opposizione garantita sul terreno sindacale dalla Cgil di Epifani e sul terreno politico dal gruppo dirigente di Rifondazione.
Il nostro compito principale è quello di lanciare una vertenza unificante dei lavoratori e dei disoccupati, attorno a un programma che includa obiettivi immediati e transitori a partire dal rilancio delle lotte per un forte aumento salariale uguale per tutti; l'assunzione dei giovani lavoratori precari; l'apertura sotto controllo operaio dei libri contabili delle aziende; la nazionalizzazione, senza indennizzo e sotto controllo operaio, delle fabbriche che licenziano e chiudono; la nazionalizzazione, sotto controllo operaio e senza indennizzo, delle banche investite da bancopoli; lo sviluppo del movimento per il ritiro immediato delle forze di occupazione dall'Irak e la solidarietà incondizionata con la resistenza irakena contro l'imperialismo.

Il vicolo cieco della socialdemocrazia
 
Rifondazione Comunista, con l'ingresso di ministri nel governo di Montezemolo e De Benedetti, cambia definitivamente collocazione e ruolo. Non si tratta di una "svolta" o di un abbandono di una Rifondazione rivoluzionaria che, in quanto tale, non è mai esistita fin dalla nascita del Prc. Non siamo di fronte a un voltafaccia da parte del gruppo dirigente -che viceversa da sempre non ha mai perseguito obiettivo diverso da quello di poter appoggiare il sedere su delle poltrone di governo (o su qualche sgabello di sottogoverno). Siamo però al tradimento -questo sì- delle aspirazioni e degli sforzi di migliaia di militanti che per anni hanno creduto nella costruzione del "cuore dell'opposizione" alle politiche del padronato e che si ritrovano infine ingannati e arruolati nel sostegno a quello che sarà uno dei più pericolosi governi borghesi di questi decenni. Un governo -questo Prodi II- che ha come unico scopo quello di attaccare i lavoratori garantendo al contempo la "pace sociale", che significa, in una società divisa in classi, che ad attaccare sarà solo una parte -quella borghese.
Questo definitivo approdo di governo di Bertinotti completa un lungo percorso governista (il Prc era già al governo nelle principali città e regioni) e fa compiere a Rifondazione un "salto di qualità" (in termini dialettici, non certo letteralmente), producendo il definitivo assorbimento del partito nel quadro della governabilità borghese. La nuova collocazione moltiplicherà in tempi brevissimi la burocratizzazione del partito, accrescerà a dismisura lo strato di arrivisti interessati soltanto a trovare un angolo libero della grande mangiatoia di governo dove infilare il muso. Lo spazio per i militanti onesti si azzererà velocemente: costringendoli, in ogni caso, ad essere -al di là della loro volontà soggettiva- strumenti di un progetto antioperaio che vede in Rifondazione il cuscinetto con cui ammortizzare le lotte sociali, con cui frenare -o cercare di frenare- la reazione che comunque si produrrà in risposta a un attacco terribilmente duro. Un attacco ai salari, alle pensioni, a quanto resta dello Stato sociale, dei servizi. Le cifre che già iniziano a girare in questi giorni la dicono lunga su cosa sta preparando Prodi. Altro che "grande riforma"!
Bertinotti crede di ripercorrere il viale socialdemocratico (cioè di farsi artefice dello scambio tra collaborazione di classe al governo borghese e qualche mancia redistributiva) inseguendo quel successo che non ha mai arriso al riformismo nemmeno quando era cento volte più forte del Prc e la stagione economica consentiva al capitalismo di lasciar cadere dalla tavola qualche briciola. Dopo due secoli di fallimenti della socialdemocrazia, Bertinotti si propone di condurre a un ennesimo fallimento i militanti del Prc e dei movimenti di lotta. Per lui e per il gruppo dirigente il fallimento del processo della rifondazione di una forza realmente comunista e la crisi a cui arriverà in breve il Prc non hanno in realtà grande importanza. Per questo pezzo di apparato burocratico lo scopo non è certo l'alternativa di classe ma piuttosto la realizzazione di una "carriera". Bertinotti stesso sa bene quale ruolo viene assegnato al Prc. Eppure -come centinaia di dirigenti socialdemocratici prima di lui (molti anche ben più capaci)- è convinto di poter in qualche modo giocare d'astuzia, garantendosi una tranquilla navigazione nel mare inquinato della collaborazione di classe. Ma inizierà presto a ingoiare acqua e a capire che nel gioco borghese a vincere sono sempre e soltanto le classi dominanti. La miglior sintesi del governismo alla Bertinotti l'ha data centocinquanta anni fa Engels, parlando dell'ingresso dei socialisti francesi (Blanc) in un governo liberale: "I socialisti francesi hanno commesso la colpa di accettare qualche seggio nel governo. Minoranza in un governo dei liberali borghesi, essi hanno sostenuto la responsabilità di tutte le infamie votate dalla maggioranza e mentre ciò succedeva, la classe operaia era paralizzata dalla presenza al governo di questi ministri che pretendevano di rappresentarla."

Finisce un equivoco, si apre un nuovo spazio politico
 
L'ingresso al governo di Bertinotti può tuttavia rivelarsi un passo avanti per i comunisti. Non per l'azione di governo dell'apprendista socialdemocratico ma perché chiarisce un equivoco, libera lo spazio politico comunista occupato abusivamente per anni da un gruppo dirigente riformista. In altre parole: Bertinotti va a occupare lo spazio che gli è più congeniale, nei salotti borghesi; i comunisti possono così diventare maggiormente visibili nello spazio che a loro più si addice: nelle piazze, nelle lotte.
Per anni -pur non nutrendo alcuna illusione su una impossibile riforma dei riformisti- abbiamo lavorato nel Prc, raggruppando forze intorno a una prospettiva che era apertamente inconciliabile con quella riformista. Quel lungo lavoro ci consente oggi di investire su un terreno completamente diverso le forze militanti che la nostra battaglia ha selezionato. Centinaia di quadri giovani, di operai sono in grado di far funzionare un embrione di nuovo partito. Si tratta di affrontare l'impresa.
E' questo l'invito che rivolgiamo a tutti i compagni che si sono impegnati nelle mobilitazioni di questi anni, ai militanti del Prc, a coloro che hanno sostenuto le diverse aree di critica o di opposizione al bertinottismo. A questi ultimi in particolare diciamo: la fase della battaglia nel Prc è conclusa, c'è bisogno di costruire ora, subito, una opposizione di classe a questo governo e quindi un partito comunista capace di svolgere questo compito; i dirigenti delle minoranze del Prc (i Grassi, i Cannavò e Malabarba, i Bellotti) vi propongono invece di rimuovere questa necessità gigantesca e di rimanere a criticare invano il corso bertinottiano. Lo stesso invito rivolgiamo ai compagni impegnati nel gruppo di Ferrando: c'è la necessità di costruire un'organizzazione vera, radicata, di quadri, di militanti responsabili, non un partitino nei fatti leggero, federalista, in cui tutto è basato sull'ennesimo leader carismatico e sulle sue proiezioni giornalistiche. L'ulteriore deriva lideristica di Ferrando (inebriato dallo spazio televisivo che ha avuto per una settimana, re in sogno e nullità al risveglio), i micro-spezzoni di corteo animati dai suoi sostenitori, con cartelli e slogan che richiamano Ferrando (come facevano certi gruppi con Mao decenni fa), confermano un fatto che sta all'origine della separazione di PC Rol (e della maggioranza dei quadri e dei giovani) dal vecchio Progetto Comunista: ovunque si collocheranno (anche in caso decidessero di uscire dal Prc) Ferrando e Grisolia costruiranno sempre solo l'ennesima setta attorno a un guru il cui unico scopo è quello di appagare il narcisismo di due persone.

Quale partito?
 
Il 22 di aprile, con l'assemblea nazionale a Roma, iniziamo un percorso costituente che ci porterà, a fine anno, al congresso fondativo del nuovo partito.
Non un partito qualsiasi, non una riedizione del Prc o di una delle tante sette che pure hanno continuato a sopravvivere anche quando c'era un Prc collocato (almeno formalmente) come partito di lotta. Quello che vogliamo fondare è un partito di militanti, un partito d'avanguardia partecipe di ogni lotta, piccola e grande. Un partito che sappia intervenire nelle mobilitazioni sulla base di un programma transitorio, che indichi pazientemente cioè il legame tra ogni piccola rivendicazione dei lavoratori e dei giovani e la necessità di una trasformazione rivoluzionaria e socialista della società. Un partito, insomma, che mira a costruire ciò che realmente è mancato in tutti questi decenni: non le lotte ma una prospettiva di sviluppo rivoluzionario delle lotte. Che si ponga quindi -e costruisca i rapporti di forza necessari- l'obiettivo del potere: non inteso come poltroncina offerta dalla borghesia alla classe operaia ma come potere della classe operaia contro la borghesia.
Vogliamo costruire un partito internazionalista -cioè partecipe della rifondazione dell'Internazionale rivoluzionaria, cioè dell'Internazionale basata su un programma transitorio per il rovesciamento del capitalismo in ogni Paese. Per questo saremo impegnati nel processo di rifondazione della Quarta Internazionale.
In questo progetto ambizioso ma necessario non ripartiamo da una generica "ricerca" teorico-programmatica. Ci appoggiamo invece sulle grandi acquisizioni del movimento operaio e comunista di questi due secoli. E dunque sullo sviluppo del leninismo nella lotta contro lo stalinismo e la socialdemocrazia: ripartiamo dal marxismo della nostra epoca, cioè dal trotskismo. Non intendiamo con questa parola una selezione di provenienza o di percorsi politici individuali. Quando parliamo di "trotskismo" ci riferiamo non a una connotazione "ideologica" ma a un programma. Il programma del rovesciamento rivoluzionario della società capitalistica e dell'affermazione del potere dei lavoratori, di un governo "degli operai per gli operai" (per usare la definizione con cui Marx salutò la Comune di Parigi).

Perché crediamo di poterci riuscire
 
Essendo tutti noi dotati di realismo (che non ha nulla a che fare con lo scetticismo di chi preferisce trovare un inesistente angolo tranquillo in questa società in putrefazione), sappiamo bene che l'opera che iniziamo oggi è difficilissima e non c'è un "rapporto aureo" che, se applicato, garantisca la nascita di un partito perfetto. Sappiamo però anche che non si tratta di un tentativo velleitario perché iniziamo in una situazione che non ha precedenti in Italia. Per decenni la costruzione di un partito comunista rivoluzionario è stata ostacolata dallo stalinismo prima e da un forte Pci socialdemocratico poi. Nel momento della crisi dello stalinismo, un gruppo dirigente riformista lanciò Rifondazione, ingabbiando energie militanti in un progetto che ha nei fatti per anni ostacolato la costruzione di un partito rivoluzionario. La battaglia contro il riformismo che abbiamo condotto per quindici anni nel Prc ci ha consentito di raggruppare le forze necessarie oggi ad avviare una rifondazione realmente comunista.
Per la prima volta da decenni lo spazio per la costruzione di un partito rivoluzionario si apre davanti a un nucleo di militanti in grado di affrontare il cimento. In grado soprattutto perché disponiamo dell'energia e dell'entusiasmo di tanti quadri giovani ma anche del patrimonio di lotte e di esperienza del marxismo rivoluzionario odierno.
A tutti i militanti comunisti del Prc e fuori dal Prc rivolgiamo un appello: unitevi a noi in questa impresa straordinaria; lasciamo ai burocrati l'entusiasmo per i posti di governo, per le innumerevoli poltrone che la borghesia offre in cambio del sostegno alle sue politiche. I comunisti hanno altre aspirazioni.
Mentre noi prepariamo le fondamenta di un nuovo partito comunista e rivoluzionario in Italia, le piazze di Parigi e della Francia intera sono ancora una volta incendiate dal fuoco della rivolta di classe. Il nostro partito non poteva nascere sotto auspici migliori.

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