Intervista agli operai
nell'azienda occupata
ADESSO DIRIGIAMO
NOI!
I cancelli dell'Alcoa di Portovesme
(Sardegna)
Intervista agli operai dell'Alcoa in lotta, a
cura del Pdac sardo
Sui giornali borghesi di questi
giorni (vedi Repubblica) troviamo bislacche analisi sul "ritorno" delle
tute blu e sulla loro uscita dall’invisibilità sociale. Come se stessero
parlando di un nuovo vestito tornato alla moda e, indagando a vanvera i motivi
di tanto rumore operaio, evitano di porsi la domanda più semplice: esiste ancora
una classe operaia? Non si danno una risposta perché sanno che essa
costituirebbe una dura e inappellabile condanna per i loro padroni e
finanziatori.
Una delegazione del Pdac della
Sardegna è andata a incontrare questa classe. Siamo andati a presentare la
nostra solidarietà ai compagni operai in lotta dell’Alcoa di Portovesme in
Sardegna e abbiamo rivolto loro qualche domanda.
L’intervista la facciamo con Angelo
Diciotti della FlmUniti Cub di Carbonia rappresentante sindacale proprio
dell’Alcoa, impegnato da anni nella lotta sindacale e in prima linea per il
riconoscimento degli indennizzi pensionistici per l’esposizione all’amianto.
Il vento gelido che sferza il
piazzale riesce a malapena a stemperare il clima caldissimo che si respira.
Davanti al cancello dove parliamo è stata adagiata una struttura metallica per
impedire l’ingresso ai camion che trasportano il materiale.
Due tende
costituiscono un debole riparo dal freddo ma anche un solido presidio
operaio. Appena avviciniamo Angelo capiamo che l’intervista avrà un andamento
discontinuo a causa del momento denso di impegni. Mentre infatti cominciamo a
rivolgergli qualche domanda veniamo accerchiati da decine di operai che
vogliono sentire e intervenire e rivolgere essi stessi qualche domanda ad
Angelo. Ci adattiamo ben volentieri all’irregolarità dell’intervista. C’è chi
chiede se la lista di chi parte per Roma giovedì è pronta. Qualcun altro ha
paura della cassa integrazione. Angelo risponde a tutti e fuga ogni incertezza
sulla marcia comune e intransigente delle organizzazioni sindacali. Per ogni
passo nostro – dice – i sindacati hanno da farne almeno tre, questa è la
regola. Allora ne approfittiamo per
iniziare
Federico (Pdac): Angelo, chi
paga il viaggio? (Angelo si rivolge ad un operaio che gli sta
affianco e che risponde per lui).
Noi, ancora noi come per i
precedenti viaggi ci tassiamo e mettiamo i soldi delle tessere (sindacali,
ndr). Saremo più di trecento e partiremo a scaglioni, cinque pulmann ci
porteranno ad Olbia dove ci imbarcheremo alla volta di Roma dove faremo un
presidio davanti al ministero di Scajola, che ha fatto gia sapere che non ci
sarà .
Questa volta come
fronteggerete il problema delle cariche?
Siamo stati
strumentalizzati, in realtà noi non abbiamo fatto nulla, questa volta abbiamo
deciso che ogni partecipante dovrà vestire la tuta ed il casco della fabbrica
per essere riconoscibile ed evitare così le pretestuose accuse di infiltrazioni
non meglio identificate.
Cosa vi aspettate da questa
ennesima coraggiosa manifestazione?
Nulla, non ci facciamo
illusioni, i padroni americani della multinazionale hanno già messo in atto
tutte le procedure utili alla chiusura degli impianti: comunicazione al
ministero del lavoro, ecc. Ora è il governo che deve dare risposte, o meglio
mantenere le promesse fatte.
Quali sono state queste
promesse?
Riduzione delle tariffe energetiche. Questo è il motivo
della chiusura: l’energia costa troppo. E a farne le spese sono gli
operai.
(Ogni
tanto veniamo interrotti da qualche operaio che argomenta qualche teoria sul
futuro. Si discutono alternative energetiche, il nucleare viene scartato subito
ma si torna al punto di partenza. Qui l’Enel, ci dice Angelo, ha un monopolio
inattaccabile e incontrollabile).
Se giovedì non otterrete
nulla cosa siete disposti a fare?
Continuare a lottare per far
capire a questi signori che non ci arrendiamo
E l’episodio del
rapimento del direttore denunciato dalla stampa qualche giorno fa?
È stato solo uno
scherzo.
(Mentre un operaio lo dice,
gli altri ridono. Un altro rincara la dose).
Altro che rapirlo, bisognerebbe
mettere uno di noi al suo posto oppure uno indicato da noi operai.
(Attorno
a questa affermazione di uno degli operai più giovani si accende un aspro
dibattito che viene chiuso da un salomonico Angelo).
Ce lo lasciano fare a noi il lavoro
del direttore? no? E allora confidiamo nella lotta. L'Alcoa non vuole promesse ma fatti concreti per abbassare i costi
dell'energia elettrica per evitare la chiusura dell'impianto di Portovesme. In
altre parti del mondo l'energia elettrica per uso industriale viene pagata meno
che da noi, con una netta perdita di introiti, per cui non converrebbe
continuare a tenere aperto lo stabilimento sardo; per loro sarebbe più semplice
e redditizio chiuderlo e aprirlo da un'altra parte con costi dell'energia più
ridotti.
Una legge del 2005 che prevedeva il ribasso del costo energetico è
stato impugnata dall'Unione Europea, che l’ha bocciata come aiuto di Stato e
che, per questa ragione, ha imposto alla stessa Alcoa di rimborsare quei soldi.
Essendo in Italia solo due le tariffe di costo energetico, e capitanate da
una sola industria, l'Enel, non si può pensare che il governo faccia un favore
all'Alcoa sarda e non a un'altra industria del continente perché così facendo si
rischia che l'Unione Europea li qualifichi come aiuti di Stato e che blocchi
tutto quanto, ritornando al punto di partenza. Lo Stato Italiano deve fare un
decreto legge per l'Alcoa sarda strutturato in modo tale che non possa essere
impugnato dall'Unione Europea.
La soluzione sarebbe suddividere i costi
dell'energia elettrica in più fasce di utenti dai privati cittadini alle
industrie primarie e alle industri secondarie. Da noi in Italia esistono solo
due tariffe.
Vi
faccio una provocazione. Giovedì andate, manifestate e non ottenete nulla.
Venerdì cosa siete disposti a fare? che speranze avete?
Noi almeno
abbiamo una possibilità e ce la giochiamo, noi confidiamo in ciò che possiamo
ottenere. Rispetto a loro (indica con la mano aperta le fabbriche attorno che
sono chiuse oppure in una crisi senza ritorno, ndr) abbiamo una opportunità che
non vogliamo abbandonare, non vogliamo mollare.
Ma ora devono andare
perché si stanno chiudendo le liste (non quelle per le elezioni borghesi ma
per andare a manifestare a Roma). Ci salutiamo e auguriamo loro una buona
manifestazione. Ci diamo appuntamento a venerdì quando torneremo per avere
notizie: perché noi del Pdac le informazioni non le vogliamo dai giornali
ammaestrati dalla borghesia, che fingono di scoprire che forse una classe esiste
e ne hanno paura, la mistificano, la declassano a parte sociale “arrabbiata” e
incompresa. La verità preferiamo sentirla dalla voce degli operai che lottano. E
questi dell'Alcoa sono davvero un esempio da imitare: perché noi pensiamo -e lo
diciamo in ogni luogo di lotta- che l'unica vera soluzione contro la chiusura
delle fabbriche, i licenziamenti, la cassa integrazione (anticamera della
disoccupazione), è lottare, occupare le fabbriche e imporne l'esproprio. Bisogna
che a dirigere ci siano i lavoratori.