BASE A VICENZA LA NOSTRA BATTAGLIA DOPO IL SI' DEL GOVERNO PRODI
Una cronaca da Vicenza
di Patrizia Cammarata (*)
Il sì di Prodi
Dopo poco
meno di due ore dalla notizia del sì di Prodi al progetto d'ampliamento della
base Usa di Vicenza, cinquemila vicentini hanno invaso le strade del centro e si
sono recati alla stazione ferroviaria occupando i binari e bloccando il
traffico. "Vergogna" è stato lo slogan scandito dai manifestanti, moltissimi dei
quali sventolavano la tessera elettorale promettendo di strapparla.
Visibilissimo lo striscione di Emergency e tantissimi altri striscioni fra i
quali "Governo Prodi, governo di guerra", "Vicenza è nostra e non si USA,
resisteremo come la Val di Susa".
Nell'ultimo numero del nostro giornale Progetto Comunista, in un articolo datato 18 dicembre 2006, diamo un ampio resoconto di quanto succedeva all'interno dei comitati e dell'assemblea permanente soprattutto dopo il riuscito tentativo, da parte del ministro Parisi, di annullare la già organizzata manifestazione che doveva svolgersi a Roma il 24 novembre in cambio di un incontro con cinque portavoce dei comitati.
Un'alluvione d'auto-sospensioni: il primo sembra essere stato il consigliere disobbediente verde Olol Jackson, "braccio destro" del consigliere regionale Gianfranco Bettin, poi a ruota moltissime altre autosospensioni fra le quali quella della parlamentare Ds Lalla Trupia e del direttivo cittadino di Rifondazione Comunista. Singoli politici o "gruppi organizzati" all'interno dei partiti del centro sinistra hanno seguito l'onda.
Ma, di là dai giochi politici, più o meno seri, più o meno indicativi e reali, quello che è veramente reale e drammatico è il disorientamento e il trauma delle migliaia di militanti di base e iscritti onesti che veramente e ingenuamente avevano creduto e votato questo governo.
Generosi ragazzi fanno i turni per dormire, gli abitanti dei dintorni arrivano con salame, dolci, caffè, coperte... Il panettiere del paese porta il pane caldo tutte le mattine, la solidarietà si allarga.
Le assemblee serali sono molto partecipate, 200- 300 persone di tutte le età. Ma non è vero che sono queste persone a decidere. Infatti, al termine delle assemblee non si vota, è "vietato".
I "disobbedienti dei centri sociali del Nord Est", che controllano politicamente il presidio poiché struttura e organizzazione è loro, non pongono al voto le decisioni. La decisione, dicono, non deve essere votata ma condivisa. Restano così inevase le domande: quante persone erano d'accordo che al presidio dovesse essere ospitata la parlamentare Lidia Menapace e il consigliere regionale della Margherita Achille Variati?
I manifestanti a Roma (fra i quali chi scrive) hanno parlato chiaro: non è stata espressa soltanto la ferma contrarietà all'operazione "Dal Molin", ma si è sferrato un attaccato esplicito alla politica estera imperialista e coloniale del governo Prodi con il lancio di slogan contro il governo e, al grido di "dimissioni!", il presidio ha contestato i parlamentari della sinistra "radicale" venuti a fare la loro passerella mediatica e a riproporre il loro ruolo di "mediatori" tra movimenti e governo. Assenti i parlamentari delle cosiddette "aree critiche" della "sinistra radicale", cioè i vari Grassi e Cannavò..
A fianco dei comitati e di alcune sigle sindacali, l'unico partito presente in piazza (con striscione e volantini) era il Partito di Alternativa Comunista che ha partecipato con i propri militanti del Lazio, del Veneto e con i compagni della sezione di Vicenza, che sono tra i protagonisti delle lotte dei comitati vicentini.
Risulta insomma del tutto deformata la ricostruzione data dai telegiornali della sera e anche da buona parte della stampa che hanno dato ampio spazio alle dichiarazioni di Russo Spena, Ferrero, ecc. che rilanciano il falso obiettivo di un "referendum consultivo" sulla base a Vicenza. Sembrava, dalle dichiarazioni dei Tg, che l'iniziativa fosse stata addirittura organizzata da Rifondazione, Verdi e Comunisti Italiani...
Da segnalare la dichiarazione sul presidio rilasciata al Corriere della Sera da Ferrando: "Diciamolo pure, c'è una presenza modesta". Il fatto che "il trotzkista (sic) e battagliero Ferrando" abbia rilasciato una tale dichiarazione ci fa supporre due ipotesi: Ferrando era in buona fede ma male informato e, visto che il suo virtuale partito non ha nessun militante all'interno della battaglia contro il Dal Molin, pensava che quel giorno fosse stata annunciata da Vicenza un'oceanica manifestazione. Ciò non toglie la gravità della considerazione rilasciata ad un giornale borghese contro il movimento. Seconda ipotesi: Ferrando è in malafede e tutti sono liberi d'interpretare come meglio credono il perché di tale dichiarazione che ha dato ulteriore fiato alle trombe di coloro i quali hanno parlato di un "flop"(cioè di quasi tutta la stampa borghese).
Il 25 gennaio, con lo scopo di effettuare "una visita conoscitiva in merito all'ampliamento della base Ederle" arriva a Vicenza la Commissione Difesa del Senato: Livia Prisca Menapace (Prc), Carlo Perrin (Gruppo Autonomie) e Luca Ramponi (An) guidati dal presidente Sergio De Gregorio (Italiani nel mondo).
Lidia Menapace non va all'ispezione con la Commissione ma si reca al Presidio. Questo "per dare un segnale forte di rottura" spiega all'assemblea permanente un esponente di Rifondazione.
Al Presidio è accolta con ovazioni, canti partigiani, battimani.
Il giorno dopo la senatrice Menapace dichiara alla stampa locale: "Non condivido politicamente ma tecnicamente la posizione del Comune è ineccepibile", e precisa di "non essere in grado di dire se la base è invasiva per Vicenza...", "spero che il governo non cada sulla base" .
Nel locale quotidiano Il Giornale di Vicenza si legge, riferito all'incontro fra commissione Difesa e Amministrazione Comunale: "sono quasi le 21 quando arriva il momento del saluto. Il sindaco (di Forza Italia) sta per spegnere le luci, quando si accorge che su una poltrona c'è un fazzoletto rosso: è della Menapace, ormai troppo lontana per restituirlo, "Meglio così, è il mio trofeo".
Le elezioni provinciali sono alle porte e quindi bisogna in qualche modo dare una risposta all'elettorato deluso di centrosinistra che minaccia astensione totale. Nasce così, lanciata proprio da Emilio Franzina, ma probabilmente orchestrata da centri sociali, centrosinistra e Cgil, la lista "Vicenza libera" alias "no Dal Molin". Le dichiarazioni si rincorrono: "nella lista ci deve essere gente nuova, slegata ai partiti o scelta fra esponenti che hanno dimostrato coraggio e coerenza..." e subito i nomi si snocciolano e sono quelli dell'ex consigliere Prc e del consigliere verde-disobbediente autosospeso. La più entusiasta sembra essere Franca Equizi, consigliere comunale espulsa dalla Lega Nord, che avanza la candidatura di due portavoce dei comitati: una legata alla Cgil e al centrosinistra e una di destra.
Una lista, quindi, rosso-verde, con sfumature grigiastre (ex-lega) e nere (ex An) ma rigorosamente... No Dal Molin.
Il No al Dal Molin del comitato cittadino di Vicenza Est è un No alla guerra. Non a caso due dei tre relatori dell'assemblea pubblica tenutasi venerdì 26 alla cooperativa "Insieme" erano un volontario di Emergency, il medico Claudio Lupo, e il presidente Centro Studi e Ricerca per la Pace dell'Università di Trieste, Andrea Licata. La terza relazione, di Giuseppe Carollo di Rdb Cub, era invece incentrata sulle tutele per il lavoratori della caserma Ederle. In apertura di assemblea, peraltro affollatissima, i rappresentanti del comitato, Anna Rita Bortolotto e Patrizia Cammarata (chi scrive) hanno fatto una breve cronistoria della formazione del gruppo. Dai tentativi iniziali di dissuasione da parte di alcuni cittadini ("Il quartiere ospita la caserma Ederle, conviviamo con gli americani, bisogna accontentarli") all'accuse di ideologismo. "In realtà non c'è niente di meno ideologico che schierarsi contro le basi come strumento di guerra", è stato detto "Noi teniamo presenti anche i motivi urbanistici e ambientali del Dal Molin ma la prima causa della nostra opposizione è la guerra". "Non si può parlare di basi senza parlare di guerre", ha aggiunto Lupo che quindi ha mostrato una serie di fotografie di civili mutilati in Afghanistan. "Il 90\% delle vittime sono proprio i civili e poi li chiamano effetti collaterali. L'effetto collaterale è che viene ucciso il futuro di quei popoli". "In Iraq le vittime civili sono state 650mila", ha detto Licata. "Uno dei possibili obiettivi dell'Ederle-Dal Molin potrebbe essere quello di invadere l'Africa. Seguo da tempo la situazione di Aviano. Lì, tra gli altri danni che hanno procurato alla salute dei cittadini, gli americani hanno usato anche un diserbante che poi è entrato nelle falde acquifere dove rimarrà per i prossimi trent'anni. Alla Maddalena invece finalmente il turismo può tornare e le case si rivalutano. Per mantenere le loro costosissime basi gli americani fanno pagare il conto ai Paesi ospitanti. Il 41% dei costi è sostenuto da noi ma poi bisogna aggiungere anche tutti gli sgravi di cui godono gli statunitensi. Comunque le basi prima o poi chiudono e quindi bisogna sempre pensare a progetti alternativi. Ho guardato all'estero: in Germania, dopo il 1990, hanno riconvertito caserme che davano lavoro a decine di migliaia di civili tedeschi. Qua invece con 750 persone (più indotto) in ballo sembra non si possa far niente. Ad Aviano stiamo provando ad avviare un'attività economica, a Vicenza potremmo formare un'associazione che attraverso fondi regionali od europei si occupi della riqualificazione del personale". Per Carollo la questione occupazionale è stata strumentalizzata: "Innanzi tutto la Ederle non chiuderebbe da un giorno all'altro come invece succede per tante altre aziende. Le condizioni di lavoro offerte dagli americani sono particolari: accettano solo alcuni sindacalisti, licenziano senza tanti scrupoli, non permettono a un italiano di arrivare al vertice di una gerarchia e spesso il giudice del lavoro è inefficace rispetto ai loro provvedimenti." Durante la serata, inoltre, è stata sottolineata l'importante di arrivare ad uno sciopero generale contro la nuova base Usa ed è stato lanciato l'appello a tutti i militanti di Cgil, della Cub e del sindacalismo di base di premere nei confronti delle rispettive organizzazioni per arrivare alla costruzione unitaria dello sciopero.
Il "Comitato degli abitanti e dei lavoratori di Vicenza Est" è presente a tutte le iniziative dell'Assemblea Permanente, è sorto sulla base di una raccolta firme in calce al seguente appello: Consapevoli che qualsiasi base militare è strumento di guerra, che le vittime della guerra sono soprattutto civili e bambini, che la guerra distrugge l'ambiente ed opprime i popoli, le sottoscritte cittadine e i sottoscritti cittadini, che vivono e/o lavorano a Vicenza Est, ritengono necessaria la costituzione di un Comitato che s'impegni per:
* Respingere il progetto della costruzione di una nuova base militare nell'area dell'aeroporto Dal Molin;
* Respingere qualsiasi altra ipotesi di sito alternativo per un altro progetto;
* Chiedere la smilitarizzazione del territorio con la riconversione della caserma Ederle ad usi civili e la trasformazione degli attuali posti di lavoro in lavori stabili e sicuri;
Costituiamo, quindi, il:"Comitato degli abitanti e dei lavoratori di Vicenza-Est- Contro la costruzione di una nuova base a Vicenza- Per la riconversione della Caserma Ederle ad usi civili".
Per le sue posizioni avanzate e non in linea con centrosinistra e burocrazie Cgil, che sono ancora ad invocare il referendum, l'iniziativa di venerdì 26 organizzata dal Comitato Vivenza Est è stata boicottata da gran parte dei portavoce dei comitati del No che non erano presenti all'iniziativa e da alcuni esponenti della rete Lilliput che ha organizzato proprio nelle stessa serata una riunione alla quale sono state invitate tutte le realtà presenti nel territorio contrarie alla base (escluso il comitato Vicenza Est).
Nonostante questo quasi 200 persone hanno partecipato all'assemblea anche con interventi e domande.
La riconversione dell'Ederle non fa paura al popolo ma ai partiti di governo e ai loro portavoce nel movimento.