LA FINANZIARIA DEL GOVERNO
Una manovra di (in)stabilita’ per i lavoratori
di Alberto Madoglio
Ad una prima lettura, si sarebbe tentati di dare un giudizio non del tutto negativo della Finanziaria (ora denominata “legge di stabilità”), che il ministro delle Finanze Tremonti ha presentato a nome del Governo e che in questi giorni è in discussione nei due rami del Parlamento.
Un intervento di cinque miliardi, quando negli anni passati siamo stati abituati a salassi di proporzioni maggiori, potrebbe far credere che per il prossimo anno ai lavoratori del Paese non siano richiesti sacrifici pesanti.
Sacrifici, sacrifici e ancora sacrifici
In realtà la manovra economica di
fine anno si situa nel solco dei pesantissimi tagli approvati dal Governo la
scorsa estate (che abbiamo già analizzato in un articolo apparso su questo
sito).
E nello specifico, le proposte
avanzate si inseriscono nell’ormai solito contesto di attacchi alle condizioni
di vita delle masse popolari italiane, a fronte di concessioni a quei settori
della società che anche in passato sono stati trattati con un occhio di
riguardo dai vari governi succedutisi alla guida del Paese.
Mentre decine di migliaia di
lavoratori precari della scuola pubblica non hanno visto rinnovato il loro
contratto, oppure ne hanno avuto uno con salario notevolmente ridotto, il
Governo stanzia fondi di 245 milioni di euro per le scuole private (quasi raddoppiando
l’importo previsto inizialmente). Vengono stanziati 750 milioni per finanziare
la politica estera imperialista del Governo, ossia le cosiddette missioni umanitarie,
in realtà vere e proprie guerre di aggressione (Afghanistan e Libano su tutte);
infine, con una decisione al di fuori della legge finanziaria, viene confermato
lo stanziamento di svariati miliardi per l’acquisto di nuovi caccia per
l’aviazione tricolore.
Non vengono stabilite nuove
tasse, ma la conferma dei tagli agli enti locali li costringerà a varare nuovi
balzelli, a tagliare i servizi di loro competenza o ad aumentare in maniera sensibile
le tariffe: per i pendolari si preannunciano aumenti del 25% del prezzo dei
biglietto dei treni.
Per il mondo del lavoro la musica
non cambia: il solo investimento previsto è quello per finanziare la cassa
integrazione (a conferma che anche per il prossimo anno assisteremo a un forte
calo dell’occupazione e che per impiegati e operai il futuro non promette nulla
di buono), oltre alla detassazione degli aumenti legati alla produttività. In
questo caso si tratta di una beffa vera e propria, perché in una fase in cui la
produzione è prevista in continua diminuzione, pensare che qualche impresa
possa aumentare la produttività è pura fantasia. E nel caso, più unico che
raro, in cui questo dovesse avvenire, la lezione che si vuole impartire è
chiara: se un lavoratore vuole migliorare il suo misero salario, deve lavorare
di più, in condizioni peggiori e con meno garanzie; questo nonostante la media
delle ore di lavoro in Italia sia tra le più alte tra i paesi maggiormente
sviluppati. Pomigliano comincia a fare scuola.
Con il nuovo anno, infine,
entrerà in vigore l’ennesima riforma delle pensioni, che prevede assegni pensionistici
inferiori al passato e un tempo più lungo di lavoro.
Burocrazie sindacali: pilastri della pace sociale sulle spalle dei lavoratori
Se non muta la politica economico
sociale dell’esecutivo, stesso discorso si deve fare per chi dovrebbe opporsi a
tale corso.
La sinistra radicale
(Rifondazione e Comunisti Italiani) si limita a generiche lamentazioni, visto
che al momento è impegnata a lanciare segnali di apertura a nuove coalizioni
elettorali, che per l’occasione si spingono fino a comprendere l’Udc di Casini.
Stesso ragionamento si impone per
il sindacato. Se non stupisce che la
Cgil della nuova segretaria Camusso, sia impegnata a ricucire
i rapporti con Cisl, Uil e Confindustria, fino a impegnarsi in una trattativa
per la sottoscrizione di un nuovo patto sociale, che in sostanza non è che la
resa definitiva dei lavoratori ai diktat
delle imprese, sorprende l’estrema cautela, per usare un eufemismo, della parte
più radicale del sindacato, la
Fiom.
Dopo lo strepitoso successo della
mobilitazione del 16 ottobre, riuscita nonostante l’opposizione nei fatti,
della stessa confederazione, con la partecipazione di oltre mezzo milione di
persone, invece di raccogliere la richiesta di un inasprimento della lotta così
come richiesto dalla piazza, si è optato per una folle politica di attesa.
Il Comitato Centrale del
sindacato dei metalmeccanici, pochi giorni dopo la manifestazione, ha preso la
coraggiosa decisione di proporre uno sciopero generale per il gennaio 2011!
E’ evidente a tutti come scelte
di questo tipo, lungi dall’essere delle abili manovre tattiche, rischiano
seriamente di creare sconforto, delusione e passività in tutti quei settori di
avanguardia che non aspettano altro che qualcuno indichi loro la strada per
uscire dalla devastante crisi che li sta impoverendo ogni giorno che passa.
Si conferma quanto detto più
volte in passato e cioè che il vero pilastro che garantisce la governabilità
del Paese non è quello rappresentato dal governo, dalle sue leggi, dai suoi
apparati repressivi e dai suoi potenti mezzi di persuasione, ma quello che
costruiscono le direzioni riformiste del movimento operaio, con la loro azione
di compressione delle lotte.
La vera preoccupazione delle classi dominanti: una fase di ribellione di massa
Tuttavia nemmeno il più sperimentato,
organizzato e “autorevole” apparato burocratico è onnipotente.
Tutti i politici, giornalisti ed
economisti borghesi sono consapevoli che l’anomalia italiana, fatta di una
bassa conflittualità sociale pur in presenza di una profonda crisi economica, a
differenza di quanto capita altrove, non potrà durare in eterno.
E’ unanime, tra questi “Soloni”
della governabilità borghese, la previsione che la “tenuta sociale del Paese”,
cioè la tenuta del loro dominio di classe, rischia a breve di saltare.
Un periodo di scontri sempre più
duri si avvicina. Si tratta di capire se si tratterà solo di esplosioni
violente e di massa, ma senza una chiara visione politica complessiva, oppure
se per la prima volta si riuscirà a organizzare ed incanalare questa lotta in
una prospettiva rivoluzionaria.
Va da sé che per questa seconda
ipotesi è necessaria la costruzione di un vero partito comunista basato su di
un programma rivoluzionario di classe, ed è per questo fine che i militanti del
Pdac lottano, nel sindacato così come in ogni altro ambito della lotta di
classe.