Partito di Alternativa Comunista

La loro transizione e la nostra

La loro transizione e la nostra

 

di Giacomo Biancofiore

 

 

Nel 1938 Trotsky, in conclusione del testo La loro morale e la nostra, del cui titolo ci siamo appropriati per mera assonanza, riferendosi ai bolscevichi scrisse «Hanno imparato a non temere i nemici più potenti, se la potenza di questi nemici è in contraddizione con le esigenze dello sviluppo storico». 
A poco più di 80 anni di distanza, le contraddizioni con le esigenze dello sviluppo storico oltre ad essersi amplificate sono diventate terribilmente evidenti, in particolare sul fronte della lotta contro i cambiamenti climatici e la devastazione ambientale.

 

Il capitalismo è incompatibile con la sostenibilità

Ad oggi, comunque la si guardi, emerge una incompatibilità oggettiva tra l’attuale modello di produzione e la salvaguardia dell’ambiente e della vita sul pianeta stesso; le giovani generazioni stanno imparando nella lotta per il loro futuro che il raggiungimento e il concetto stesso di sostenibilità ambientale ha coniugazioni differenti a seconda che sia intrapreso dalle masse proletarie o da chi gestisce questo sistema che non può fermare la crisi che esso stesso ha causato.
Ora si tratta di imparare a non temere questi nemici più potenti e soprattutto a respingere la narrazione che non vi sia un altro sistema possibile all’infuori di questo.
Se per la stragrande maggioranza della popolazione mondiale la questione ecologica e l’emergenza climatica rappresentano la madre di tutte le lotte, quella che vale la sopravvivenza o meno della vita su questo pianeta, per poche decine di miliardari la sostenibilità ambientale non è altro che un’opportunità di ripartenza di un sistema che garantisce i loro profitti e che è da tempo aggrovigliato in una delle sue più complesse crisi cicliche.
L’unico cruccio di questa rapace borghesia è rimettere in moto la macchina dei profitti attraverso una ulteriore crescita della forza produttiva a cui corrisponda la crescita dei consumi e, il ricorso al cosiddetto greenwashing è necessario a giustificare i massicci investimenti in questa direzione.

La transizione energetica

Ed è in questo quadro che si colloca il concetto di transizione energetica ossia il passaggio dall'utilizzo di fonti energetiche non rinnovabili a fonti rinnovabili o più in generale la transizione, attraverso il passaggio all’uso esclusivo delle fonti rinnovabili, verso quelle che sono definite economie sostenibili. Una definizione paradossale visto che non vi è nulla di sostenibile per l’uomo e per l’ambiente all’interno di un sistema economico che si basa sullo sfruttamento degli stessi.
Nello specifico la transizione energetica ha come obiettivo la riduzione delle emissioni di CO2 legate ai consumi di energia per arginare i cambiamenti climatici, che producono effetti devastanti sull’ambiente.
Il punto di riferimento della transizione «ecologica» è l’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici siglato nel 2015 in occasione della Conferenza di Parigi sul clima (Cop21) da cui derivano gli ambiziosi obiettivi stabiliti dall’Unione Europea per il 2030, ovvero:

- ridurre del 55% le emissioni di gas a effetto serra

- raggiungere almeno il 32% di quota di energia rinnovabile

- incrementare l’efficienza energetica di almeno il 32,5%

- andare verso un’Ue ad impatto zero sul clima entro il 2050 (quella che viene definita «Carbon Neutrality» cioè neutralità climatica).

 

I due pilastri della loro transizione

Due sono i pilastri su cui si basa la transizione: la decarbonizzazione e lo stile di vita delle persone.
Il primo dei due pilastri, lungi dall’intraprendere la strada verso il 2050, dall’Accordo di Parigi ad oggi è addirittura peggiorato: si bruciano complessivamente 250 tonnellate di carbone al secondo, 1.000 barili di petrolio e 105.000 metri cubi di gas metano, per un totale 1.000 tonnellate di anidride carbonica riversate in un’atmosfera già satura di gas serra. Tradotto in consumi percentuali, il 34% dell’energia che alimenta il mondo proviene ancora dalla combustione del petrolio, il 27% dal carbone, il 24% dal gas, con solo un misero 15% da nucleare e fonti rinnovabili.
A farla da padrone è quindi ancora il petrolio che, a causa del Covid, nel 2020 ha visto la domanda globale contrarsi di 8,4 milioni di barili al giorno rispetto al 2019, ma con la ripresa dei ritmi normali delle attività produttive i consumi sono tornati ai livelli pre-crisi e per giunta con un calo del prezzo che ha fatto rallentare gli investimenti in fonti rinnovabili.

Questo mostra, senza timore di smentita, cosa muove gli investimenti.
Ma qui entra in gioco il secondo pilastro, il cambio dello stile di vita delle persone, chiamate a una vita più sostenibile sebbene il capitalismo abbia costruito il suo modo di vivere sulla base della produzione e del consumo permanente di merci, poiché il consumo sfrenato è la ragione del mantenimento del sistema stesso.
Un bel grattacapo per i sostenitori della cosiddetta economia circolare che non mettono in discussione il capitalismo, un sistema evidentemente non compatibile con la produzione di beni durevoli che possono essere riutilizzabili.

 

I protagonisti della loro transizione

«Siamo impegnati in una transizione energetica che possa consentire, attraverso soluzioni concrete, di preservare l’ambiente, dare accesso all’energia a tutti e sia al tempo stesso socialmente equa» è il messaggio che svetta nella comunicazione Eni e ancora «La decarbonizzazione è un processo graduale che coinvolge molti aspetti e che noi come Enel stiamo accelerando, guidando la transizione energetica. Quello che accomuna tutti i nostri interventi è l’approccio improntato alla sostenibilità sociale e ambientale. Ogni investimento viene deciso ascoltando e coinvolgendo le comunità locali, per trasformarlo in un’occasione di sviluppo per il territorio».
Attualmente Eni è il primo produttore di petrolio al mondo in Africa, continente da cui deriva oltre la metà della sua produzione di petrolio e gas e soprattutto questi sono alcuni esempi delle «soluzioni socialmente eque», del «coinvolgimento delle comunità locali» e dello «sviluppo per il territorio»: nel Delta Del Niger (dove vivono circa 30 milioni di persone), a causa delle continue fuoriuscite di petrolio, le comunità locali respirano aria inquinata, mangiano pesce contaminato e bevono acqua mista a petrolio e per non lasciare nulla di intentato, nonostante l’immenso valore economico delle centinaia di pozzi petroliferi, dopo circa 50 anni di estrazioni che ogni anno creano l’80% del Pil nazionale, resta uno tra i più poveri Paesi africani; in Mozambico Eni e Total investono miliardi di dollari nell’estrazione di gas naturale, ma questi investimenti non portano alcun beneficio alle popolazioni locali che, piuttosto, sono costrette ad abbandonare le loro terre mentre nella regione dilaga la violenza.
Gli investimenti di Eni, che hanno un impatto devastante sulle persone e sugli ecosistemi, sono garantiti da Sace, la società finanziaria specializzata nell’assicurazione al credito per l’export, di proprietà della Cassa depositi e prestiti (quindi controllata dal ministero dell’Economia, cioè dal governo italiano).

 

Il massimo profitto possibile

Quindi, contrariamente a quanto raccontano nelle operazioni di greenwashing e lungi dal preoccuparsi di equità, coinvolgimento e sviluppo, i programmi di conversione energetica sono guidati esclusivamente dal raggiungimento del massimo profitto possibile, come sempre del resto, indipendentemente dal fatto che questo possa comportare l’aggravarsi della crisi climatica, che migliaia di persone siano ridotte alla fame e alla fine della vita su questo pianeta.
Dicevamo prima che per risolvere le sue crisi il capitalismo deve accrescere la capacità produttiva e questa dinamica ha profonde implicazioni sul rapporto metabolico con la natura, poiché per aumentare il volume della produzione e la produttività del lavoro, il sistema capitalista ha bisogno di aumentare costantemente la quantità di energia che è in grado di appropriarsi dall'ambiente.

 

La nostra transizione

Di fronte al greenwashing, alle false promesse e a una transizione energetica che non ci sarà (se non estremamente parziale) perché le fonti fossili oggi sono ancora più economiche e redditizie per il capitale, che pertanto le sfrutterà finché non si esauriranno e mentre i capitalisti stanno conducendo una lotta spietata per cercare di invertire la tendenza al ribasso del saggio di profitto, a noi non resta che lottare per invertire la tendenza dell’equilibrio metabolico tra l’essere umano e la natura.
La nostra transizione passa per la distruzione del capitalismo e la conseguente costruzione di una società socialista, basata su un rapporto razionale ed ecologico con la natura.
Solo una società socialista può programmare democraticamente la transizione energetica, a partire dalla nazionalizzazione di tutte le fonti, comprese quelle fossili, che devono passare sotto il controllo dei lavoratori, i quali non dovendo inseguire profitti privilegerebbero il minor dispendio di energia.
E se citando Trotsky abbiamo aperto questo articolo con la grande lungimiranza dello stesso Trotsky e del suo Programma di transizione lo chiudiamo «Tutte le chiacchiere secondo cui le condizioni storiche non sarebbero ancora "mature" per il socialismo, non sono che il prodotto dell'ignoranza o di una deliberata mistificazione. Le premesse oggettive della rivoluzione proletaria non solo sono mature, ma hanno addirittura cominciato a marcire. Senza una rivoluzione socialista – e nella prossima fase storica – una catastrofe minaccia tutta la civiltà umana».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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