La terra dei Draghi
Nuovo governo, interessi di classe e finte opposizioni
di Giacomo Biancofiore
I 21 applausi che al Senato hanno scandito le dichiarazioni programmatiche del nuovo presidente del Consiglio oltre a descrivere chiaramente l’atmosfera confermano che, in quelle aule, potrà contare su molti alleati e su pochi oppositori, questi ultimi per lo più solo di facciata.
Tra grandi manifestazioni di entusiasmo della stampa borghese, dove è stato accolto come salvatore della patria, Mario Draghi, già governatore della Banca d’Italia nonché presidente della Banca centrale europea, succede a Palazzo Chigi a Giuseppe Conte.
Se da un lato non sorprende affatto la vasta fiducia che da sinistra a destra accompagna il governo Draghi dall’altro non vi è alcun dubbio che quello appena inaugurato si candida a essere uno dei governi più reazionari e antipopolari che questo Paese ricordi.
La fiducia e «l’opposizione»
Ma partiamo dai numeri: al Senato i voti favorevoli sono stati 262 (la maggioranza assoluta è fissata a quota 161) mentre i contrari 40; maggioranza schiacciante anche alla Camera con 535 voti a favore, 56 contro e 5 astensioni.
A parte la dichiarata e posticcia opposizione di Fratelli d’Italia e i voti contrari di una trentina di parlamentari del Movimento 5 stelle (poi espulsi, ma non troppo) tutti i partiti sono saliti sul carro di Mario Draghi.
Questo rende decisamente poco appassionante il dibattito interno ai partiti che si può giudicare, senza timore di smentita, una pura formalità, così come formale è anche la spassosa dichiarazione di opposizione dell’assemblea nazionale di Sinistra italiana che, dopo essere stata resa inefficace da due parlamentari su tre (che hanno votato la fiducia al governo), è stata nella sostanza ribaltata dalla formazione dell’intergruppo parlamentare con il Movimento 5 stelle ed il Partito democratico. Un teatrino di quart’ordine che diventa addirittura penoso se si considera l’uso strumentale della sigla di Leu che il rieletto segretario Fratoianni usa per giustificare ogni nefandezza. Salvo poi dichiarare in riferimento al neonato intergruppo «mi sembra una cosa positiva. Sarò ben lieto di contribuire. Penso che l’alleanza vada preservata e coltivata» e ancora «l’intergruppo non sia solo un’evocazione. L’alleanza deve essere costruita».
A spiegare meglio il ruolo dell’intergruppo ci pensa il segretario del Pd Nicola Zingaretti «l'iniziativa è molto importante e offre al presidente Draghi un'area omogenea per aiutarlo a raggiungere i suoi obiettivi su un asse politico dell'europeismo che altrimenti sarebbe stato più debole». Manco a dirlo, l’altra «oppositrice» Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, a scanso di equivoci ha ribadito l’unità del centrodestra manifestando interesse per l’idea di un intergruppo anche da quelle parti.
I comitati d’affari della borghesia
Archiviata in tutti i sensi una reale opposizione in Parlamento veniamo alle cose serie, ossia a quello che rappresenta realmente il rinnovato «comitato d’affari della borghesia».
Il passaggio di consegne tra Giuseppe Conte e Mario Draghi, al di là delle vicende che lo hanno originato, risponde alla storica esigenza della borghesia che nei momenti di difficoltà, quando la tenuta del sistema economico scricchiola, ha bisogno di affidarsi a governi che, costruiti sulla retorica dell’unità nazionale, siano in grado di sviluppare senza intoppi un programma di estremo rigore. E chi può svolgere il compito meglio di quel Draghi che con la Troika già nel 2011 al grido «ce lo chiede l’Europa» impose di fatto il governo «lacrime e sangue» di Monti e della Fornero?
Come abbiamo scritto più volte, il governo Conte, nonostante l’apparente vicinanza alla popolazione piegata da una crisi ormai decennale e stesa dagli effetti devastanti della pandemia, aveva già imposto notevoli sacrifici e altri ancora ne avrebbe estorti, ma la classe dominante per gestire i miliardi di euro in arrivo e contemporaneamente addebitare la crisi al proletariato non ha voluto correre rischi scegliendo un manovratore affidabile che non debba essere disturbato.
E non intende essere di alcun disturbo il segretario generale Cgil Maurizio Landini che su Draghi dice: «è autorevole, può essere una persona utile».
Eppure, se l’ex presidente della Banca centrale europea rappresenta la massima garanzia di affidabilità e di stabilità per la borghesia, è altrettanto inequivocabile che lavoratori e lavoratrici debbano aspettarsi un attacco senza precedenti ed il conseguente netto peggioramento delle proprie condizioni.
In attesa che Landini chiarisca l’utilità di Draghi, noi proviamo a spiegare quello che ci aspetta. La citazione di Cavour con cui Draghi si è presentato ha tutta l’aria di una vera e propria minaccia: «le riforme compiute a tempo, invece di indebolire l'autorità, la rafforzano». Mentre la citazione del papa non solo ne contiene la medesima evanescenza ma riesce addirittura a mettere sullo stesso piano i danni ambientali dei padroni con i comportamenti individuali delle masse proletarie.
Scuola e università
Nel programma di Draghi trovano ampio spazio la formazione scolastica e universitaria, punto di partenza nel processo di «adesione agli standard qualitativi richiesti nel panorama europeo», che tradotto significa ulteriore adeguamento dei giovani al sistema capitalista e alle sue necessità. E se il concetto non fosse abbastanza chiaro l’ex vicepresidente della Goldman Sachs (una delle più grandi banche d’affari del mondo) lo spiega meglio: «la globalizzazione, la trasformazione digitale e la transizione ecologica stanno da anni cambiando il mercato del lavoro e richiedono continui adeguamenti nella formazione universitaria. Allo stesso tempo occorre investire adeguatamente nella ricerca, senza escludere la ricerca di base, puntando all’eccellenza, ovvero a una ricerca riconosciuta a livello internazionale per l’impatto che produce sulla nuova conoscenza e sui nuovi modelli in tutti i campi scientifici».
La ricetta buona per tutte le stagioni
Per trovare risorse il presidente del Consiglio, come da tradizione, ha indicato la strada di un impegno rinnovato e accresciuto nella lotta all’evasione ovviamente senza mai prendere in considerazione l’elusione con cui le aziende di maggiori dimensioni trasferiscono la sede fiscale in Paesi dell’Ue dove la tassazione dei dividendi distribuiti ai soci è molto più vantaggiosa.
Altrettanto chiaro è l’obiettivo di restituire al capitale i profitti persi e per questo la ricetta è la medesima di dieci anni fa: una radicale strategia di riforme, la piena liberalizzazione dei servizi pubblici, le privatizzazioni su larga scala, la riforma del sistema di contrattazione salariale collettiva in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende.
La transizione ecologica
Ma nel governo in cui la politica fa da cornice ai cosiddetti «tecnici» grande risalto viene dato al nuovo ministero per la transizione ecologica che di fatto ha sostituito quello all’ambiente per motivi meramente suggestivi. Affidato al fisico Roberto Cingolani, responsabile del dipartimento tecnologia e innovazione del gruppo Leonardo, «protagonista globale nell’Aerospazio, Difesa e Sicurezza», gestirà la «transizione» con Roberto Cerreto, capo di gabinetto che ricoprì lo stesso ruolo con Maria Elena Boschi (dovette occuparsi della scrittura dell’emendamento sui giacimenti di Tempa Rossa chiesto dalle compagnie petrolifere per aggirare le resistenze della Regione Puglia) e con il «renziano» Marcello Cecchetti (all'ufficio legislativo), che a sua volta si avvarrà come vice dell’avvocato Marco Ravazzolo, ex consigliere di Galletti nonché dirigente e responsabile Ambiente di Confindustria.
Costruire l’opposizione che manca
Piuttosto che la transizione quello che emerge senza dubbio alcuno è la conferma dell’incompatibilità tra le esigenze dei padroni e quelle dei lavoratori, nonché tra il programma radicale per la salvaguardia del Pianeta e del suo ecosistema e le ricette per salvare il sistema della «terra dei Draghi».
Di fronte a questa catastrofica prospettiva l’unica opposizione arriverà dai lavoratori, dalle lavoratrici e da tutti gli sfruttati che però nulla potranno senza un partito con un programma in grado di far comprendere a larghe masse che la soluzione dei loro problemi non può avvenire all’interno di questa società, basata sullo sfruttamento e sulla ricerca sfrenata del profitto, ma che può avvenire solo attraverso una lotta rivoluzionaria che abbia come scopo la rimozione di questo sistema politico, economico e sociale e la sua sostituzione con un'economia pianificata che sia al servizio della maggioranza dell'umanità.