LIQUIDAZIONE AIR ITALY:
1.500 LAVORATORI LASCIATI «A TERRA» CON UNA E-MAIL
Il mercato aereo mostra il volto di un sistema economico irrazionale che scarica sui lavoratori le sue inefficienze per continuare a generare sempre più profitti
di Daniele Cofani (operaio Alitalia)
La vicenda incredibile, quasi surreale, della liquidazione «in bonis» del vettore aereo Air Italy, porta alla luce tutta una serie di malattie endemiche del capitalismo che, nell’attuale crisi economica, colpiscono duramente lavoratori e masse popolari. Viviamo in un sistema sociale in cui, da un giorno all’altro, una compagnia aerea da poco rilanciata (trattativa per altro avallata dal governo italiano allora in carica) venga chiusa e i suoi dipendenti licenziati senza tanti complimenti: questo rappresenta un colpo pesante non solo per il comparto aeroportuale italiano, che vedrà aggravare un quadro già precario a causa della crisi di Alitalia (proprio a ridosso del rinnovo del Ccnl delle compagnie di handling, portando ulteriore precarietà e riduzioni del salario ai lavoratori nonostante sia un settore economico in espansione da anni), ma anche per le masse popolari della stessa Sardegna, dove per anni Air Italy, e prima ancora Meridiana, aveva nell’aeroporto di Olbia la sua principale base operativa. Non è un caso, a nostro avviso, che la notizia della liquidazione sia stata data mentre l’aeroporto di Olbia è chiuso per lavori di rifacimento della pista: in questo modo si è evitata una situazione in cui una protesta radicale avrebbe causato ingenti danni economici alle compagnie aeree e avrebbe dato un enorme potere ai lavoratori Air Italy per rivendicare la soluzione alternativa alla liquidazione della compagnia, ossia la nazionalizzazione. La situazione generale del lavoro in Sardegna, peraltro, ha già fatto sì che lavoratori di altri settori, lavoratori del commercio e gli stessi pastori che stanno subendo la repressione dello Stato dopo la loro lotta per l’aumento del prezzo del latte, stiano solidarizzando con i lavoratori Air Italy, ben capendo che il loro problema si inquadra in una situazione generale di impoverimento della regione insulare, che mette a rischio il futuro della popolazione sarda. Vogliamo dunque ripercorrere la storia di Alisarda-Meridiana-Air Italy, storia che si inscrive in due processi più generali: il processo di de-industrializzazione della Sardegna e la sua trasformazione in una meta turistica per la borghesia continentale; il processo di privatizzazione, liberalizzazione e lowcostizzazione del trasporto aereo.
Alcuni cenni di 57 anni di storia
Era l’aprile del 1964 quando da Olbia decollò il primo volo di Alisarda diretto a Roma: si stava materializzando il trampolino di lancio che avrebbe collegato la penisola italiana con i primi resort extra lusso della Costa Smeralda. Era in piena fase di espansione il progetto imprenditoriale del principe miliardario Aga Khan IV che, dalla fondazione di Porto Cervo, allargò poi la propria filiera del turismo inaugurando Alisarda come vettore di riferimento del suo impero. Tra gli anni Sessanta e Settanta verranno costruiti, inoltre, un porto turistico e l’aeroporto Olbia-Costa Smeralda, tutt’oggi di proprietà proprio di Alisarda. Furono anni di continuo sviluppo per il turismo di lusso in Costa Smeralda e di conseguenza di crescita delle fortune del magnate ismailita; nonostante ciò, nei primi anni Novanta, la compagnia sarda non fu immune dalle conseguenze nefaste della liberalizzazione e dell’apertura del mercato ai vettori low cost. Di fronte ai nuovi scenari, nell’intento di dare una svolta operativa alla compagnia (fino a quel momento Alisarda si era interessata solo a portare turisti con voli diretti da e per Olbia), nel 1991 venne deciso il cambio di ragione sociale in Meridiana e conseguentemente le venne dato maggiore spessore internazionale aprendo rotte nazionali, con l’Europa e gli Usa. Si aprì poi la stagione delle acquisizioni e nel 2010, dopo un periodo di integrazione, avvenne la fusione con la compagnia charter Eurofly da cui nacque Meridiana spa, holding che controllerà Meridiana fly e Meridiana maintenance cioè la compagnia aerea e la società di manutenzione, ma anche la società di gestione dell’aeroporto di Olbia (Geasar spa).
Inizia il ridimensionamento avallato da governi e sindacati
Nel massimo della sua espansione, Meridiana riuscì a trasportare fino a 3,5 milioni di passeggeri l’anno, erosi pian piano dalla mancanza di investimenti e dalle errate politiche difensive della proprietà, incapace di stare al passo delle low cost. A partire dal 2011 iniziò una martoriata integrazione con Air Italy che vide operare, per alcuni anni, le due compagnie parallelamente anche con strutture e contratti di lavoro differenti, il tutto con esisti funesti e relativi risultati finanziari deludenti. Nel giugno del 2011 ci furono i primi accordi(1), sottoscritti da tutte le organizzazioni sindacali (Cgil, Cisl, Uil, Ugl, Up, Ipa, Apm, Anpav, Avia, Usb) sia riguardo la cassa integrazione (48 mesi) che per le esternalizzazioni di attività: furono 850 i lavoratori, tra terra e volo, ad esseri posti in cigs tra zero ore e a rotazione, in più furono 200 circa i lavoratori di terra esternalizzati; iniziò una pericolosa parabola discendente dove, il salvataggio di una maggioranza di lavoratori, si anteponeva al sacrificio di una minoranza, di fronte alla promessa di un omesso rilancio. Negli anni a seguire ci furono vari cambi dirigenziali in capo alla holding Meridiana spa che nel 2014 cambiò di nuovo ragione sociale tornando alle origini con il nome Alisarda. Il principe Aga Khan continuò senza sosta il piano di efficientamento e risparmio e, forte dell’accordo del 2011 in cui erano stati certificati centinaia di esuberi, aprì nel 2014 una procedura di licenziamento.
Tra il 2013 e il 2018 si entra nella fase governativa a marca Pd in cui, tra i maggiori esponenti, possiamo ricordare i premier Renzi e Gentiloni e alcuni tra i vari ministri e vice come Lupi/Del Rio (Mit), Guidi/Calenda (Mise) e la onnipresente Bellanova. Un governo che, molto disponibile ai desiderata degli sceicchi arabi, è stato in grado di affossare 2 compagnie aeree italiane in un solo colpo, Alitalia ed Air Italy, lasciate spolpare rispettivamente dagli emiri di Etihad e come, vedremo di seguito, dai qatarini della Qatar. Tornando ad Aga Khan, la procedura di licenziamento si concluse con un primo accordo (dicembre 2014) in cui tutte le Ooss (si aggiunsero i Cobas) avallarono la richiesta aziendale di 1.634 esuberi da gestire, però esclusivamente attraverso la non opposizione dei lavoratori, ergo solo su base volontaria con corrispettivo incentivo all’esodo. Dopo pochi mesi (aprile 2015) venne firmato un ulteriore accordo al fine di ricercare possibili partnership, in cui venne concessa alla compagnia la possibilità di far uso di nuova cigs per un anno, a copertura del numero degli esuberi disattesi dalle uscite volontarie, calcolando la differenza tra il tetto massimo (1634) e gli effettivi volontari usciti. Anche in questo passaggio il sindacalismo di base (Usb, Cobas) capitolò alle richieste, tra l’altro, di miliardari sceicchi. Le modalità applicative della cigs vennero concordate nel luglio del 2015, prevedendo 595 lavoratori in cigs a zero ore e 750 a rotazione per un totale di 1.396 esuberi.
La fine di una farsa e l’arrivo di Qatar airways
Il 1° febbraio 2016 viene firmato un memorandum di accordo tra Qatar airways e Alisarda, in cui si delineano le linee guida per la futura compagnia. L’accordo prevedeva la costituzione di una nuova holding in cui Alisarda avrebbe trasferito tutto il gruppo Meridiana e la partner sarebbe diventata socio di minoranza. Per far sì che si concretizzasse il nuovo progetto industriale, come tradizione vuole, venne chiesta alle (ir)responsabili organizzazioni sindacali, la ratifica di un accordo che prevedeva tagli all’organico e al costo del lavoro. Di fatto il piatto per i nuovi soci – condito con gli accordi siglati dal 2011 al 2015 da tutte le Ooss presenti in azienda – era pronto. Alla Qatar airways rimase «solo» da chiedere di ratificare gran parte del monte ore in esubero certificato in passato. Nella nuova procedura di licenziamento, vennero dichiarati 955 esuberi, che sarebbero potuti scendere a 597 se, contestualmente, si fosse trovato un accordo peggiorativo sulla parte normativa del contratto di lavoro, soprattutto in tema di produttività. Era il 27 giugno del 2016, giorno in cui al Mise, si ratificarono 396 esuberi – 325 tra i lavoratori di volo e 71 tra quelli di terra – posti tutti in mobilità; furono pesanti anche i tagli ai salari e alla normativa soprattutto per i naviganti sottoposti a tagli del salario fino al 20% nonchè diversi trasferimenti di base lavorativa. Usb, nonostante avesse condiviso tutti gli accordi sulla riduzione di personale, certificando con le proprie firme centinaia di esuberi attraverso cigs e mobilità (quest’ultima su base volontaria), non firmò questo ultimo atto, adducendo motivazioni di ordine discriminatorio. Non possiamo dimenticare le dichiarazioni della viceministra al Mise, Teresa Bellanova: «è stata una trattativa lunga e difficile ma siamo riusciti a portare in porto una operazione complicata. Non dobbiamo dimenticare che Meridiana era una compagnia sull'orlo del fallimento» e del ministro del Mit Graziano De Rio: «L'accordo è il passo necessario e indispensabile per poter avere una partnership, ora il partner ha tutti gli elementi per fare la sua parte». Il 14 luglio 2016 venne siglato l’accordo per la costituzione della nuova holding, Aqa holding, composta per il 51% da Alisarda e per il restante 49% dalla Qatar airways, società creata appositamente per prendere il comando della nuova gestione di Meridiana; fu poi solo il 1° marzo del 2018 che Meridiana prese la nuova denominazione Air Italy, con il conseguente cambio di livrea sugli aerei. Anche in quell’occasione furono roboanti le dichiarazioni dei vari rappresentanti politici e della dirigenza della nuova compagnia che, promettendo sviluppo e decine di nuovi aerei, si proponeva come naturale concorrente di Alitalia, nascondendo l’unico vero obiettivo dei qatarini: sfruttare Air Italy come ponte per entrare nel mercato degli Usa, a causa delle ristrettezze geopolitiche che non permettono voli diretti da Doha verso gli scali statunitensi.
I lavoratori non sono rimasti a guardare
Nel 2014, sull’onda della protesta contro la pretesa del principe Aga Khan di espellere dall’azienda più di 1.600 lavoratori tra personale di volo e di terra, nacque un movimento spontaneo di lavoratrici e lavoratori della ex compagnia sarda; sulla maglia rossa, scelta dagli attivisti come divisa di lotta, c’era stampata la scritta «IO SONO UN ESUBERO MERIDIANA», come a voler dissuadere un destino imposto loro dagli interessi, prettamente economici, del ricco azionista. Il movimento fu talmente forte e determinato che riuscì ad organizzarsi in ogni scalo e sede dove atterrava la compagnia: ad Olbia, Cagliari, Linate, Malpensa, Verona era usuale incontrare le magliette rosse mentre distribuivano volantini con cui spiegavano il motivo della loro protesta. Durante il periodo di lotta, riuscirono a mettere in scena un funerale simbolico a Olbia, come anche un matrimonio di circostanza a Verona; donarono il sangue in segno di riconoscenza agli abitanti di Olbia, sede della compagnia che, dal principio, avevano dimostrato loro solidarietà; andarono a raccontare la loro lotta agli studenti delle scuole; organizzarono presidi di protesta sotto ogni palazzo istituzionale, dalle regioni Sardegna, Lombardia e Veneto, fino ai ministeri del lavoro, dei trasporti e dello sviluppo economico; arrivarono a salire su un traliccio di 35 metri all’aeroporto di Olbia sul quale, un pilota, ci rimase per ben 50 giorni in segno di protesta. Non mancarono tentativi di boicottaggio da parte di chi voleva che questo movimento si disfacesse: cercarono di addossare loro la colpa dell’incendio delle automobili di 2 dirigenti e cercarono in ogni modo di dividere il settore volo – dove predominava il movimento – con il settore terra anche mediante la proposta di separazione dei tavoli di confronto tra i due differenti settori. Oltre al boicottaggio, subirono anche la strumentalizzazione da chi, tra le organizzazioni sindacali, si volle mettere alla testa della protesta per poi tradirne le rivendicazioni andando a firmare esuberi e cassa integrazione. Parliamo di Usb, diretta politicamente dalle Rete dei comunisti (piccola organizzazione stalinista) che, ormai da più di un decennio, ci ha abituato alle sue prassi vertenziali in cui, presentandosi ai lavoratori come sindacato conflittuale, ne dirige poi le lotte per indirizzarle verso sconfitte e tradimenti epocali. Esempi lampanti sono: Alitalia, in cui, dal 2006, con la firma di innumerevoli accordi hanno prodotto licenziamenti, tagli e precarietà diffusa fino ad arrivare all’ultimo accordo – del tradimento – firmato all’indomani del referendum vinto dai lavoratori; Ilva, in cui, con le loro firme, ritirate dopo la disfatta, hanno prodotto migliaia di licenziamenti e condannato la città di Taranto ad altri decenni di inquinamento. Il loro unico scopo è mantenere in vita la propria microstruttura burocratica, anteponendola alle reali esigenze e richieste dei lavoratori.
Una vicenda esemplificativa dei problemi del trasporto aereo e non solo
Quello che ogni lavoratore dovrebbe chiedersi, dopo la liquidazione improvvisa di Air Italy, è: possiamo vivere in un sistema in cui un’azienda può decidere da un momento all’altro di chiudere e lasciare tutti i lavoratori per strada, contando al massimo sugli ammortizzatori sociali? E, in secondo luogo, possiamo accettare passivamente di farci rappresentare da sindacati che non lottano per la salvaguardia dei posti di lavoro, ma solo per ottenere gli ammortizzatori sociali? La questione non si riduce solamente alla vertenza Air Italy, ma riguarda ogni grande impresa che decide di chiudere o delocalizzare, soprattutto dopo aver ricevuto contributi pubblici (pensiamo alla Fiat, giusto per fare un esempio). E cioè: è giusto che gli «imprenditori» possano decidere di chiudere delle aziende esclusivamente per ragioni di profitto e riaprirle in altri Paesi dove hanno maggiori possibilità di sfruttare i lavoratori? Tanto più oggi che i padroni, con l’appoggio delle banche, non mettono più neanche i soldi per gli investimenti.
In ogni settore dunque, sia esso produttivo o di servizi, si pone il problema che le attività economiche strategiche di un Paese non possono essere in balia delle decisioni dei privati, e questo è ancora più vero in settori quali i trasporti pubblici, di cui il trasporto aereo è parte.
A fianco della privatizzazione delle compagnie di bandiera, dalla metà degli anni Novanta abbiamo assistito alla progressiva privatizzazione degli aeroporti, alla liberalizzazione dei servizi di terra (detti di handling) e, a cascata, ad una sempre maggiore precarizzazione del lavoro, dovuta anche all’ingresso nel mercato delle cosiddette compagnie low cost. Il minor costo dei biglietti aerei è stato interamente pagato dai lavoratori: dovendo abbassare i prezzi, le compagnie aeree hanno spinto le compagnie di handling a farsi concorrenza tagliando sul costo del lavoro e della sicurezza. La gestione degli aeroporti, che era stata privatizzata e che una volta comprendeva anche i servizi di terra, è stata quindi sgravata dai costi del personale, dando così continuità ad utili giganteschi. Le società che gestivano i servizi di terra, invece, artificiosamente separati dagli altri servizi aeroportuali, potendo contare su utili minori, tagliavano al ribasso salari e diritti dei lavoratori. Il cerchio si sta chiudendo con l’arrivo delle cooperative in tutto il mondo aeroportuale, strumenti che conosciamo benissimo dall’esperienza del settore della logistica e che sono funzionali ad ottenere ulteriore compressione dei diritti e dei salari. Questo folle processo sta portando, inevitabilmente, sempre meno servizi e sicurezza ai viaggiatori.
Per assicurare la qualità e la sicurezza del trasporto aereo, la giusta retribuzione ai lavoratori degli aeroporti e la salvaguardia dei posti di lavoro (a partire dai lavoratori di Air Italy e Alitalia, protagonisti indispensabili in un settore che per giunta ha visto una costante crescita negli ultimi decenni) è necessario pensare ad un sistema pubblico e integrato del trasporto aereo.
1) Bisogna partire dalla ri-nazionalizzazione, senza indennizzo, di tutti gli aeroporti italiani, perché i profitti del settore vengano utilizzati a vantaggio del trasporto pubblico, e non siano accaparrati da società private che negli anni sono riuscite a mettere le mani sugli aeroporti, lucrando peraltro su investimenti della collettività.
2) Bisogna mettere fine alla liberalizzazione dei servizi di terra, prevedendo una sola società per aeroporto, a livello di gestione e di handling, che assuma tutti i lavoratori che stanno attualmente lavorando nelle diverse società oggi attive negli aeroporti italiani. Troppo spesso la liberalizzazione dei servizi è servita a mettere gli uni contro gli altri i lavoratori del settore, minandone l’unità nella lotta. La fine della liberalizzazione dei servizi di terra è la base per garantire la fine della precarizzazione del settore e la rivalutazione dei salari di tutti i lavoratori aeroportuali, oltre che per garantire una maggiore sicurezza negli scali italiani.
3) Bisogna nazionalizzare immediatamente Air Italy ed Alitalia, creando così una unica compagnia di bandiera, capace di far fronte alle necessità del servizio di trasporto aereo nazionale e anche di resistere alla concorrenza delle altre compagnie sul lungo raggio. La sopravvivenza di una grande compagnia di bandiera è assolutamente possibile se finanziata coi proventi derivanti dalla nazionalizzazione degli aeroporti, permettendo così di assicurare un servizio di qualità a costi contenuti ai milioni di italiani che ogni anno viaggiano in aereo.
È questa l’unica strada per salvare il sistema del trasporto aereo dalle sue stesse contraddizioni, dalla lowcostizzazione, dalla precarietà e dalla perdita dei posti di lavoro. È chiaro come questo piano, crediamo sufficientemente abbozzato, indichi una gestione diversa dell’economia nazionale, tale per cui crediamo che nessun governo, se non un governo dei lavoratori, lo applicherebbe mai, se non fosse costretto a farlo. Tuttavia crediamo che sia questa l’unica soluzione, per questo facciamo appello ai lavoratori di battersi già da ora per questa «piattaforma», per portarla già oggi in tutte le assemblee sindacali, anche in vista dei rinnovi contrattuali con Assohandlers, per costringere i governi ad attuare questo piano fin da ora, e a lottare parallelamente per costruire, in prospettiva, un’alternativa alla politica attuale, per costruire l’unico governo che attuerebbe queste misure senza bisogno di lottare: il governo dei lavoratori.
Note
(1) Sul portare della Cgil si possono trovare tutti gli accordi siglati
http://www.filtcgil.it/index.php/aria/trasporto-aereo/diario-meridiana/