Non ci sono più le stagioni di mezzo...
di Pasquale Gorgoglione
La crisi viene rappresentata intenzionalmente in maniera generica e inappropriata come un ennesimo capitolo delle conseguenze della concorrenza sleale cinese, ma della quale poco o nulla si sa quando si cerca di analizzare cifre e dinamiche della stessa. In realtà non è tanto la concorrenza sleale cinese, che pure esiste, quanto la condotta scellerata della classe imprenditoriale che, come tale, ha quale obiettivo unico quello di massimizzare i profitti in ogni occasione che si presenti. E l'occasione, per chi ha i mezzi e le dimensioni per coglierla, è quella di spostare la produzione in paradisi dello sfruttamento del lavoro oltre l'Adriatico, mercati un tempo chiusi, instabili o troppo rischiosi, che oggi offrono ai capitalisti occidentali e italiani tutte le garanzie di adoperare forza-lavoro a costi bassissimi, magari con tanto di incentivi per l'internazionalizzazione e di "buone ragioni" per restare gentilmente offerti dai governi locali. Il marcio, dunque, non è nell'aggressività del capitalismo cinese ma nel capitalismo stesso, specie se inserito in un quadro di competizione liberista.
Ma ecco che la primavera arriva e genera un fiore: Vendola dichiara candidamente, nel giorno dell'insediamento della sua giunta, che occorre puntare alle "delocalizzazioni concertate"! Con questa formula magica riesce, in un colpo solo, ad avvallare la perdita del posto di migliaia di operai, a ignorare che gli stabilimenti in questione probabilmente non esisterebbero senza l'accaparramento massiccio di soldi pubblici, a incentivare il perverso turismo dello sfruttamento di manodopera in giro per il mondo.
Dalle parole si passa ai fatti: il governatore, mentre prepara il terreno per lo sbarco degli imprenditori con frequenti missioni all'estero, sborsa centinaia e centinaia di milioni di euro per prolungare l'attesa delle aziende (così Natuzzi, salotti, rimane forse fino a dicembre). Nel frattempo crescono le difficoltà dei lavoratori. Una ondata di disoccupati, provenienti dalle microscopiche aziende del Tac, si riversa in altri settori (agricoltura, piccolo commercio, ristorazione...) e ormai il governatore li bracca, affiancato dalle amministrazioni di province e comuni. Mentre continua ad illuderli con le promesse di una sanità per tutti e di un reddito sociale, sigla assieme al ministro An dell'agricoltura, Alemanno, l'accordo bidone che soffoca le proteste degli agricoltori del nord-barese contro le aziende di trasformazione e la grande distribuzione.
A Barletta, città che grazie all'attuale sindaco di centrosinistra e al solito aiuto del Prc assomiglia più ad un blocco unico di cemento, la Barsa, azienda multiservizi più o meno municipalizzata, viene portata allo sfascio da una gestione clientelare e irresponsabile, lasciando senza futuro decine di famiglie; allo stesso tempo, non sapendo come spendere i fondi destinati alla spesa sociale (forse perché si ignorano le necessità delle famiglie indigenti) la giunta pensa bene di spostare 130 mila euro per un convegno... in fondo si può sempre scaricare tutte le colpe sull'ultima legge finanziaria di Berlusconi.
A Bari, mentre si prepara la grande colata di cemento, l'assessore alla pubblica istruzione Martino (Prc, ex segretario regionale) finanzia le scuole private e non si preoccupa della copertura delle spese di refezione scolastica; così Boccia, assessore al bilancio ed avversario di Vendola alle primarie, per fare qualcosa di sinistra propone una versione personale del salario sociale che prevede che il comune provveda a pagare una miseria al disoccupato-precario per prestazioni lavorative (chiamasi apprendistato) svolte presso aziende private. E' il pragmatismo della cultura di governo che si sposa con la virtuosa imprenditoria locale.
Attenti! Dietro la massiccia campagna pubblicitaria che, memore della lezione berlusconiana, è incentrata sulla figura del presidente e quasi per niente sui contenuti, si nasconde, invece, l'abbraccio mortale tra le ragioni del capitalismo e le ragioni del proletariato. Un abbraccio che non aggiunge nulla di nuovo alle varie esperienze di governi di unità che la storia ci offre: il collaborazionismo di classe genera la scissione tra l'operato dei rappresentanti dei partiti di massa e gli interessi di coloro che dovrebbero rappresentare. Inesorabile, questa legge della storia si conferma a tutti i livelli istituzionali.
Il governo di uno Stato capitalista, e degli enti locali connessi a questo, può avvenire solo con il sostegno e la condivisione degli interessi di classe del capitalismo stesso: a fronte di qualche presunto provvedimento "di sinistra" (lievi contentini da spiattellare in campagna elettorale), si accetta quindi di garantire una gestione ottimale dell'economia. Ma in una comunità organizzata secondo una società capitalista, dire che l'economia va bene significa che è stata possibile l'accumulazione di profitti da parte di chi detiene i mezzi di produzione. E l'accumulazione di profitti nel capitalismo avviene strutturalmente attraverso lo sfruttamento della forza lavoro e l'oppressione delle masse.
L'esperienza pugliese dimostra come, inevitabilmente, stando al governo con la borghesia, Rifondazione Comunista sta tracciando un solco tra sé e le ragioni dei lavoratori, dei disoccupati, degli studenti, dei pensionati, dei giovani... Per questo ci vuole un'alternativa: una vera alternativa.
Da qualche anno si registra una crisi occupazionale che investe soprattutto le aziende del tessile-abbigliamento-calzaturiero (Tac) concentrate nel nord-barese, alcune aziende meccaniche di Bari, l'indotto del mobile imbottito che si estende tra Bari e Matera.